(Badia Calavena – VR) Appena pochi metri più in là, il secco Progno di Illasi mostrava alla notte i sassi e gli sterpi della drammatica siccità che sta trasformando l’Italia in un paese tropicale. Le bionde Fade dei Covoli, seguendo l’avvertimento dei Basilischi, si erano nascoste nel bosco di Àissa Màissa, la regina del grande Altopiano di Lessinia. I Pistonieri dell’Abazia avrebbero accolto il Druido con i botti dell’eccitazione e della sottomissione, sparando trombinate, fingendo sforzi al sollevamento delle armi, enfatizzando inesistenti rinculi. “Tutti sanno che è una finzione, ma è bello crederci, è bello sognare”, diceva estatico uno della nuova associazione paraleghista, “I Germani de l’Oroloio”, che vuole la libertà di Selva di Progno. Nella Valle del Cimbrovenetopadano, sotto Giazza e il Rifugio Revolto, tra Bolca, San Bortolo delle Montagne e Campofontana a Levante, e Velo con Santissima Trinità e San Mauro di Saline a Ponente, a Badia Calavena, davanti a qualche centinaio di mezzi montanari incuriositi e a pochi pianuresi chiamati a liberare il Progno senza sapere da chi, il ministro Bossi, detto il Senatùr, il Druido che con le sacre ampolle contribuisce a disseccare le sorgenti del Po, il sedicente cattolico difensore della fede, che vuole sparare cannonate ai disperati che arrivano dal mare, con la lingua a insalivare il microfono, com’è suo costume, e la voce ancor più catarrosa del solito, dopo una mezza giornata passata a ricattare Berlusconi, corso da Roma a Milano a leccargli i ricciolini sulla bassa fronte poligonale, ha spiegato che il Nord, vedi l’Italia Settentrionale, quella che Fini, proprio Fini, il vicepremier, e i divertiti giornali stranieri chiamano “L’inesistente Padania”, deve essere liberato dagli illuministi.
Dietro a lui, sul palco, in piedi, drappeggiati di verde, splendidi nei riflessi muschiati del giorno ormai concluso, statuari, pettoruti, fieri, inflessibili e immusoniti come sempre, i sottoposti, i capimanipolo, i complici adoranti, l’ingrugnito stato maggiore delle Grandi Riforme, il carnevale della secessione trasformata in devoluzione, poi cambiata in federalismo, diventato ora “aspettiamo che Berlusconi torni dal barbacù in Texas con Giorgio Cespuglio”, detto anche Dordo Passaja, “e che faccia il gemellaggio della braciola e della luganega a settembre in Sardegna”. Tra Gobbo, detto Libellula, il fintosindaco di Treviso, e Stefani, detto Folèr, il nemico dei turisti tedeschi, c’era anche lei, la nostra Manuela onnipresidente, ispirata da tempo dagli alti ideali della Lega pur se allevata in una benestante e rispettabile famiglia di liberali, perciò, stando alle elucubrazioni del Capo, la perfetta illuminista per educazione e cultura.
La notte del Progno rabbrividiva sotto le stelle al raffinato lessico celtico dei convenuti, con Grosso Folèr che annunciava, tra l’indifferenza dei montanari, le dimissioni da sottosegretario al turismo per incompatibilità all’eccesso di rutti stranieri, e il Gobbo-Libellula che poetava in versi sciolti sulla Razza Piave, la razza del suo caposindaco Gentilini, quello che vede clandestini minacciosi anche nelle bollicine del prosecco.
Ma l’emozione toccò il suo massimo quando sulle rive del Progno, allucinato di sassi rotolosi e ghiaie calcinate, serpeggiò la notizia che i paesi e le città della cosiddetta Padania avrebbero avuto finalmente e ufficialmente il diritto di apporre la scritta in lingua locale sotto il nome coloniale imposto dal Risorgimento, dagli illuministi e da Roma ladrona.
Uno di Porcara esclamò che finalmente si poteva dire Mas’ciarìa; quelli di Montecchia di Crosara esultarono all’idea di diventare Monte de la Cia. “Basta co’ la zeta luminista” azzardò un padanocelto di Cazzano di Tramigna. “E Zevio?” sibilò uno della Bassa. I celoduri vicentini, inviati a reggere il peplo della Manuela e a fare da scorta consolatoria a Grosso Folèr, pensarono subito alla Grande Riforma: Chiuppano-Ciupan; Montecchio Maggiore-Montecio Prinsipae; Vicenza-Vicensa; Bassano-Basan, Rosà-Roxa; Arzignano-Ardegnan; Thiene-Tien, col sindaco da ribattezzare Snecón, insieme a quello di Vicenza da rivedere Ulvecón.
“Il Retrone, profanato da Legambiente, lo chiameremo Indrión”, programmò subito un gruppetto di Creasso con Sovisso, “e la Manuela Dal Lago diventerà finalmente Da la Pòcia”.
I Germani de l’Oroloio, riuniti subito all’osteria per festeggiare l’apparizione del Bossi in Progno contornato dalla verde aureola degli Apostoli, si sono chiesti cosa potesse essere l’Ambaradan, più volte citato dal ministro. “Magari è una città segreta della Padania…; oppure la filastrocca brianzola Ambaradan ciciàn cocàn…: lo domanderemo a Stefani, era, che parla in tedesco, era”, conclusero. “L’è pòli glòto, era”, disse uno che parlava il Cimbroscaligero. E nessuno ebbe il coraggio di domandare: “Sa èlo mai ‘sto lumi nismo?”.
(Per i non vicentini: Manuela è… Manuela Dal Lago, Presidente leghista della Provincia di Vicenza)