Il tutto attraverso l’approvazione di norme come il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, ultimo scampolo di una pericolosa pratica legislativa che si caratterizza per la sua estraneità ad ogni principio di generalità ed astrattezza e ad ogni elementare sentimento di giustizia. Senza che interessi ad alcuno porre mano al risanamento del processo civile e penale, a restituire ad essi tempi ragionevoli nell’interesse di tutti i cittadini, come impone una recente norma costituzionale.
Sono molti mesi che la Magistratura esprime il proprio disagio, al punto che è stato colto l’allarme anche presso le Nazioni Unite, che hanno inviato in Italia un avvocato malese, dal nome ingombrante di Dato’ Param Cumara Swamy, ispettore speciale per le questioni di diritto presso la Commissione dei Diritti Umani, perché chiarisse le ragioni dei rapporti, burrascosi, tra politica e giustizia in Italia. Ed ha soggiornato nel nostro Paese tra l’11 ed il 14 marzo scorso, incontrando i protagonisti del contenzioso. L’iniziativa, sconcertante per qualsiasi paese europeo, ha tratto spunto dalle notizie, riportate con evidenza dalla stampa internazionale, di una diffusa protesta dei giudici italiani rivolta ad esponenti di rilievo della maggioranza di Governo, alcuni dei quali, a partire dal suo Presidente, oggetto di molteplici iniziative giudiziarie riguardanti reati imbarazzanti per chi riveste una tale carica pubblica, come la corruzione di Giudici e di appartenenti alla Guardia di Finanza, che avrebbero favorito, dietro pagamenti miliardari avvenuti all’estero, loschi affari ed alleggerito il peso fiscale di società di proprietà presidenziale.
Tutto ciò non a Panama, o in Argentina o in altri Paesi del globo avvezzi a tali prassi, ma in Italia, già culla del diritto ed oggi luogo dove si pratica il libero insulto alla Magistratura ed allo Stato di diritto, fondato, come è noto, sul principio di sottomissione di tutti i cittadini, e tra di essi i governanti, alla legge. Un terreno melmoso dal quale trae origine lo scontro tra chi si trova a governare oggi in Italia e chi tenta di amministrare equamente, come è suo dovere, la Giustizia.
Nessuna sorpresa, allora, dell’arrivo dell’avvocato malese, attirato dalle «notizie di una protesta nazionale dei magistrati… svoltasi all’inaugurazione dell’anno giudiziario per esprimere le loro lagnanze sui tentativi del Governo di limitare la loro indipendenza».
L’inchiesta si è soffermata sul «punto dolente costituito dalla procedura ingombrante e dai processi di appello, sia in penale che in civile» e sul «tempo medio per chiudere un processo penale, intorno ai 9 anni e di un processo civile, di 10 anni». Si tratta di tempi «incompatibili con la Convenzione europea dei diritti umani». Allarmano l’Ispettore speciale anche le parole del Vice Presidente del CSM che è arrivato a definire la procedura penale come «un perverso gioco di serpenti e scale», che noi traduciamo in un altrettanto non esaltante «perverso gioco dell’oca», purtroppo immagine calzante della procedura predisposta a tutto fuor che all’accertamento delle responsabilità penali, beninteso quando imputati sono personaggi influenti.
L’Ispettore speciale si addentra quindi, non senza malizia, nell’esame dei tre casi pendenti innanzi l’autorità giudiziaria milanese, «relativi ad accuse di corruzione e falso in bilancio di preminenti politici. Uno è il Primo Ministro, l’altro è un preminente membro del Parlamento, mr. Previti… un caso è pendente davanti alla Corte di cassazione in relazione alla richiesta di trasferimento dalle Corti di Milano… È possibile che la prescrizione si verificherebbe… nel caso i processi fossero trasferiti da Milano verso altra destinazione… prima del completamento dei processi. La maniera con la quale le eccezioni procedurali sono usate per ritardare i processi è materia di preoccupazione, incluso il percepito uso dei processi legislativi per modificare la legislazione che allora è usata nella conduzione dei processi. Un pezzo di questa legislazione è quella sulle richieste di rogatoria che ratificano un accordo bilaterale con la Svizzera con effetto retroattivo».
Avverte l’Ispettore, che mostra ancora una volta di avere colto perfettamente abusi e stravolgimenti del rapporto processuale nei casi di «alto profilo», che «gli avvocati difensori di queste personalità sono anche membri del Parlamento e perciò hanno influenza nel Parlamento per favorire i processi dei loro clienti in Parlamento. Ciò determina una situazione di conflitto d’interessi», che i tanti ciarlatani del garantismo, a differenza dell’avvocato malese, tardano a scorgere. L’Ispettore si addentra quindi nel caso di «alto profilo» che ha visto l’avvocato Previti rifugiarsi dietro una miriade di lavori parlamentari, del genere più svariato e fantasioso, per sottrarsi al processo in corso a Milano dove è imputato, con il Primo Ministro, nella corruzione di Giudici.
Vale la pena premettere che, nel corso della precedente legislatura, la maggioranza di Centro-Sinistra aveva deciso di non concedere l’arresto dell’on. Previti, anche perché le prove raccolte avrebbero consentito una rapida definizione di quel processo. Mai previsione si rivelò tanto errata: si ebbero infatti i molteplici rinvii davanti al Giudice delle indagini preliminari prima, ed ai Giudici del dibattimento poi, e si venne a creare una situazione di stallo che l’ispettore descrive così: «Il sig. Previti aveva ripetutamente richiesto il rinvio delle udienze in ragione dei suoi impegni parlamentari. I giudici avevano acconsentito…i magistrati temevano che i ripetuti rinvii potevano implicare un ritardo eccessivo e decidevano che era necessario il processo, a prevalenza degli impegni parlamentari». A quel punto, l’allora Presidente della Camera, on. Luciano Violante, nonostante il caso apparisse risolvibile con i normali criteri delle leggi e del buon senso, richiese l’intervento della Corte costituzionale perché dirimesse il caso. Poiché il Tribunale di Milano, nel rispetto della decisione della Corte, non concesse rinvii e non accolse «una richiesta del sig. Previti di annullare l’intero processo e ricominciare di nuovo», intervenne una risoluzione del Senato che arrivò a censurare pesantemente le decisioni del Collegio giudicante. Vi fu anche la richiesta di «ammanettare» quei Giudici da parte, niente di meno, che di un sottosegretario di Stato.
Orbene sono stupefacenti il rigore tecnico-giuridico e la ragionevolezza con la quale l’Ispettore speciale, richiamando principi di diritto vigenti in Europa, dirime quel contrasto: «Con riguardo all’importanza contrapposta tra i processi giudiziali e i lavori parlamentari che era la questione principale della risoluzione del Senato 4 dicembre 2001, ciò che può essere stato trascurato è il fatto che l’assenza di un singolo membro del Parlamento durante la sessione di lavoro non impedisce o ritarda l’andamento parlamentare. Invece, senza la presenza dell’accusato in Corte a rispondere alle accuse nei suoi confronti, il giudizio non può procedere e la sua assenza quindi bloccherà e ritarderà il procedere del giudizio. Questa è la differenza. Seguendo questo ragionamento, il processo giudiziale deve necessariamente avere la precedenza nelle circostanze date. Inoltre l’art. 14 della Convenzione internazionale dei Diritti Civili e Politici e la corrispondente disposizione dell’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti Umani prevede che i processi penali dovrebbero essere celebrati senza alcun non dovuto ritardo. È compito del tribunale decidere se questi casi sono celebrati e giudicati senza ritardo».
A questo punto l’Ispettore si appella ai principi generali della Costituzione ed al sentimento democratico del nostro Paese e, assumendo le vesti di un girotondista da Palavobis, osserva: «L’indipendenza dei giudici e l’indipendenza dei procuratori è non solo ben incorporato nella Costituzione, ma anche nella cultura e tradizione italiana. Nessun Governo, comunque potente, può togliere questo fondamentale principio della società italiana». Nelle conclusioni, parole sferzanti: «… l’Ispettore speciale è convinto che vi siano ragionevoli timori per giudici e procuratori di sentirsi colpiti nella loro indipendenza. Tuttavia gli attacchi del Governo sono diretti a certi giudici e procuratori; ma deve essere ricordato che la contestazione a pochi sarà percepita come una contestazione all’intero corpo giudiziario, oltre che un attacco al ruolo della legge». Dunque solo l’ardire di uno scalatore di ferrate poteva far dire al ministro della Giustizia che anche l’Ispettore O.N.U. «ha dovuto ammettere che i Giudici in Italia non sono in pericolo» (la Repubblica, 30 maggio 2002).
Sono dunque bastati pochi giorni all’Ispettore della Commissione dei diritti umani dell’O.N.U. per rendersi conto della gravità della situazione italiana. Una situazione che dunque legittima pienamente questa difficile e contrastata protesta e che vedrà per la seconda volta la Magistratura partecipare compatta ad uno sciopero nazionale contro le iniziative legislative in tema di ordinamento giudiziario ed in difesa della legalità repubblicana e degli equilibri democratici, in una situazione di degrado della politica di governo in tema di giustizia che viola, anche questo è oramai chiaro, anche i fondamentali Diritti Umani, sanciti nella Carta delle Nazioni Unite.
[di Libero Mancuso (L'Unità) • 20.06.2002] Oggi 20 giugno 2002 i magistrati italiani scioperano. Nonostante le intimidazioni di cui sono stati oggetto fino all’ultimo da parte del primo ministro e del ministro della Giustizia, scioperano. Nonostante i pressanti inviti del presidente della Repubblica, scioperano. Un malessere profondo giustifica pienamente questa azione dopo che una cascata di fango è stata riversata su di loro dai nuovi (ma non troppo) governanti. L’irresponsabilità di questi gesti è evidente poiché tradisce una scadente cultura istituzionale: una cultura che sta conducendo al tramonto dello Stato di diritto, ma anche dei fondamentali principi di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e di indipendenza della magistratura.