Un'immagine del campo di Gharyan

MIGRANTI, UNHCR SMENTISCE SALVINI: «IN LIBIA CENTRI DISUMANI»

[GRILLOnews.it – 30.06.2018] I centri per migranti in Libia non sono lager dove si tortura e si ledono i diritti umani. Anzi, hanno cliniche, centri sportivi e assistenza psicologica ed è presente l’Unhcr. Parola del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che lunedì 25 giugno 2018 a Tripoli ha visitato una di queste strutture “gioiello”.

Ma dall’Agenzia delle Nazioni Unite -presente in Libia con propri team- precisano: quello visionato dal ministro è un caso isolato, nel Paese nordafricano i migranti vengono rinchiusi in centri di detenzione le cui condizioni sono state definite «scioccanti» dall’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi.

«Il centro dove è stato Salvini accompagnato dalle autorità libiche -puntualizza all’agenzia giornalistica ANSA la portavoce dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), Carlotta Sami- esiste anche grazie ai Paesi europei che lo sostengono, ma è una goccia in un mare di disperazione, una struttura di transito e partenza per persone vulnerabili (minori soli, malati anziani, donne a rischio) che sarà aperta a breve, riservata solo a persone che abbiamo liberato dai centri di detenzione. E non le riportiamo a casa, ma le trasferiamo in Paesi sicuri attraverso corridoi umanitari».

Vicino al nuovo «Gathering and departure facility» della Capitale c’è anche un centro di detenzione, che però non è stato fatto visitare al ministro. E proprio carcere è la vera realtà per i migranti in Libia. Perchè nell’ex Paese di Gheddafi, ricorda Sami, «l’immigrazione illegale è un reato punito con la reclusione a tempo indefinito ed i lavori forzati. É il destino che spetta a chi viene riportato a terra dai barconi: prima nei punti di sbarco, dove noi forniamo a assistenza medica, poi nei centri di detenzione».

Quelli ufficiali che risultano all’Onu sono 34, ma sono diversi che aprono e chiudono. Un altro problema, rileva la portavoce, «è che la Libia riconosce il diritto di chiedere asilo solo a sette nazionalità, tutti gli altri rimangono in detenzione». E le condizioni di questi centri, sottolinea, «continuano a rimanere molto preoccupanti. Noi chiediamo sempre la liberazione delle persone che i libici ci consentono di inserire nella lista dei rifugiati». In questi centri i team dell’Alto commissariato Onu entrano -dopo l’autorizzazione delle autorità libiche- per dare assistenza ed individuare le persone più vulnerabili da evacuare. Nel 2017, spiega Sami, «siamo riusciti a portar via 1.428 persone e in questi primi sei mesi del 2018 siamo a 1.396».

Quella di allestire campi a sud della Libia, per la portavoce Unhcr, «non è una soluzione. Paesi come Niger o Ciad non possono diventare contenitori dove tenere in un limbo indefinito i rifugiati, che devono invece avere l’accesso all’asilo».