«LA CITTÁ DELLA PAURA. QUALE VERONA STIAMO COSTRUENDO?» (di Sergio Paronetto)


Poco prima delle elezioni comunali, venti esponenti dello scoutismo veronese hanno voluto rendere pubblica la loro preoccupazione a proposito di frasi pesanti, usate dal vicesindaco di Treviso, compagno di partito dell’allora candidato sindaco di Verona. «Poiché riteniamo che le parole abbiano peso, e che chi si candida a rappresentare l’intera città, soprattutto quando appoggiato da alcuni dei maggiori partiti politici, non possa lasciare margini di dubbio circa il rispetto di valori fondanti di una società libera e democratica, chiediamo al candidato sindaco Flavio Tosi di dichiararsi pubblicamente e inequivocabilmente contrario ad ogni forma di pulizia etnica e di violenza armata, in generale e come politica per i prossimi anni di amministrazione, e di prendere le distanze da ogni persona che dichiari simili gravissime intenzioni. Ciò in considerazione della gravità di quanto continuamente affermato dal candidato sindaco, in pieno contrasto con i valori di fraternità internazionale e di rispetto della persona a prescindere dall’etnia, dal credo religioso, dal sesso, dall’estrazione sociale, che insegniamo ai nostri ragazzi, e non ultimo in contrasto con i valori della vocazione cristiana che ci anima. Abbiamo assistito ad una campagna elettorale dai toni particolarmente poco edificanti da parte del candidato sindaco, ed in particolare nei casi sopra citati di pessimo esempio per i ragazzi cui rivolgiamo la nostra azione educativa. Non vorremmo trovarci nella situazione di doverci vergognare, come educatori di futuri cittadini attivi e responsabili, del nostro Sindaco» (1) .

Il mercato della paura, il populismo etnico

Il nuovo sindaco viene eletto con una maggioranza schiacciante al primo turno. Con lui vince una forma di populismo etnico basato sulla gestione del «mercato della paura», sull’ossessione della sicurezza, sulla ricerca ostentata del «capro espiatorio» verso il quale orientare l’aggressività latente e il vuoto di socialità tra i cittadini. La nuova figura del «nemico», costituita dallo straniero invasore e delinquente, promuove un clima di autocelebrazione identitaria ed esalta l’individualismo proprietario. In una città dalle passioni tristi, incattivita dalle novità della globalizzazione e delle migrazioni, socialmente frammentata e culturalmente disorientata, la proposta populista risulta dominante. Verona, comunemente definita moderata o conservatrice, si scopre radicale, estremista, separatista. La Verona cattolica («fedele») sembra chiudersi in una religione settaria e adottare una logica tribale. Perfino il Carnevale si sta etnicizzando con maschere indossabili solo da veronesi con almeno 30 anni di residenza!

Verso una «residenza censitaria»

A sei mesi dall’elezione, la popolarità del sindaco sembra ancora più estesa. Eppure «L’Arena», giornale tradizionalmente vicino ai governanti locali, ospita spesso lettere allarmate sul clima sociale e culturale che si sta formando. Molte sono le riflessioni preoccupate verso provvedimenti e iniziative ritenute negative o dannose: il ritiro dalla marcia Perugia-Assisi e dal Collegamento nazionale degli Enti locali per la pace; il mancato patrocinio del Congresso nazionale del Movimento nonviolento, riunito a Verona dal 1 al 4 novembre, al quale sono arrivati i saluti del presidente del Senato e della Camera, ma non quelli del Sindaco e della Giunta; la sospensione del «Municipio dei popoli» (esperienza originale che aveva promosso 15 progetti di cooperazione e attivato Tavoli aggreganti realtà impegnate nel campo dei diritti umani, della solidarietà e della pace; in tale ambito ora la Giunta facilita accordi separati con singole associazioni); l’abolizione del premio Enzo Melegari (presidente del Movimento Laici America latina scomparso da pochi anni, in onore del quale sono stati premiati Chiara Castellani, don Luigi Adami e mons. Bregantini); la proposta di abolire la neonata Consulta degli Immigrati; l’assenza dall’iniziativa «moschea aperta»; l’indifferenza per l’annuale rassegna del cinema Africano; la riduzione di esperienze formative per mediatori culturali e attività interculturali; l’installazione di panchine antibarboni; la severità verso i consumatori di panini in piazza Brà ma il lassismo verso i proprietari di Suv parcheggiati abusivamente in piazza Erbe; l’approvazione della presenza notturna di ronde di cittadini con manganelli e pistole elettriche; l’assegnazione di un bonus per neonati solo se italiani-veronesi «con adeguati presupposti di residenza»; la conseguente modifica dei parametri abitativi a sfavore delle famiglie degli immigrati, cioè l’innalzamento del numero dei metri quadri richiesti agli immigrati che chiedono di farsi raggiungere da moglie e figli, da 14 mq a testa a 46 per uno, a 60 per due, a 70 per tre così via (si tratta di limiti che metterebbero in crisi molte famiglie veronesi e che vanno di fatto verso una «residenza censitaria»); la sospensione delle iniziative di sostegno ai senza fissa dimora ospiti del dormitorio Camploy con la sostituzione degli operatori sociali (legati agli «avvocati di strada») con forze di polizia privata verso le quali, secondo quanto denunciato dalla cooperativa «Self Help», verrebbe dirottato abusivamente il finanziamento sociale della Fondazione Cariverona (700 mila euro in tre anni); la riduzione o la scomparsa di esperienze affidate alla Comunità dei Giovani e alla Comunità di Emmaus, come la gestione dell’asilo notturno «Corte Marini» (nata nel 2004 in memoria dell’Abbé Pierre), o convenzioni come quella sui rifugiati politici…

La guerra ai poveri

Il ritiro da molte iniziative solidali, adducendo motivi di spesa eccessiva, non è credibile visto, ad esempio, il sostegno al cosiddetto «movimento per la liberazione della moneta» organizzato dalla destra neofascista; l’aiuto rivolto a sodalizi neo-templari e ad aggregazioni tradizionaliste che intendono usare le messe in latino per scopi etnico-politici (in contrasto sia con lo spirito del «motu proprio» pontificio sia con le indicazioni diocesane); la concessione gratuita della Gran Guardia e del teatro Filarmonico a un’importante società commerciale romana per il concerto di Natale con il pretesto della beneficenza; il pagamento alla Provincia (politicamente amica) di un prezzo sproporzionato (il quadruplo, secondo l’ex sindaco Zanotto) rispetto alla stima ufficiale, a proposito di una parte dell’area di S. Giacomo in Borgo Roma; il raddoppio dei dirigenti «esterni» e altro.

Il 19 novembre 2007, il presidente della Comunità di Emmaus, Renzo Fior, ha scritto una lettera al vescovo in cui lamentava «l’accanimento nei confronti di una istituzione che a Verona ha 35 anni di vita e che ha dimostrato, con sacrificio e costanza, d’avere le competenze per lavorare con intelligenza nel sociale. Non possiamo restare a guardare mentre si massacra un’istituzione, che ha anche connotazioni religiose, senza reagire». Il giudizio complessivo di Fior sulla politica sociale del Comune è netto: «Ho l’impressione ma più che l’impressione è una certezza che si voglia fare la guerra ai poveri e non alla povertà […] si rafforza l’idea che questa società è il luogo dove possono stare solo i più forti, i più capaci» (2) . Osservazioni ancora più allarmate offriva l’ex assessore Tito Brunelli, presidente di Progetto Verona, per il quale stiamo andando verso «una strada spaventosa», «un crollo di umanità», «una crisi totale» (3).

La costruzione del nemico, l’ossessione securitaria

Nell’usare le paure (spesso reali ma enfatizzate ad arte) per creare un facile consenso, Flavio Tosi può trasformarsi nel classico apprendista stregone. La realtà può sfuggirgli di mano. Verona non è una città razzista ma rischia di diventarlo a causa di una politica di costruzione del nemico e di una gestione ideologica delle paure diffuse che la precedente amministrazione, pur attiva (silenziosamente) nel campo della sicurezza, non ha saputo individuare e gestire in modo coinvolgente. Nel periodo della Giunta Zanotto, l’ostinato e aggressivo ostruzionismo del centro destra, mescolato a settarismi e personalismi del centro sinistra, ha bloccato progetti di ampio respiro avviati tra mille difficoltà. Salvo eccezioni, anche la “società civile” veronese si è come ritirata nelle sue lodevoli ma separate attività, dimostrando scarsa attenzione al lavoro politico, alterna partecipazione o disattenzione alle dinamiche psicosociali di una cittadinanza impaurita ed eccitata dagli imprenditori dell’ossessione securitaria.

Oggi la spirale delle paure sta generando un clima sociale aggressivo. Qualunque incidente può diventare una miccia esplosiva. Ne sono avvisaglia piccole violenze tra persone di opposto orientamento o di diversa origine geografica che possono innescare tragedie. Lo rilevava il presidente reggente della Corte d’Appello di Venezia, Nicola Greco, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008: «A Verona sono stati registrati atti di matrice criminale con una deriva xenofoba che vedono coinvolti giovani e giovanissimi» (4) . Nel panorama dell’esibizionismo mediatico, tanti discorsi centrati solo sulla sicurezza contro gli «stranieri», enfatizzati da trasmissioni televisive dove il nostro sindaco è spesso presente, stanno innalzando il conflitto emotivo tra i cittadini, aprendo o allargando ferite.

Si alimentano divisioni non solo tra veronesi e «stranieri», ma tra buoni e cattivi veronesi, anzi tra autentici e falsi cattolici, tra la «nostra gente» e gli altri. A mio parere, stiamo rischiando di sviluppare una forma psicopatologica di autismo sociale e un ambiente necrofilo o violento. In un contesto favorevole al turpiloquio, è sempre più facile ascoltare il linguaggio plebeo del «fora da le bale» e del «coparli tutti». Continuano i cori razzisti di gruppi di «tifosi» dell’Hellas Verona. In qualche raduno si urla contro gli stranieri come «discarica criminale» e si grida che «le mazze non servono solo per giocare a baseball ma per fare pulizia totale». La marcia del 15 dicembre 2007, promossa dall’estrema destra (Fiamma tricolore, Forza Nuova e Veneto Fronte Skinheads) per difendere una persona vittima di violenze, si è trasformata in una sagra di insulti contro tutto e tutti (compreso, inaspettatamente, il giornale locale) e si è conclusa con l’assalto a tre paracadutisti della Folgore accusati di essere meridionali. La partecipazione del sindaco alla marcia ha provocato qualche presa di distanza da parte di alcuni esponenti della stessa maggioranza, preoccupati per la cattiva immagine della città, forse a disagio davanti al protagonismo del sindaco che sembra annullare l’azione degli alleati.

Rischi di un nuovo razzismo

Le manifestazioni muscolari e urlate non costituiscono una sorta di folklore improvvisato, una febbre improvvisa. Da anni Verona è inquinata da volantini, pubblicazioni e iniziative di matrice reazionaria o neorazzista. Al riguardo, ricordo solo due momenti.

Nel novembre 2004, l’allora direttore di «Verona fedele» Bruno Fasani interveniva, a proposito di un incontro tempestoso tenutosi a Valeggio, con un lucido editoriale in cui invitava Tosi, a quei tempi consigliere regionale, a rendersi conto sia della pericolosità delle sue tesi, simili a quelle di De Gobineau e di Chamberlain, sia dell’improponibilità dei «regimi di cristianità, tanto cari a certo leghismo […] regimi devoti a innalzare barriere, purché si individuasse un nemico da combattere: si chiamasse invasore, eretico, strega, musulmano…Regimi battezzati nel nome di un dio minuscolo, estraneo a quello evangelico […] il Dio di Gesù Cristo, venuto nel mondo come straniero e come tale accolto, rifiutato negli alberghi di Betlemme. Discendente di Abramo, l’arameo errante, girovago sotto le stelle». Fasani auspicava di incontrare «leghisti di valore, disposti a rompere la catena dell’ostentazione muscolare ideologica di alcuni loro rappresentanti d’assalto» e cattolici vigilanti perché «la demagogia politica ha le sue leggi, ma la coscienza ha, essa pure, le sue» (5). Flavio Tosi non demordeva. Una settimana dopo, ribadiva il suo pensiero sui musulmani: “Mi fa venire i brividi sentirli chiamare fratelli. Sono soggetti assolutamente diversi da noi. Se devo pensare ad un fratello, penso a qualcos’altro […]. Tale diversità, unitamente a molti concetti espressi dall’Islam contro il Cristianesimo, implica la considerazione che non si possono considerare nostri fratelli e nemmeno amici […]. Ritengo che la loro religione sia assolutamente incompatibile con la nostra società occidentale e pertanto ogni processo di integrazione con l’Islam diventa impossibile poiché per quelle popolazioni il ‘credo’ supera ed assorbe addirittura la legge dello Stato. Infine, la dottrina musulmana è infarcita di violenza, di sopraffazione e di odio e disprezzo verso chi professa una Fede diversa; da ciò discende che la millenaria società araba, un tempo esempio di cultura e di progresso, è rimasta ancorata al pregiudizio e ad estremismi come la Guerra santa , rappresentando oggi un modello socio-culturale arretrato e retrogrado, di gran lunga inferiore ed incompatibile con il Cattolicesimo e l’Occidente» (6).

Qualche mese dopo, Pax Christi, a proposito della manifestazione leghista del 13 febbraio 2005, esprimeva «il suo dolore per il diffondersi di un linguaggio rozzo, razzista e violento, espressione di degrado civile, foriero di scontri di civiltà» e invitata «le comunità cristiane a prendere pubblicamente le distanze da persone, gruppi o partiti che, invocando la Padania bianca e cristiana, insultano il nome di Gesù Cristo e che, brandendo il Crocifisso di legno, alimentano una campagna di odio e di esclusione verso i Crocifissi di carne. L’offesa più grave che si possa fare al Crocifisso, segno reale di nonviolenza, è quello di usarlo come emblema di parte e di bestemmiarlo come molla o ingrediente di uno “scontro di civiltà” per giustificare violenze e guerre» (7).

Il povero non è un delinquente

La politica comunale allarma anche il settimanale diocesano più volte intervenuto, fin dalla primavera scorsa, per precisare che l’urgenza politica a Verona va oltre il campo delle famiglie rom di Boscomantico, e che l’ostentazione dei valori cristiani non risulta sempre opportuna (8). Nel dicembre 2007, Alberto Margoni, direttore di «Verona fedele», pubblica un editoriale significativo dal titolo: Attenzione: il povero non è un delinquente, meritevole di una lunga citazione. «Le cifre snocciolate dal recente Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia, elaborato dalla Caritas e dalla Fondazione Zancan, parlano chiaro. Due milioni 623mila famiglie, corrispondenti a sette milioni 537mila persone, pari al 12,9% della popolazione vivono in una condizione di povertà. Ovvero dispongono di meno di 580 euro se single, non arrivano a 970 se composte da due persone o a 1.580 se formate da 4 componenti. Questo significa che in giro ci sono 7,5 milioni di persone socialmente pericolose? Certamente non è così. Sono famiglie italiane alle quali andrebbe tolta la cittadinanza? […]. Perché loro sì e gli stranieri no? Fondamentalmente per il fatto che, benché povere, comunque sono persone che votano. Eppure il dibattito di questi ultimi giorni, non privo di polemiche politiche, innescate in seguito alla decisione del sindaco di Cittadella di concedere, sulla base di un recente decreto legislativo, la residenza solo agli stranieri che dispongano di una casa decorosa, di risorse economiche sufficienti per sé e per i propri familiari, di un’assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi e non abbiano commesso reati, rischia di portare a identificare tout-court chi ha un basso reddito con la propensione a delinquere. Ma, prima ancora, induce a riflettere il fatto che porta a valutare una persona sulla base di criteri economici. Quasi che il ritenerla degna di far parte della nostra società possa essere decretato in primis dalla capacità non solo di lavorare […] ma anche di sostenere i nostri stili di vita improntati sul consumo. Mostrandogli che da noi conta l’avere prima ancora dell’essere» (9).

Auto-reclusione e sicurezza umana

Nel novembre 2007, tre parrocchie di Borgo Roma (Tomba Extra, Gesù Divino Lavoratore e San Giacomo) pubblicano un documento intitolato Non c’è sicurezza senza comunità: «L’impressione frequente è che sia in atto un processo di auto-reclusione. Ciascuno insieme con la propria famiglia, assediato e al tempo stesso prigioniero del mondo esterno. Delle nostre paure e della Paura […]. Riteniamo che per i cristiani delle nostre comunità è necessario superare l’individualismo della fede, l’anonimato della presenza, la sindrome da assedio e auto-reclusione. Ciò significa mobilitare energie, idee e progetti […]. Oltre al coraggio di uscire di casa, vogliamo invitare tutti a una maggiore  partecipazione alla vita dei nostri quartieri, a spegnere il televisore, fonte spesso di percezioni distorte della realtà, a non lasciarci condizionare da eventi tragici che invadono e contagiano il nostro sentire, a non spegnere la speranza e la ricchezza che una sana convivenza plurale può promettere […]; la convivenza vera e buona è creata dalla condivisione dei beni comuni ritenuti non negoziabili». A tale fine, è «doveroso da parte nostra concorrere a promuovere una cultura dell’accoglienza, del rispetto reciproco e adottare comportamenti e stili di vita coerenti e consapevoli» (10).

In occasione dell’Epifania dei popoli (6 gennaio) e della Giornata Mondiale del migrante (13 gennaio), la commissione pastorale «Migrantes», la Caritas, il Centro missionario, il Cestim, il Centro Pastorale immigrati stampano per tutte le parrocchie una mappa delle iniziative di accoglienza. L’iniziativa, scrive Michele Morando, direttore di Migrantes, potrebbe «contrastare in modo propositivo l’immagine di una città spaventata, diffidente e inospitale» (11). Durante la celebrazione dell’Epifania, svoltasi in cattedrale, è il vescovo Zenti a esclamare: «Verona non ha paura di voi, qui siete a casa vostra!». «L’accoglienza è un valore universale – egli affermava il 4 gennaio – è dovere di tutti mettere gli stranieri nelle condizioni di vivere dignitosamente a Verona, sia quelli che hanno lavoro e casa, sia quelli che non ce l’hanno» (12). Identiche espressioni ripeteva negli stessi giorni a Milano il cardinale Tettamanzi che ha preso le distanze da quei sindaci veneti che hanno adottato iniziative per ostacolare i ricongiungimenti familiari di tante brave persone in difficoltà. La legalità, egli osservava, può essere rispettata se la politica crea le condizioni perché le leggi possano essere rispettate (13).

 

Il Sinodo diocesano veronese va proprio in questa direzione. Il libro sinodale può diventare un importante punto di riferimento, in particolare i capitoli su «I mondi del disagio» e «Dialogo e annuncio nella pluralità culturale, sociale e religiosa» (14). Il tema dei migranti ha un rilievo storico. Si collega alla costruzione della cittadinanza nell’epoca dell’interdipendenza. Invoca politiche di lungo respiro, concrete, laiche. Nella lettera al presidente Napolitano, il vescovo Zenti parlava di “laicità” come «convergenza integrativa delle identità differenziate» (15). Tonino Bello la chiamava «convivialità delle differenze» (16).

Una religione civile, un cristianesimo senza Cristo

L’esperienza veronese-veneta non è isolata. Flavio Tosi si è sempre vantato di difendere i «valori cristiani». Per l’amico europarlamentare Mario Borghezio, egli è un «guerriero crociato» che sta guidando «un’avanguardia metapolitica pronta a impugnare la spada», un «eroe padano» che incarna «lo spirito di Lepanto» contro il «conformismo cattocomunista» (17). Ciò che sta maturando appare in contrasto non solo con la Dottrina Sociale della Chiesa o col pensiero del papa (tanto osannato come icona tradizionalista quanto ignorato come portatore di un messaggio universale), ma sembra confermare l’analisi-previsione di Huntington, già esponente della Commissione Trilaterale, a proposito dello “scontro di civiltà” provocato da appartenenze basate sull’identificazione tra territorio, sangue e cultura (18). Anche a Verona si sta organizzando una religione civile distante sia dalla laicità della politica che dalla trascendenza della fede cristiana. Ne parlano ormai in molti. Lo notavano ultimamente alcuni autorevoli osservatori. Ne ricordo almeno tre. Per lo studioso Renzo Guolo, nel Veneto sta nascendo una «nuova xenofobia» che trasferisce su un capro espiatorio collettivo frustrazioni provocate dal sommarsi di altri problemi e si sta consolidando un «cristianesimo senza Cristo» dove l’altro è visto come nemico. Starebbe, quindi, affermandosi un’ideologia religiosa radicalmente anticristiana basata sul «binomio sangue e suolo», pronta a brandire la croce come simbolo identitario contrario al bene comune e a una reale integrazione perché spinge tutti a rifugiarsi in comunità originarie, parallele e separate (19).

 

Chi da tempo ripropone la «differenza cristiana» come radicale novità, fonte di laicità politica, di ricerca spirituale e di profezia ecclesiale, è il monaco di Bose Enzo Bianchi (20). Nel maggio 2007, egli rilancia l’allarme di René Remond che «aveva denunciato il sorgere di un nuovo anticristianesimo, aveva anche profetizzato l’avvento di un uso politico della religione da parte di forze politiche ad essa estranee; anzi, aveva individuato la difesa della religione e dei suoi valori come opportunità feconda per guadagnare consensi in una stagione segnata da frammentarietà culturale ed etica e da tentazioni identitarie […]. Da tempo ripeto che questi sono giorni cattivi, soprattutto per i cristiani credenti in Gesù Cristo e nella forza del Vangelo che hanno alle spalle una vita segnata dalla ricerca di dialogo, di confronto, di apertura: una via tracciata e indicata dalla chiesa stessa e originata anche dall’evento del Vaticano II […]. La mia generazione di cattolici ha imparato, con fatica e con uno sforzo di obbedienza leale, che il dialogo con i non cristiani era urgente e apparteneva allo stile evangelico dello stare nel mondo e nella compagnia degli uomini; ha imparato che occorreva vivere con intelligenza e responsabilità il “dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, accogliendo una giusta laicità che garantisse a tutti la libertà religiosa e permettesse alle religioni di esprimersi pubblicamente; ha imparato che ai cristiani era chiesto di assumere la misericordia, l’accoglienza, la compassione come abiti evangelici. Ma adesso anche queste acquisizioni, assunte a caro prezzo, appaiono non solo incerte ma minacciate da opzioni che le contraddicono […]; chi dialoga con avversari (non “nemici!”) è ritenuto un traditore o un buonista arresosi agli altri; chi denuncia il rischio di una chiesa che viva di politica e di strategia appare come un nemico della chiesa stessa […]. Il “religioso” abita ormai lo spazio pubblico con derive settarie, con posizioni fondamentaliste e intolleranti, con logiche lobbistiche: così, nelle grandi sfide etiche che premono sulla società civile, i credenti faticano a raccontarsi, ad affermare le proprie ragioni […]  la religione “risorge”, soprattutto come risorsa identitaria ed etica che la rende più facile preda di forze politiche che vogliono sfruttarla a proprio vantaggio» (21).

Lo storico Pietro Scoppola, recentemente scomparso, in merito ai movimenti politici dell’estrema destra disponibili ad agire per la difesa esclusiva ed escludente dei “valori cristiani” in un’ottica di lacerazione della convivenza civile e della comunità ecclesiale, osservava che è in atto una mobilitazione simile a quella promossa dell’Action Francaise, il movimento di Charles Maurras sostenitore di «un cattolicesimo ateo, anticristiano, paganeggiante, intollerante, antiliberale, antisemita». La sua condanna per opera di Pio X nel 1914 e di Pio XI nel 1926 è stata lungimirante e quasi preventiva nei confronti di Benito Mussolini che, come ricorda Ciano, amava definirsi «cattolico non cristiano» (22).

Quale veronesità?

L’ipotesi di un Comune etnico-ideologico è presente anche nella proposta formulata dalla presidente della Commissione comunale per la cultura Lucia Cametti che intende organizzare «un gruppo di studio a contenuto storico-istituzionale» per rianimare la «veronesità» e pensa di ricostruire il Carroccio (del 1136) tramite «pubblica sottoscrizione» trasformandolo nel simbolo della città (23).  Nella sua polemica con Pax Christi (24), ciò che preoccupa non è tanto la proposta di identificare la città con «un’insegna militare» ma la formulazione incalzante della veronesità come criterio interpretativo (discriminante) per la storia, la cittadinanza, l’autenticità cattolica e civile dei veronesi. Chi è veronese non deve rifarsi alla Costituzione italiana o alla Dichiarazione Universale dei diritti umani o allo Statuto del Consiglio comunale. Se cattolico, è secondario che si richiami alla Parola di Dio, ascoltata in una comunità ecclesiale in cammino («sinodale»). Ciò che conta è adottare «quella peculiare mentalità tutta veronese per formulare giudizi di valore sulle situazioni e per rinnovare ciascuno la propria relazione con Verona» (25).

Che cosa vuol dire? Quale veronesità? Presento alternative secche, per chiarezza e brevità

La mentalità da quadrilatero austro-ungarico o il respiro di persone come Daniele Comboni, Nicola Mazza, Gaspare Bertoni, Giovanni Calabria? La Repubblica Sociale Italiana o la lotta di coloro che, lottando per la liberazione, hanno portato Verona alla medaglia d’oro della Resistenza? Il doroteismo democristiano o il cattolicesimo democratico di Renato Gozzi e G. Battista Rossi?. La tangentopoli o mafiopoli locale degli anni ’80 e ’90 o l’azione di uomini come Antonio Maritati fino a Papalia? Gli skinheads o i “Beati costruttori di pace” promotori di grandi incontri in Arena? Lo “spirito di Lepanto” contrario al Vaticano II o il grande Romano Guardini, battezzato nella Chiesa di S. Nicolò all’Arena? Una religione iper-tradizionalista o una comunità ecclesiale aperta alla novità del Sinodo diocesano? La sana tradizione di Dino Coltro o il turpiloquio plebeo e blasfemo di molti?

Altri volti veronesi andrebbero evidenziati (26). Oltre a quelli citati, ricordo alcuni che ho indirettamente o direttamente conosciuto nel mio cammino formativo: filosofi come Giuseppe Zamboni e Giovanni Giulietti; personalità come Giovanni Dusi, Berto Perotti, Augusto Tebaldi, Bruno Bertolaso, Filippo de Girolamo, Marino Offeddu, Lucio Regaiolo, Federico Bozzini; i protagonisti delle lotte bracciantili tra il ’45 e il ’50 nella bassa veronese mentre in città (e dintorni) operavano Aldo Fedeli, Giovanni Uberti, Guido Gonella, Tullio Tomba, Luigi Bacciconi, Vincenzo Casati; educatori come Renzo Bellomi e Rino Furri, Gigi Beltramini (il Gibe di “Vita veronese”) e il capo scout Luigi Brentegani; artisti come Giorgio Totola ed Ezio M. Caserta; amici come Enzo Melegari, Natale Scolaro, Silvio Tubini, Giuseppe Zambon e tanti operatori di pace tornati alla casa del Padre o in cammino con noi. Chi pensa alla loro veronesità? O a quella di San Zeno che ride (come canta Berto Barbarani), emblema di un’identità locale-universale sorridente, quasi un programma di intercultura?  Anche l’Adige non si ferma a Verona. Il titolo della recente iniziativa “Dall’Adige al Nilo” mi ha fatto venire in mente il verso di Barbarani sull’“Adese che va in cerca de paesi e de cità”. Lo identifico con un fiume di pace: quello cha ha sfilato contro la guerra in Iraq nel febbraio 2003; quello che si reca alla marcia Perugia-Assisi o al Forum Sociale Mondiale di Nairobi; quello che ha sfilato in piazza Brà per i monaci birmani; quello della manifestazione del 22 dicembre 2007 in piazza Bra, promossa dal “Coordinamento per la democrazia”, durante la quale alcuni giovani hanno letto brani della Costituzione, della Dichiarazione Universale dei diritti umani, di Gandhi, di Primo Levi, di Etty Hillesum; quello ecumenico giovanile del 25 gennaio da S. Zeno a piazza Brà. Quello del cartello associativo “Nella mia città nessuno è straniero” attivo negli anni ’90, che si sta rilanciando a favore di una “sicurezza umana” per il bene di tutti e di ciascuno. Qui parte un’altra riflessione sulla Verona della speranza.

Sergio Paronetto

Fonte: Pubblicato su “Note mazziane” n.1, gennaio-marzo 2008.

Note

1 «L’Arena», 25 maggio 2007. Tra i firmatari, ricordo Alberto e Giancarlo Falezza, Paola e Marta Tonin, Elena Santoro, Valentina Melloni, Bruno Rossi, Camilla Sandrini, Giordano Marconcini, Paolo Tacchi Venturi.

2 Renzo Fior aveva scritto su «L’Arena» anche il 24 luglio 2007.

3 «L’Arena» 3 gennaio 2008. Tra gli interventi critici più ampi apparsi su «L’Arena», segnalo quelli di Luigi Viviani (21 agosto 2007), Giorgio Massignan (9 settembre 2007), Dino Poli (3 novembre 2007), Lucio Russino (9 dicembre 2007), Giorgio Gabanizza e Giancarlo Frigo (11 gennaio 2008), Giuseppe Brugnoli (17 gennaio 2008).

4 «L’Arena», 27 gennaio 2008.

5 «Verona fedele», 14 novembre 2004.

6 «Verona fedele», 21 novembre 2004.

7 In piedi costruttori di pace!. L’itinerario di Pax Christi, a cura del “punto pace” di Verona, Iter, maggio 2006.

8 Tra gli interventi più ampi su «Verona fedele», oltre ad alcuni editoriali del direttore, cito Renzo Beghini (22 luglio 2007), Giuseppe Pizzoli (23 dicembre 2007), Michele Morando (30 dicembre 2007), Tito Brunelli (27 gennaio 2008), Carlo Melegari (10 febbraio 2008).

9 «Verona fedele», 2 dicembre 2007.

10 «Verona fedele», 25 novembre 2007.

11 «Verona fedele», 30 dicembre 2007.

12 «Verona fedele», 13 gennaio 2008.

13 «La Repubblica», 7 gennaio 2008.

14 Diocesi di Verona, Sinodo, Che cosa cercate?, Verona 2002-2005, Studio Iride, Verona 2005.

15 «Verona fedele», 14 ottobre 2007.

16 A. Bello, Convivialità delle differenze, Omelie crismali, La Meridiana, Molfetta 2006.

17 «L’Arena», 23 dicembre 2007.

18 S. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000.

19 R. Guolo, Dove nasce la nuova xenofobia, «La Repubblica», 13 dicembre 2007 e Dalle ronde alle ordinanze razziste, la regia leghista prepara un pogrom, «La Repubblica», 23 dicembre 2007.

20 E. Bianchi, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006. Cfr. anche Cristiani nella società, Rizzoli, Milano 2003.

21 E. Bianchi, Se il nemico dei miei nemici è il mio Dio, «La Stampa», 6 maggio 2007.

22 P. Scoppola, Il ritorno della religione e il pericolo del conflitto, «La Repubblica», 10 novembre 2004. Un libro agile e chiaro sulle realtà politiche ispirate alla nuova destra populista in Europa e in Italia è quello del giornalista Bruno Luverà, Il Dottor H., Haider e la nuova destra europea, Einaudi, Torino 2000.

23 «L’Arena», 27 ottobre 2007.

24 Riguardano due mie lettere a «L’Arena» del 4 novembre 2007 e del 13 dicembre 2007.

25 «L’Arena», 11 gennaio 2008.

26 Un libro recente su veronesi famosi è quello di Giorgio Arduini, Vite di grandi veronesi, vol. III, edito da Banca di Verona e Credito Cooperativo di Cadidavid. Un altro testo utile è quello più politico di Federico Bozzini, Destini incrociati nel Novecento veronese, Ed. Lavoro, Roma 1997.