[di Luigi Ciotti • 22.09.2001] ALLA “FASE” EMOTIVA DEVE SEGUIRE LA LOGICA DELLA “PAROLA”; LA POLITICA DEVE RISPONDERE ALLA CRESCENTE DISTANZA TRA UN NORD SEMPRE PIÙ RICCO E UN SUD SEMPRE PIÙ POVERO.

LA VERA GUERRA DA DISINNESCARE É QUELLA DELL’INGIUSTIZIA

Dopo i tragici e drammatici eventi che hanno colpito gli Stati Uniti in quell’indimenticabile 11 settembre 2001, ci è chiesto, credo, non tanto di discutere (e di decidere) sul “come” partecipare alla guerra, ma di respingere con fermezza, chiarezza e determinazione la comprensibile tentazione della vendetta, della rivincita, della rappresaglia, dell’odio ormai incontrollabile o insuperabile e della “guerra”. Reazioni emotive sono non solo lecite e giustificate, ma anche necessarie e doverose se servono a liberare gli animi da sentimenti quasi obbligati di rabbia e di disperazione. Non possono e non devono, però, diventare il motore della risposta ad una violenza tanto assurda quanto criminale. Detto in altri termini: alla “fase” emotiva deve seguire la logica della “Parola” perché la Politica (nazionale e internazionale) si riappropri delle sue responsabilità per costruire giustizia e per inseguire le reali cause che generano ingiustizia. Nuovi lutti e nuove tragedie non si prevengono con lo strumento della guerra. Mai.Quanti sono morti a causa degli orrendi attentati criminali non saranno ricordati e nemmeno riceveranno giustizia da logiche di guerra impugnate in nome di una giustizia militare. Se non vogliamo che il loro sacrificio diventi inutile, dobbiamo ricostruire, in loro memoria e tutti insieme, nuove torri: di sviluppo internazionale, di giustizia globale e di pace duratura perché fondata su criteri di sviluppo sostenibile ed equamente ripartito.Questo non significa abbassare la guardia nei confronti di un terrorismo internazionale sempre più spregiudicato e sempre più determinato ad agire con strategie finalizzate a distruggere vite umane e speranza. Ci è chiesto, al contrario, una severità senza sconti verso tutto ciò che è terrorismo e uso della violenza. Ma ci è chiesto molto di più: da una parte, di non usare le ingiustizie mondiali per cercare qualche possibile giustificazione che possa rendere meno criminale e meno colpevole il ricorso al terrorismo; dall’altra, non usare gli attentati terroristici come tappeto per nascondere quelle omissioni e quelle colpe che hanno visto divaricarsi le forbici tra un Nord sempre più ricco e un Sud sempre più privo di cure sanitarie, di acqua, di cibo, di scuole e di politiche in grado di contrastare quei tristi fenomeni di schiavitù, di devastazioni ambientali e di emigrazione disperata che siamo ormai abituati a conoscere. Questa è la vera guerra da disinnescare: la guerra dell’ingiustizia alimentata dall’assenza di politiche capaci di fronteggiare queste emergenze. Conoscendo in profondità la ricchezza del popolo americano, Giovanni Paolo II così si è rivolto al nuovo ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede: «Nell’affrontare le sfide del futuro, l’America è chiamata ad amare e vivere i valori più profondi del suo patrimonio nazionale: la solidarietà e la cooperazione fra i popoli; il rispetto per i diritti umani; la giustizia che è condizione indispensabile per una libertà autentica e una pace duratura».Non si tratta, di conseguenza, di rileggere queste tensioni come uno scontro tra Occidente e mondo islamico. Nessuno, nemmeno per un istante, può ridurre la complessa cultura e sapienza della religione islamica, ai frammenti dell’integralismo o, peggio ancora, del terrorismo. Se mai dovesse prendere spazio questa infelice equazione ne usciremmo tutti perdenti, nessuno escluso. Un’ultima annotazione: le televisioni e i media ci hanno portato in casa il dramma del popolo americano. Ci hanno reso più vicini e testimoni oculari di quanto accadeva. Gli occhi hanno visto e le labbra possono affermare – davanti a scenari così tragici e scandalosi – «io sono americano», parafrasando la felice affermazione di Kennedy presso il muro di Berlino. E’ indubbio, da questo punto di vista, il merito di un’informazione puntuale e completa. Ora dobbiamo fare in modo, però, che anche le immagini facciano un passo indietro perché la tragedia non diventi spettacolo che alimenta odio e divisioni già difficili da sanare. Giustizia e pace non possono restare sepolte sotto immagini altamente emotive che bloccano il procedere della nonviolenza. Se ogni spettatore ha potuto dire – davanti a quelle immagini indimenticabili «io sono americano», ora la ricostruzione è di tutti e di ciascuno. E’ il mondo intero che deve ricostruire quelle Torri, non solo gli Stati Uniti d’America e non solo la Nato. Nella speranza che l’altezza degli edifici non sia misurata solo dal numero dei piani, ma anche dalla capacità di produrre giustizia e di aggredire le reali cause che determinano quelle economie diseguali che tutti conosciamo come ingiustizie.


(fonte: LIBERA, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie)