[di Manlio Dinucci • 26.11.01] La partenza di un gruppo di battaglia della marina italiana verso il Mare Arabico, per partecipare alla guerra Usa in Afghanistan, costituisce l'ultimo passo di una escalation interventista, iniziata dieci anni fa. Ricostruiamone le tappe principali. Nel 1991, con il governo Andreotti (Dc-Psi-Pri-Psdi-Pli), la Repubblica italiana combatte la sua prima guerra, partecipando all'operazione "Tempesta del deserto" lanciata dagli Usa nel Golfo Persico.

L’INTERVENTISMO ITALIANO. KABUL, BEL SUOL D’AMORE

Sette mesi dopo la guerra, in ottobre, il ministero della difesa pubblica il rapporto Modello di difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni ’90. E’ l’inizio della mutazione genetica delle forze armate: il loro compito, secondo il rapporto, non è più solo la difesa della patria (art. 52 della Costituzione), ma la “tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario”. Contemporaneamente, all’art. 11 sul ripudio della guerra quale mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, si sostituisce il criterio degli “interventi militari per la gestione delle crisi” ovunque siano toccati gli “interessi vitali” del paese. Viene così enunciata, a livello istituzionale, una nuova politica militare e contestualmente una nuova politica estera, con funzioni contrarie a quelle stabilite dalla Costituzione. Una volta varato, il Nuovo modello di difesa passa di mano in mano, da un governo all’altro, dalla prima alla seconda repubblica, senza mai essere discusso in quanto tale in parlamento. A elaborarlo e applicarlo sono i vertici delle forze armate, ai quali i governi lasciano piena libertà decisionale, pur trattandosi di una materia di basilare importanza politica per la Repubblica italiana. Nel 1993, mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi (Dc-Psi-Psdi-Pli), lo stato maggiore della difesa dichiara che “occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio” per difendere ovunque gli “interessi vitali”, al fine di “garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici” (Stato maggiore della difesa, Aggiornamento del modello di difesa, 1993). Nel 1995, durante il governo “tecnico” Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che “la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale” (Stato maggiore della difesa, Modello di difesa, 1995).
Nel 1996, durante il governo Prodi (Pds-Ppi-Lista Dini-Ud-Verdi), tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. “La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera”. Essa costituisce, secondo l’ammiraglio Mariani, una “fondamentale risorsa strategica” per “ciascun paese che intenda avere un ruolo internazionale e sostenere adeguatamente lo sviluppo della sua economia”. E il generale Arpino rafforza il concetto affermando che “il potere aereo potrà fornire un contributo di primo piano quale vero fattore di potenza, per garantire all’Italia quel peso politico che vorremmo avere, ma che sinora non è stato ancora possibile vederci riconosciuto” (Informazioni della Difesa, suppl. al n. 4 1996). Nel 1999 – dopo che il governo D’Alema (Ds-Ppi-Ri-Udeur-Verdi-Sdi-Pdci) ha fatto partecipare l’Italia, sotto il comando Usa, alla guerra contro la Jugoslavia – la marina militare annuncia che l’Italia è riuscita ad “affermare il suo ruolo di media potenza regionale nell’area euro-mediterranea con interessi economici e commerciali di carattere globale”. “Si può dunque parlare – dichiara orgogliosamente – di un crescente e solido ruolo geostrategico dell’Italia nel “Mediterraneo allargato”: spazio geopolitico comprendente, oltre al Mar Nero, anche le vie meridionali di accesso al Canale di Suez e cioè il Mar Rosso fino allo Stretto di Bab el-Màndeb e, più oltre, il Golfo Persico che, attraverso lo Stretto di Hormuz, è intimamente collegato al sistema mediterraneo di rifornimenti energetici” (Marina militare italiana, Rapporto 1999).
Nel 2001 – mentre il governo Berlusconi (Fi-An-Ccd-Cdu-Lega Nord-Biancofiore) manda la flotta italiana a combattere un’altra guerra sotto comando Usa, a 8.000 km dalle nostre coste – occorre che la marina aggiorni così la sua geografia militare: “Poiché il Golfo Persico è collegato al Mare Arabico, su cui si affaccia il Pakistan, confinante con l’Afghanistan, il ‘Mediterraneo allargato’ si estende fin sulle montagne afghane”.<?xml:namespace prefix = o ns = “urn:schemas-microsoft-com:office:office” />