[a cura della Redazione di "Cittadini" • 14.05.02] CIVITAS - Un convegno nel quale si è discusso sul tema della cittadinanza nella futura Unione continentale: contro il razzismo bisogna tutelare insieme nuovi e vecchi cittadini.

LA NOSTRA BATTAGLIA PER L’EUROPA

Il 4 maggio a Padova, nell’ambito di Civitas, si è svolto il convegno organizzato da “Cittadini” e da “Nuovo Villaggio” sul tema “Nuovi cittadini in Europa tra migrazioni e allargamento ad Est”. Un appuntamento molto partecipato (circa 150 persone), che ha visto – dopo l’introduzione di Marco Baldini, vicepresidente di Nuovo Villaggio, e il saluto di Sante Bressan in rappresentanza della Regione – un’introduzione del direttore di “Cittadini dappertutto” Sergio Frigo, che ha sviluppato i dati sul sondaggio “Gli immigrati e l’Europa”, già anticipati in parte nel numero scorso, e quindi gli interventi del giornalista Jean Leonard Touadi, conduttore della trasmissione Rai “Un mondo a colori”, di Antonella Valmorbida, direttrice dell’Associazione delle Agenzie della democrazia locale, e di Massimo Carraro, imprenditore e parlamentare europeo dell’Ulivo. Come ha spiegato Frigo nell’introduzione, mai come in questo periodo di elezioni nei maggiori paesi europei, i temi dell’immigrazione e del consolidamento dell’Europa unita sono apparsi così intimamente, e direi pericolosamente, intrecciati. Le domande che ci poniamo tutti sono: è ragionevole sperare che la nuova Europa sappia rilanciare gli ideali di pacificazione, integrazione fra le nazioni, proficuo confronto fra le culture, che animarono i suoi ideatori mezzo secolo fa? E’ realistico confidare che la futura Costituzione europea fornisca risposte reali alle istanze dei nuovi cittadini – immigrati o dell’Est – che poi coincidono con i diritti fondamentali di ogni uomo, indipendentemente dalla sua origine geografica, dal colore della pelle, dalla fede religiosa? Oppure chiedere più integrazione e più Europa è pura e semplice utopia, in un momento in cui le opinioni pubbliche e i governi dei vari paesi sembrano sempre più spesso optare per una minore integrazione e una maggiore chiusura? Touadi, congolese, ha rilevato innanzitutto che l’immigrazione è il risultato delle ingiustizie economiche e sociali che l’Occidente ha seminato nel mondo negli ultimi cinque secoli, e ha aggiunto che “la vera sicurezza è l’inclusione”, mentre lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, caro ad esempio alla Lega, può avere senso solo a fronte di una riconversione complessiva dell’economia mondiale che promuova una reale giustizia sociale: “anche abituandoci, qui, a mangiare un po’ meno”. “Lancio una sfida all’Occidente – ha concluso il giornalista – Riscoprite seriamente la vostra identità, la vostra storia e la vostra cultura, i valori laici e illuministi e il personalismo cattolico: potranno essere la base su cui costruire assieme a noi immigrati un futuro condiviso”. Antonella Valmorbida ha illustrato le aspettative e le disillusioni dei paesi dell’Est nei confronti di un’Europa che per accoglierli pone loro condizioni sempre più difficili, rischiando di creare una pericolosa disaffezione nei confronti dell’unità europea. Massimo Carraro, di converso, ha proposto proprio una forte accelerazione nei processi di integrazione continentale, per vincere le resistenze crescenti e i dubbi registrati dalla stessa Valmorbida nella sua attività alla guida delle agenzie che collaborano al consolidamento della democrazia nei paesi dei Balcani reduci da lunghe guerre intestine.  Promuovere l’integrazione europea e lo sviluppo economico nei paesi candidati ad entrare nella Ue, assieme ad una seria politica mediterranea, consentirebbe anche di regolare più efficacemente i flussi migratori. “Purtroppo politiche come quelle portate avanti dal governo italiano – ha aggiunto – in particolare la nuova legge Bossi-Fini, non vanno nel senso auspicato, e non incontrano nemmeno le esigenze del mondo economico”. Anche se – ha concluso replicando ad un intervento dell’avvocato Marco Paggi che lamentava la timidezza degli imprenditori “affamati” di manodopera immigrata nel sollecitare normative a loro favorevoli – il mondo economico potrebbe alla fine adattarsi ad una gestione opaca della questione, in cui ad una severità conclamata dai politici corrisponde una mancanza assoluta di rigore nei controlli, che promuove nei fatti un allargamento dell’area di lavoro irregolare nelle fabbriche e di insicurezza nelle città. Dal convegno, dunque, è emerso come quella per un’Europa aperta anche ai diritti dei più deboli fra i suoi cittadini sia una battaglia difficile, a cui però non possiamo sottrarci. Una battaglia culturale, prima ancora che politica. Dobbiamo ricordare a noi stessi – è stato detto – e poi a tutti gli europei (in particolare ai più poveri e meno istruiti attratti dai partiti xenofobi), che Europa unita ha significato prima di tutto la pacificazione di un continente che nel secolo appena trascorso ha partorito i due peggiori conflitti di tutta la storia dell’umanità. In secondo luogo va ribadito – anche agli euroscettici che militano nel movimento no global, che per certi versi sentiamo vicino – che l’Europa unita, per quanto criticabile in alcune sue scelte, non è la serva sciocca del mercato globale, ma semmai una risposta dimensionalmente adeguata alle sfide che esso ci impone. L’Europa, anche questa Europa, non è l’America, anche se ne condivide i valori migliori. L’Europa è la diversità delle culture, la ricchezza della storia, l’osservatorio avanzato sul sud e l’est del mondo: ma solo se saprà essere fino in fondo tutto questo, e al tempo stesso integrarlo politicamente e culturalmente, coniugando unità e varietà, economia e solidarietà, sicurezza e accoglienza, essa potrà tutelare e rilanciare la propria identità e gestire in prima persona il proprio futuro. L’approvazione, per quanto contrastata e sofferta, della Carta di Nizza, dimostra che di questo c’è coscienza fra gli europeisti più avvertiti. Va ribadito poi – a voce, nei girotondi, nei nostri piccoli fogli, visto che non abbiamo le televisioni – che è il grande capitale internazionale dai confini oscuri e dai connotati mafiosi, è lo sviluppo basato sullo sfruttamento e l’autosfruttamento degli uomini e dell’ambiente denunciato nei giorni scorsi dal cardinal Martini (e che anche nel nostro Veneto conosciamo bene),  a spazzare via tradizioni, economie e intere comunità: non certo le migrazioni dei popoli dal Sud del mondo, che anzi fin dall’alba dell’uomo – come dimostrano tutti gli studi dei genetisti –  hanno portato a settentrione e a occidente umanità e civilizzazione, e oggi portano uomini che in gran parte condividono le nostre aspettative e i nostri valori profondi, e in qualche caso ci aiutano a riscoprirli. Dobbiamo far capire che a contrastare questa pericolosa deriva dei capitali – che è tutto meno che liberale, e solidale e socialmente conveniente – possono essere solo nuove regole globali e condivise, non i fragili muri delle piccole patrie. Regole che potremo strappare solo nella nuova Europa, non certo nel chiuso delle nostre comunità locali. Ma nello stesso tempo noi bianchi e neri, colti e magari anche un po’ benestanti, illuminati e cosmopoliti, dovremo sforzarci di comprendere e farci carico insieme sia delle fatiche e delle aspettative degli ultimi arrivati nei nostri paesi, gli immigrati, sia delle paure dei cittadini europei più deboli e culturalmente meno attrezzati, che subiscono nel loro lavoro alienato e nelle loro periferie abbandonate i disagi per i nuovi arrivi, senza riuscire a percepirne i vantaggi. L’insicurezza genera paura, la paura xenofobia, la xenofobia il razzismo, che non è solo lo snobismo dei poveri, come ha scritto qualcuno, ma purtroppo anche la risposta più semplicistica e naturale al confronto col diverso, quando esso non è supportato dalla conoscenza o dalla cultura. Solo se sapremo coniugare sicurezza e accoglienza e promuovere insieme giustizia sociale e cultura, potremo scongiurare l’ennesima, pericolosa guerra fra poveri, e garantirci un futuro di pacifica convivenza e di libertà: altrimenti saranno presto entrambe pericolosamente a rischio. Chiudiamo con una domanda, su cui ci piacerebbe sentire l’opinione di voi lettori: meglio un’estrema destra isolata, come in Francia, che sfiora da sola il 20%, oppure meglio la sua cooptazione, come in Italia, in una coalizione di centro-destra che forse ne ammorbidisce le pulsioni peggiori, ma al tempo stesso ne accoglie politicamente alcuni umori?