[a cura di  Maria De Falco Marotta & Antonio De Falco • 09.11.03] Ad Open 2003 ARTE E CINEMA (Lido di Venezia), come apertura di nuove frontiere espressive, hanno partecipato, per la prima volta, artisti provenienti da ogni dove dell’Asia, compresa la Cina, con Hsiao Chang Cheng (Guilin Yuzi Paradise, Repubblica Popolare Cinese)...

INTERVISTA A ZHANG JIANDA. UNA CINA PIU’ APERTA AL MONDO?

Ad Open 2003 ARTE E CINEMA (Lido di Venezia), come apertura di nuove frontiere espressive, hanno partecipato, per la prima volta, artisti provenienti da ogni dove dell’Asia, compresa la Cina, con Hsiao Chang Cheng (Guilin Yuzi Paradise, Repubblica Popolare Cinese). Al ricevimento in loro onore, abbiamo potuto parlare con il Primo Segretario, Dott. Zhang Jianda dell’Ufficio Culturale dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese nella Repubblica Italiana, per avere notizie “politiche” su quello che si dice sulla Cina “globalizzata”. Sembra, secondo le sue dichiarazioni che tutto fili per il meglio(sic!) e mai il suo Paese si è mostrato ostile agli altri (e ci vorrebbero tutti i rumori dei nostri eroi fumettistici per manifestare il dissenso su tale “coraggiosa” affermazione, visto le notizie “altre” che abbiamo della Cina).
 
DOMANDE & RISPOSTE
Signor Segretario artisti cinesi partecipano ad Open2003. Come mai la Cina si sta aprendo a manifestazioni di questo genere nei paesi occidentali?
«Ciò accade perché in Cina c’è apertura e libertà per ogni tipo di arte. Prima si privilegiava l’arte grafica, ora c’è partecipazione a tutte le manifestazioni moderne, ovunque siano. Ciò significa anche passaggio della Cina verso il mondo».
 
E’ sorprendente che la Cina si sia allargata al mondo occidentale. Questo miracolo, se vogliamo chiamarlo così, a cosa è dovuto?
«Tutto dipende dalla politica di apertura del governo cinese. Già all’inizio degli Anni Settanta la Cina ha cominciato la riforma economica, con un’apertura all’estero. Non solo nel settore economico- industriale, ma anche in quello culturale per imparare tutte le cose buone ed utili
dai vari paesi da adattare al nostro popolo. Ora questa tendenza è molto forte».
 
In Cina vi sono più tradizioni religiose( universismo, taoismo, confucianesimo, buddhismo…) Cosa possono offrire gli occidentali a voi e cosa questi possono attingere dalla vostra vastissima cultura?
«In Cina c’è la massima libertà di credere ad ogni religione e anche il governo non interviene in merito. Gli occidentali debbono, pertanto, recepire questo spirito di libertà che circola tra le genti cinesi. Non si esclude la possibilità di scambio tra le religioni ed i loro rappresentanti. Come non si esclude l’influsso benefico delle nostre tradizioni culturali sulla cultura occidentale, specie per il valore della famiglia. Nell’ultimo decennio, grazie a inchieste e ricerche di attenti studiosi, si è fatta strada la convinzione che nello studio della religione vanno privilegiati i fenomeni sociali, cioè l’esperienza della gente, per capirne l’impatto anche nella nuova economia di mercato. Attualmente gli studiosi del settore si augurano che alla ricerca possano partecipare anche esperti provenienti dagli stessi ambienti religiosi. Ultimamente la diocesi cattolica di Pechino ha potuto costituire un Istituto di Studi su Cristianesimo e Cultura: così studiosi cinesi e cattolici impareranno assieme le relazioni fra il cattolicesimo e la cultura cinese».
 
Qual è attualmente, la vostra considerazione della famiglia? E i giovani come reagiscono?
«Noi non mettiamo tutto sullo stesso piano. La famiglia tuttora riveste un peso fondamentale nella società. I giovani riscoprono nella famiglia i valori maggiori, tra cui la cura degli anziani. Ciò non viene fatto come un peso familiare, ma come un sentimento naturale, un dovere. Questo in Cina discende dal fatto che i giovani difficilmente si allontanano dal loro nucleo familiare, così che l’affetto- rispetto cresce con loro, perciò è del tutto naturale che poi essi si prendano cura dei loro genitori. L’istruzione lasciataci da Confucio oltre 2000 anni fa: “L’uomo benevolo ama gli altri” vale anche oggi. Se ognuno seguisse la regola di Confucio di non fare agli altri ciò che non vuole per sé, tutti si sacrificherebbero un po’ ma tutti ne avrebbero beneficio».
 
Cosa ci dice in merito alla politica di pianificazione delle nascite?
«E’ una politica dovuta alla necessità di non esasperare il contenimento della popolazione in un’enorme crescita. Tutte le coppie rispettano tale politica, limitando la procreazione a uno due figli al massimo, specialmente nelle campagne, per motivi di collaborazione lavorativa. Il governo di Pechino, infatti, da quest’anno, ha autorizzato la procreazione di due figli, perché è capitato che una coppia di sposi fosse formata da due figli unici (e ciò neanche è utile per il progresso del nostro Paese)».
 
Ed ora una domanda più spinosa. Il governo cinese perseguita ancora le religioni e le sette come il Falun Gong. La vostra conclamata libertà per ogni culto, dove va a finire?
«In Cina godono tutti di libertà di religione. Per quanto riguarda il Falun Gong, è perseguitata per la ragione che questa pseudo- religione, è un’associazione malvagia, satanica che tende solo ad ingannare la gente. Quindi, non è da considerarsi religione. In Cina si sono verificati molti casi di persone che abbracciano questa religione e poi uccidono moglie, padre, madre. Abbiamo prove di ciò».
 
E per quanto riguarda la libertà della gioventù?
«La gioventù è stata spesso ossessionata e manovrata da gruppi che volevano la caduta del governo. Gli studenti credevano a quello che veniva inculcato da queste persone e compivano atti scellerati, per cui il governo è stato costretto ad adottare misure adeguate per tornare alla normalità. Tutto questo credo sia nato dal fatto che mancava la comunicazione e, quindi, c’era una situazione di crisi dovuta all’isolamento culturale. In ogni caso, gli interventi del governo non possono considerarsi motivi di oppressione, ma ristabilimento dello status quo».
 
Ora i confini si sono aperti. Lei afferma che in Cina c’è la massima libertà per alimentare lo scambio economico- culturale con l’occidente. Cosa si può prevedere?
«Spero che l’Italia e la Cina possano anche in avvenire collaborare per scambi culturali ed economici. Il mio Paese nutre un grande interesse per l’Italia, così ricca di storia culturale ed economica».
 
Insomma, la globalizzazione ha infettato anche voi. Per voi è un bene?
«Sì e credo che gli scambi culturali siano prevalenti».
 
PAROLE PER CAPIRE

• Repubblica Popolare della Cina
• Capo di stato: Jiang Zemin
• Capo del governo: Zhu Rongji
• Capitale: Pechino
• Popolazione: 1,2 miliardi
• Lingue ufficiali: cinese standard, mandarino
• Pena di morte: in vigore.
 
UN CABIO EPOCALE
La Cina entra nel World Trade Organization (Wto), l’organizzazione mondiale per il commercio, il 10 novembre 2001. Dopo la Rivoluzione di Mao, ne era uscita nel 1950 dal Gatt (antesignano del Wto) denunciandolo come “club di capitalisti”. Entrando nel Wto la Cina apre le porte agli investitori occidentali, ansiosi di mettere le mani su un mercato enorme. Essa non è più un Paese socialista. Dal punto di vista economico ha varato la formula del “capitalismo di Stato”. Un mercato con potenzialità enormi e con squilibri vastissimi. L’economia cinese cresce ad un tasso annuo del 7-8 per cento. Il 40 per cento delle sue esportazioni si spostano negli Usa. E’ la quinta potenza economica mondiale. Il sistema produttivo cinese è stato riorganizzato negli anni Novanta, con la creazione di zone economiche a regime speciale che hanno attratto, per le favorevolissime condizioni di investimento, molti capitali interni e stranieri.
 
I NUMERI DELLA CINA
L’economia cinese sembra in buona salute. Il prodotto interno lordo è salito del 7,8 per cento nei primi sette mesi del 2001 e le riserve di valuta ammontano a 190 miliardi di dollari (crescita di 24 miliardi di dollari nel 2002). Da quattro anni Pechino ha aumentato la pressione fiscale, ma il rapporto debito/prodotto interno lordo è comunque sotto il 15 per cento. Prima ancora dell’ingresso nel Wto la Cina ha abbassato le barriere doganali dal 43 per cento del 1992 al 17 per cento del 1997, assorbendo 225 miliardi di dollari di importazioni nel 2000. Mentre in tutta l’Asia le esportazioni sono in calo, per la Cina sono cresciute dell’8,7 per cento, proiettando Pechino al settimo posto nel mondo (dopo Canada, Regno Unito, Francia, Giappone, Germania e Usa) e al primo dei Paesi non industrializzati. Negli ultimi vent’anni il Pil è cresciuto a una media del 9 per cento ogni anno.
 
Cina a due velocità

I costi sociali della crescita economica cinese sono enormi. Per 800 milioni di contadini che vivono con 270 dollari l’anno ci sono cento milioni di ricchi delle zone costiere che navigano ad una media di 2500 dollari. Altri trecento milioni di cinesi sono nel mezzo. La regione più sviluppata è il Guangdong, la più arretrata il Qinghai.
 
Cosa succederà in Cina
Il 90 per cento dei lavoratori cinesi è impiegato in imprese pubbliche. La recessione che sta colpendo l’economia mondiale obbligherà i vertici cinesi a scelte drastiche. Si temono ondate di licenziamenti, che stanno già avvenendo, nei vari settori.
 
La sfida per il Partito Comunista
Nell’inverno 2002-2003 il Partito comunista ha rinnovato il 60 per cento dei suoi vertici. Usciranno di scena i settantenni e i nuovi eletti dovranno  affrontare l’integrazione internazionale. Con l’apertura in economia vi saranno anche le richieste di apertura in campo politico. 
 
La svolta storica di Shanghai
Il vertice dell’Apec (il forum di cooperazione economica dei Paesi dell’Asia e del Pacifico), tenutosi a Shanghai dal 19 al 21 ottobre 2001, ha tracciato la bozza di un nuovo ordine mondiale. Nella conclusiva “dichiarazione ideale” l’Apec “individua nel libero mercato la bandiera della grande coalizione e insieme il bersaglio che i terroristi volevano distruggere”. La dichiarazione conferisce di fatto alla Cina lo status di potenza mondiale, economica e politica. Lo stesso George W. Bush ha citato Pechino quale “modello di libero mercato”.
 
La benedizione del Papa
Giovanni Paolo II chiede perdono a Pechino per gli “errori commessi nel passato da alcuni membri della Chiesa in Cina”. Il Papa coglie l’occasione di un convegno internazionale sul missionario Matteo Ricci(1552-1610) per lanciare un’inaspettata proposta di dialogo al governo della Repubblica popolare cinese. In una lettera Wojtyla auspica la normalizzazione dei rapporti tra Santa Sede e Pechino, “superando le incomprensioni del passato” e guardando “al futuro dell’umanità”.
 
La Cina dopo l’11 settembre
La Cina  gioca, ora,  a carte scoperte. Gli Usa, nell’attacco all’Afghanistan, hanno goduto della non interferenza di Pechino, che nella regione ha interessi notevoli.  Chiudendo la frontiera con l’Afghanistan, ha impedito  a Bin Laden di scappare nello Xinjiang. In cambio ha ora mano libera in Tibet, nello stesso Xinjiang e su Taiwan. Gli Usa non possono più ergersi a paladini dei diritti dei tibetani. Tantomeno possono alzare la voce sulle manovre militari con cui Pechino minaccia ciclicamente Taiwan.
 
Le ragioni del sostegno cinese agli Usa
La Cina non vuole instabilità nell’Asia centrale. Nel maggio 2001 a Shanghai ha firmato un’intesa antiterrorismo con Russia, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan. La paura di Pechino è che gli abitanti dello Xinjiang (gli Uighuri, popolazione turcofona) si stacchino dalla Cina per dar vita allo stato indipendente del Turkestan Orientale. Si tratta di un progetto concreto, sostenuto dalla rete di Bin Laden. Per fermarlo Pechino ha creato una propria geopolitica mediorientale. Un comportamento da superpotenza che si sposa con gli interessi delle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale di fermare l’estremismo islamico. Il governo del Kazakistan, in particolare, è attivissimo nella caccia alle formazioni legate a Bin Laden. E’ da ricordare che la regione autonoma dello Xinjiang è ricca di risorse naturali (petrolio, carbone, oro, piombo, rame, zinco e uranio). Da anni le autorità cinesi reprimono violentemente i movimenti indipendentisti ughuri. Finché ha potuto Pechino ha tenuto nascosta la repressione. Ora cerca di giustificarla sostenendo di avere a che fare con attacchi terroristici sistematici e gravissimi. In realtà i cinesi musulmani del Xinjiang sono tendenzialmente moderati. Non predicano la jiahd. Con  il Pakistan, pure musulmano, ha in comune un lungo confine. Il Governo non ha chiuso le frontiere, però ha rafforzato le misure di sicurezza.
 
Ordinamento statale
La Cina conserva la struttura tipica di un Paese comunista. E’ una Repubblica popolare con partito unico. Il Presidente è eletto ogni cinque anni dal Congresso nazionale del Popolo. Il potere legislativo è esercitato dall’Assemblea Nazionale del Popolo, composta da circa 3.000 deputati.
 
L’altra faccia della Cina
I diritti umani vengono repressi con crudeltà e tutti i movimenti culturali, politici e religiosi non schierati con il regime subiscono uguale sorte. Largamente applicata la tortura. La Cina è il Paese con più condanne a morte in assoluto. La pena capitale è usata in modo massiccio e arbitrario. Ogni anno avvengono migliaia di esecuzioni, quasi sempre pubbliche e per fucilazione(Cfr: I Rapporti di Amnesty International).
Circa il contenimento della popolazione, la politica demografica è rigidissima, essendo questo paese il più popoloso della Terra. In diverse regioni le autorità hanno imposto il limite di un figlio a famiglia. Il controllo è attuato attraverso aborti coatti e infanticidi.
Le religioni nella Cina comunista sono state a lungo schiacciate, però pare che vi sia un  auspicato ripensamento della “politica di libertà religiosa” perseguita fin qui dal PCC.
“Il PCC controlla il governo, le forze armate e il parlamento, controlla le corti di giustizia e le prigioni, controlla le banche, i mercati e tutta la terra. Inoltre controlla cosa la gente può ascoltare o cantare, quali films può vedere, quali libri e giornali possono essere pubblicati e quali siti informatici debbano essere chiusi…”: Agence France Press, 25/6/02.