I SOGNI DEL MIOPE, LA SAGGEZZA DEL PRESBITE

[Amedeo Tosi – 06.03.2016] Il miope ha spesso il volto di chi sa raccontare, al mattino, frammenti o corpose storie vissute nel sogno della notte. Magari per chiedere auspici e interpretazioni alla cabala del lotto. Ma a chi -come chi scrive e molti altri- non ha mai creduto alle oniriche premonizioni o ammonizioni, altro non resta che dare il buongiorno al nuovo giorno svegliandosi con strascico di amarezza per aver rivissuto, di notte, lavori che premono, angustie di luoghi scomodi, rapporti spesso indifferenti, coincidenze perdute, nostalgie. Così, dopo aver inforcato gli occhiali per correggere l’incalzante imperfezione visiva che mi rende simile al miope, cioé a colui costantemente alle prese con un orizzonte sempre meno nitido, in barba ai mestieranti interpreti del «notturno speculare al diurno» archivio la vicenda godendomi il vantaggio di dire che tutto è stato sogno. E, in cuor mio, pensando: quanto sarebbe più utile e prezioso se i prolissi narratori del sogno sapessero invece aiutarci a fissare i momenti creativi emersi nottetempo, invece che pensare solo al loro miope tornaconto immediato. Perché, dormendo, talora succede di elaborare a lungo discorsi; riflessioni da svolgere in relazioni; logiche concatenazioni, scritti e titoli incisivi; risposte convincenti a problemi incalzanti. E intuizioni bellissime, o espressioni poetiche. Tutto in sogno. Con sequenzialità fluenti. Invenzioni che puntualmente, al risveglio, come una bolla di sapone, svaniscono nel nulla e per sempre nel dimenticatoio; creatività da sogno, ma senza l’opzione «ripristina la memoria»; petali di mistero mossi dalla brezza di altre vite segrete indicibili e talora incredibili. Che testimoniano la presenza di energie di cui chissà quando l’umano essere, alla prese con la propria quotidiana miopia, potrà godere.

Per il presbite, invece, le considerazioni sono ben altre. A partire dal vocabolario, che lo etichetta come colui che vede gli oggetti lontani meglio che i vicini. Così può leggere le ingombranti notizie stampate sulle ingombranti pagine del giornale tenendole a dovuta distanza, con le braccia stese in avanti e la testa arretrata. A lui gli occhiali servono solo per scrivere o chiamare qualcuno al cellulare. Poi, sì, deve guardarsi bene quando apre una porta o scende le scale: in agguato l’insidia fastidiosa dello spigolo sporgente o dell’ultimo gradino. Ma non teme le cataratte, anche se si vive, ormai, di laser e ricambi. E, come dicono, chi nasce oggi, morirà centenario e potrà cambiare tutti i suoi organi in corsa; come nei pit-stop le macchine di Formula 1. Comunque, consolazione per tutti. Anche per il presbite d’oggi. Perché, avanzando negli anni, si modifica pure la vista interiore. Per vedere più lontano. Diventare più saggi. Solo che, talora, anche nella vita le cose più prossime intrigano. Non vedi l’ultimo gradino della tua storia. Ti ritrovi a notare con incredulità contraddizioni inaspettate. Ti scontri con novità sorprendenti. Ma vedi meglio da lontano. E basta non mettere gli occhiali per guardare troppo da vicino. (am.t.)