GHERARDO COLOMBO TESTIMONE «SULLE REGOLE»


«La giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall’incomunicabilità. La giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perchè delle regole». Un messaggio chiaro e pregnante quello lanciato il 18 giugno a Nogara (Vr) dall’ex magistrato Gherardo Colombo, nel corso della presentazione del suo ultimo libro «Sulle regole» (Feltrinelli), organizzato dall’Associazione culturale «NogaraEuropa».

A presentare l’ospite c’era un altro magistrato, Marco Imperato, della Procura della Repubblica di Bologna, e i suoi quattro anni di esperienza come Sostituto Procuratore a Marsala. Ed ancora, davanti al tavolo dei relatori, lo slogan «Non li hanno uccisi, le loro idee camminano. Borsellino e Falcone» “introduceva” visivamente le tematiche che sarebbero state affrontate nel corso della serata.

«Ho avuto modo si sperimentare sul campo come vengono percepite e vissute le regole; per me quella siciliana è stata un’esperienza forte, indipendentemente dalle indagini che svolgevo» ha esordito Imperato, soffermandosi poi su cinque aspetti che hanno caratterizzato quei cinquanta mesi sull’isola: «l’omertà non è sempre un atteggiamento scelto consapevolmente dalle persone, ma fa parte – in un certo senso – del dna culturale di una comunità. Poi, la palpabile sfiducia siciliana nei confronti delle regole e dello Stato mi hanno impressionato, così come la paura delle regole e di chi le deve fare rispettare. Anche l’utilizzo strumentale delle leggi, per ottenere egoistici interessi, è un aspetto molto presente; e la disillusione nei confronti di un possibile cambiamento».

Ascoltando quelle parole, gli oltre cento intervenuti all’incontro si posti una semplice domanda: ma la legge è davvero uguale per tutti? Interrogativo che – provocatoriamente – è uscito dalle labbra anche del giovane magistrato, rivolgendosi a Colombo: «Cosa fare quando la legge stabilisce che non tutti sono uguali di fronte ad essa?».

«É necessario che succeda qualcosa fuori dai palazzi di giustizia» ha esordito l’ex inquirente di Mani Pulite. «La giustizia funziona malissimo in Italia, ma finché non muta la relazione che intercorre tra i cittadini e le regole è impossibile che essa svolga la propria funzione. É anche per questo motivo che mi sono dimesso dalla magistratura nel febbraio dello scorso anno, dopo trentatre anni di lavoro. E questo per dedicarmi anche a far riflettere ragazzi, giovani e adulti. Non astrattamente, ma incontrandoli concretamente, in ogni angolo d’Italia, in assemblee come questa».

Soffermandosi poi sul libro, Colombo ha sottolineato che «quelle 150 pagine cercano di far capire il perché dell’esistenza delle regole», delle leggi: che cosa sono e come far sì che ‘vivano’. «Le norme esistono, ma se non vengono applicate è come se non ci fossero». Un discorso che rigurda tutti, naturalmente, «perché tutti dovremmo chiederci come mai siano così diffusi i ‘zigzagamenti’ nei confronti del rispetto delle regole che una comunità nazionale si è data». Cosa fare, allora? «Credo si debba iniziare dalla comprensione del significato profondo e vero di parole come «legalità», «giustizia» e «libertà», ad esempio». Ricordando che un tempo molte leggi perseguivano intenti discriminatori, come le leggi razziali, la tratta degli schiavi legalizzata negli Stati Uniti, il diritto di voto ai soli maschi, e che l’apparato della giustizia finiva per tutelare le disuguaglianze e il modello di società piramidale che la esprimeva, Colombo ha poi ribadito ad alta voce che invece «la parola «giustizia» ha un significato completamente opposto a quello delle suddette pratiche, la giustizia non dovrebbe discriminare».

Ritornando poi al quesito di Imperato – «Perché la legge non è uguale per tutti?» -, Colombo ha fatto capire a chiare lettere che «se non si applicano le leggi scritte, finiranno per prevalere quelle non scritte. Ecco perché i cittadini sono chiamati ad assumersi delle responsabilità per far sì che non sia la furbizia, l’illegalità, l’interesse personale a dettare le “regole” alla società». Ed ancora: «Una società organizzata verticalmente – dove la base ha sempre più doveri e sempre meno diritti – viene pensata ed attuata dalla furbizia di chi sta sopra e con la complicità di chi sta sotto. E la discussione sulle regole coinvolge inevitabilmente anche i modelli di società a cui le regole si ispirano. Modelli verticali, basati sulla gerarchia e la competizione. E modelli orizzontali, più rispettosi della persona e orientati al riconoscimento dell’altro. Una strada, quest’ultima, tracciata proprio sessant’anni fa dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla Costituzione italiana».

Sulla libertà: «Si fa un gran parlare di «libertà» senza accorgersi che questo è un concetto che ‘fa paura’, perché l’uomo libero è chiamato a compiere delle scelte, ad assumersi responsabilità, a rispettare regole; scelte, responsabilità, regole non collimano con la quanto mai attuale cultura del tutto-e-subito, del tornaconto immediato, che porta a disinteressarsi di ciò che non dà immediatamente frutto». Un esempio per tutti: «É mai possibile che si debba aspettare l’ordinanza di un sindaco per il blocco della circolazione dei mezzi di trasporto, quando tutti sappiamo che utilizzando determinati veicoli non si fa altro che incrementare l’inquinamento che tutti non desideriamo? Dovremmo insomma essere tutti un po’ più coerenti e attivi a livello sociale».

Gherardo colomboL’ex magistrato dopo aver risposto a varie domande del pubblico ha salutato tutti così: «Perché qualcosa cambi è necessario coltivare la fiducia ovunque, pur sapendo che i risultati non saranno immediati. É questo il messaggio che lancio, ovunque, agli studenti che incontro. E porgo anche a voi».

Uscendo dalla sala del Piccolo Hotel di Nogara con il libro autografato in mano mi son venute in mente le parole di Antonino Caponnetto: «La mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa. Evitiamo che la scuola sia un mondo chiuso, e in questo senso vanno fatti molti passi avanti. L’insegnamento dell’educazione civica nella scuola è poi un passo centrale, ma si tratta di un insegnamento che non sembra essere mai partito. Solo un anno fa (1993, ndr) una circolare segnalava la necessità di introdurre nelle scuole l’insegnamento del culto della legalità. Il grado di civiltà di una nazione si misura sugli stanziamenti dedicati all’istruzione e alla giustizia». Anche questa sarebbe una buona… regola.

Amedeo Tosi




Gherardo Colombo (Briosco, Milano, 1946) ha lavorato in magistratura dal 1974 al 2007. Ha condotto o collaborato a inchieste celebri come la scoperta della Loggia P2, il delitto Ambrosoli, Mani pulite, i processi Imi-Sir, Lodo Mondadori e Sme. Dal 1989 al 1992 è stato consulente per la Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia, nel 1993 consulente per la Commissione parlamentare di inchiesta sulla mafia. Dal 1989 ha lavorato come pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Milano. Nel 2005 è stato nominato consigliere presso la Corte di cassazione. A metà febbraio del 2007, a quindici anni dall’inizio di Tangentopoli, si è dimesso dalla magistratura. Tra le sue pubblicazioni: «Il riciclaggio – Gli strumenti giudiziari di controllo dei flussi monetari illeciti con le modifiche introdotte alla nuova legge antimafia» (Giuffrè 1991); è coautore de «La legislazione antimafia, raccolta di leggi antimafia» (Giuffrè 1994). Con Feltrinelli ha pubblicato «Il vizio della memoria» (1996).