LA «LETTERA» DI ETTORE MASINA. I RAGAZZI DELL’ONDA


Secondo la leggenda, fu il re Davide a cantare così, tremila anni fa. Secondo gli esegeti fu, assai più probabilmente, uno sconosciuto poeta di Gerusalemme nel sesto secolo avanti Cristo. Egli  contemplò, un giorno, torme di pellegrini salire il Monte del Signore, colmare di grida festose le strade che portano alla Città Santa; e, udendo quelle voci che si levavano alte nonostante la fatica del cammino, immaginò, e poi vide, che si trattava di giovani, e pensò che essi sarebbero sfilati senza timore sotto le torri di guardia dei soldati romani, e, giunti al Tempio, invece di fissare con reverenza la faccia nobile e antica del Sommo Sacerdote, avrebbero cercato di guardare oltre: al di là dei consacrati intenti al pio macello degli olocausti, al di là dei portici in cui gli scribi interminabilmente elencavano leggi, precetti e condanne per inevitabili peccati, persino al di là del velario che celava la  roccia su cui un tempo era stata deposta l’arca del Signore. Consapevole di rasentare una bestemmia e tuttavia con il cuore che gli cantava dentro, il  poeta si disse che quei giovani, al di là delle vecchie parole e delle vecchie pietre, cercavano il futuro, il volto del Dio che viene per compiere la storia con la sua giustizia e il suo amore. Così nacque, mi piace pensare, il salmo 23 che la liturgia cattolica ci ha ricordato questo mese:

Chi salirà il monte del Signore? / Chi starà nel suo luogo santo? / Chi ha mani innocenti e cuore puro, / Chi non pronunzia menzogne (…). / Otterrà benedizione del Signore, / Giustizia da Dio, sua salvezza. / Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Dio

Accetto volentieri, una volta tanto, l’accusa di retorica ammettendo che quel canto che ci giunge da remote lontananze mi  fa pensare all’Onda studentesca che nelle scorse settimane ha invaso (e spero nelle prossime tornerà a invadere) le nostre strade prima di frangersi ai palazzi del Potere. Non mi illudo: so bene che gli studenti contestatori convinti e consapevoli delle ragioni della loro protesta non sono la maggioranza, essendo molti i ragazzi e le ragazze che accolgono volentieri ogni occasione di svago nata da un’interruzione della routine scolastica, molti e molte quelli e quelle che rimangono ai margini di ogni impegno, per pigrizia, immaturità, ignoranza o precocissimo cinismo; e non pochissimi quelli e quelle che, già vinti dalla angustia dell’attuale sistema sociale e politico, chiedono di continuare a studiare senza turbamenti perché l’aula scolastica gli pare l’unica anticamera di un posto di lavoro. So bene tutto questo ma continuo a pensare che l’Onda sia una straordinaria iniezione di giovinezza nel torpido corpo di un’Italia che pareva arresa alla volgarità culturale di un governo i cui ministri somigliano ogni giorno di più al Perego di Albanese in «Che tempo che fa» o alle caricature che ne disegnano Crozza e la Guzzanti.

Penso, anche, che molti e molte dell’Onda si meraviglierebbero (o addirittura si irriterebbero) nel sentirsi dire che stanno cercando il volto di Dio. Il fallimento della catechesi cattolica di Ruini e di Ratzinger (e certamente anche nostra: di noi genitori e nonni che osiamo, ma fiaccamente, dirci cristiani) ha diffuso, fra i giovani, un’insofferenza generalizzata per la religione: i papa-boys sono molto più un pubblico da eventi collettivi che testimoni di una fede caratterizzata da impegni di solidarietà e di giustizia e i giovani di CL, che lo vogliano o no, si ritrovano riuniti intorno ad Andreotti come simbolo di un’occupazione clericale del potere… Io credo sinceramente, invece, che i protagonisti dell’Onda siano caratterizzati proprio da una sensibilità “religiosa”, nel senso che trascende le preoccupazioni individuali e le trasforma in progetti collettivi di una società migliore. E questo è un modo “laico” per definire quel cammino verso la pienezza delle libertà e l’esodo dagli egoismi e dalla paura che noi cristiani (o sedicenti tali) definiamo ricerca del volto di Dio.

Anche le parole «mani innocenti e cuore puro» sono, nel mio convincimento, adatte a definire i protagonisti dell’Onda. A differenza di altre “rivolte” giovanili, in questa vi sono caratteristiche che a me sembrano di toccante novità: l’assoluta nonviolenza, la ricerca di dialogo e di mutua solidarietà con i genitori e i docenti  che mostrino interesse per i problemi della scuola, la propensione a collegarsi con i sindacati; la fermezza con la quale respingono i tentativi di strumentalizzazione dei partiti politici (peraltro, ormai, così indeboliti da anemie etiche e culturali da non poter apparire propositivi o comunque degni di attenzione e di stima).

È proprio quel candore (parola così terribile da essere considerata politicamente suicida) che contraddistingue i giovani dell’Onda a suscitare nella maggioranza governativa un’inedita strategia. Non parlo di quella propugnata da Cossiga, vecchio osceno maestro e arnese di una polizia infedele alla Costituzione: la sua occhiuta follìa di stampo gelliano appare ormai inconsulta persino ai suoi antichi compagni di merenda. Parlo, invece, di quella tentata da più astuti politici di destra, e questa strategia è quella di rimproverare ai giovani di non estendere la propria rivolta alle trame dei vecchi e nuovi baroni che tengono in ostaggio gli atenei, trasformandoli in feudi mafiosi, massonici o in potentati famigliari: questo, non quello dei tagli al bilancio, sarebbe il vero problema del sistema scolastico. In  altri termini, ragazzi appena giunti all’università dovrebbero essere loro a indagare e scoprire e reprimere i guasti di un costume intollerabile che gli addetti agli organi di controllo e i mass-media governativi sembrano ignorare. Ho appena visto e ascoltato a «Domenica in» (oggi è il 30 novembre) un Personaggio (o dovrei scrivere un personaggio?) che burbanzosamente domandava a un gruppetto di giovanissimi universitari di Messina: «Ma voi dove siete stati  finora, davanti agli scandali della vostra università?», e si guardava bene dal dire dove fosse stato lui, operatore, lautamente pagato, dei mass-media con pretese di tuttologia…

DOMANDA

«Nonna, chi era Calamandrei? E come faceva a prevedere nel 1952 che un  giorno avrebbe potuto esserci un  partito autoritario pronto ad assaltare la scuola pubblica e le pubbliche università?». Mi commuovo ascoltando mia nipote Marta, “primina” in  un liceo, che interroga mia moglie a proposito di un documento passatole da un compagno. Ecco una ricerca di storia costituzionale che supplisce ai silenzi – pigri o ormai  rassegnati, “dimissionari” – di tanti docenti. Entrano nelle scuole “auto-” o “co-gestite”, vanno in segreteria a firmare il registro delle presenze, poi tornano a casa. Non capiscono quanto sarebbe importante per  i ragazzi, ma anche per loro, vivere questi sforzi di apprendistato d’uomo. E lo stesso, naturalmente – e più – vale per i genitori. Ma qui il panorama è confortante, a giudicare dalla protesta di tanti adulti contro Gelmini & Co.

(NOTA A MARGINE). QUANDO C’ERA UN ALTRO «LUI»

Febbraio 1940. Nel ginnasio in cui stavo da pochi mesi, una mattina si sentì un lieto vociare. Il preside Gargano e i professori sorridevano un po’ imbarazzati mentre giovani che a noi sembravano meravigliosi giganti ci spingevano fuori dalle aule, ci raggruppavano in cortile e poi ci avviavano verso il centro della città e il monumento ai Caduti. Quei nostri fratelli maggiori erano Giovani Universitari Fascisti ( cantavano «Siamo fiaccole di vita, / Siamo l’eterna gioventù»…);  quel  giorno non portavano la divisa, vestita in tutte le altre occasioni in cui li avevamo visti; né in divisa eravamo noi, balilla moschettieri («Nell’Italia dei fascisti, anche i bimbi sono guerrieri»…) perché, come appresi tanti anni dopo, dovevamo partecipare, per ordine del Partito, a una delle “dimostrazioni spontanee” con le quali gli italiani chiedevano la nostra entrata in guerra. In quelle settimane, durante i “sabati fascisti”, ci avevano insegnato un inno abbastanza solenne che aveva per tema le nostre pretese rivendicazioni territoriali: «Nizza, Savoia, Corsica fatal, / Malta, baluardo di italianità»; ma quella mattina i “guf” ci insegnarono un’altra canzone: «E se la Francia non fa la troia / Nizza e Savoia ci deve dar». Ricordo ancora il brivido di piacere mentre venivo sollecitato dall’alto a usare una parolaccia che a casa mi avrebbe procurato una sberla spaventosa. Poche settimane più tardi i giovani del GUF erano al fronte. Dopo qualche mese molti di loro erano morti, a vent’anni.

Ettore Masina

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