[di Amedeo Tosi • Settembre 1998] Il 12 ottobre ricorre il primo anniversario della morte di monsignor Luigi Di Liegro, direttore della "Caritas" diocesana di Roma. Nato 70 anni fa a Gaeta, Di Liegro divenne, per il suo costante impegno al fianco dei più deboli, un punto di riferimento per molti anziani, carcerati, emarginati, poveri, malati di AIDS, nomadi e, soprattutto, immigrati.

LUIGI DI LIEGRO E L’IMMIGRAZIONE

Il 12 ottobre ricorre il primo anniversario della morte di monsignor Luigi Di Liegro, direttore della “Caritas” diocesana di Roma. Nato 70 anni fa a Gaeta, Di Liegro divenne, per il suo costante impegno al fianco dei più deboli, un punto di riferimento per molti anziani, carcerati, emarginati, poveri, malati di AIDS, nomadi e, soprattutto, immigrati. Proprio a questi ultimi il prelato, figlio di un emigrato negli USA, dedicò gran parte della propria vita in difesa dei loro diritti, contro ogni manifestazione di razzismo e intolleranza. Un vecchio ritaglio di giornale mi riporta alla mente che nel 1991 si battè assieme a 1500 immigrati clandestini della “Pantanella”, l’ex pastificio di Roma in rovina dove vivevano, per ottenere condizioni di vita dignitose, e, poi, denunciandone in seguito lo sgombero forzato, qualificato come vera e propria “deportazione”. “Mi vergogno che i nostri parlamentari diano una valenza penale alla pressione migratoria, dimenticando che il nostro è stato, nell’epoca moderna, il più grande Paese di emigrazione di massa”, scrisse criticando l’appena varata legge sull’immigrazione.

In vena di citazioni, mi piace ricordare quello che recentemente ha scritto lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa: “I milioni di persone che da tutte le regioni del mondo dove imperano la fame, la violenza, la guerra, attraversano clandestinamente le frontiere dei paesi ricchi, violano certamente le leggi ma, allo stesso tempo, esercitano un diritto naturale e morale che nessuna norma giuridica dovrebbe mai negare: il diritto alla vita e alla sopravvivenza”.

“Parole irripetibili”, che per decenza vi risparmiamo, sono quelle che ha udito il nostro “inviato speciale”, intrufolatosi nel corteo della marcia anti-clandestini (non che gli immigrati regolari in quella sede fossero comunque molto apprezzati), presieduta dal senatur in persona, sabato 26 settembre a Verona (…fa anche rima). Una rima tutt’altro che baciata, però. Parole d’ordine colte tra i “marciatori”: “1) ci rubano il lavoro; 2) siamo invasi; 3) sono solo un peso per la società”. É davvero difficile tacere di fronte a una tal cozzaglia di luoghi comuni e disinformazione. Brevemente a me sembra che: 1) Valgano le oggettive conclusioni che scaturiscono dagli studi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): “non c’è nessuna diretta correlazione tra l’incremento del flusso d’ingresso di stranieri e l’evoluzione del tasso di disoccupazione”. La verità è che gli immigrati occupano quei posti di lavoro che gli economisti definiscono “sporchi”, “pericolosi”, “troppo richiesti”; 2) Invasi? Sono andato a vedere i dati ufficiali del Ministero dell’Interno, aggiornati al 31/12/97: Alla voce “soggiornanti” comunitari (168.125) ed extracomunitari (1.072.596), il totale si ferma a quota 1.240.721. Questo significa, in soldoni, che la percentuale di immigrati stranieri non italiana è pari circa al 1,8%, valore di gran lunga inferiore alla media europea (4,7%) e addirittura minimo rispetto ad altri paesi limitrofi: Olanda (5,2%), Francia (5,3%), Germania (8,5%), Belgio (9,1%) Lussemburgo (29,8); 3) Immigrati un peso per la società? Indubbiamente qui il disorientamento propagandistico raggiunge pericolosi livelli di guardia. Partiamo da alcune certezze. Nei prossimi vent’anni il numero di giovani europei che entrerà attivamente nel mercato del lavoro sarà notevolmente inferiore al numero dei lavoratori in pensione e, seppur in misura differente, questo avverrà in tutti i paesi europei. Consultando infatti le previsioni demografiche svolte dall’ufficio statistico della Comunità Europea, in Italia nel 2050 ben il 60% degli italiani saranno ultrasessantacinquenni. Altra citazione, a questo punto. É quella di Andrea Monorchio, ragioniere generale di stato, che, mi dicono, non sia certo un capopopolo delle manifestazioni antirazziste. Egli afferma:”Se vogliamo le nostre pensioni dobbiamo accogliere almeno 50.000 immigrati all’anno”. Secondo stime del sindacato CGIL, i lavoratori stranieri regolari versano ogni anno oltre 1.100 miliardi di tasse e contributi nelle casse statali, oltre a spendere parte dei loro guadagni nei nostri negozi e per affittare le nostre case. Altro che un peso per la società!