[di Umberto De Giovannangeli • 03.08.04] «Quel muro non porterà più sicurezza. Quel muro creerà due prigioni in Terra Santa, rinchiudendo ciascuno dei due popoli». A denunciarlo è monsignor Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme...

MICHEL SABBAH: «IL MURO HA AGGRAVATO LA SOFFERENZA»

«Quel muro non porterà più sicurezza. Quel muro creerà due prigioni in Terra Santa, rinchiudendo ciascuno dei due popoli». A denunciarlo è monsignor Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme. All’indomani della sua visita al villaggio cisgiordano di Deir El-Ghousoun, diviso dalla «barriera di sicurezza», monsignor Sabbah ritorna sulle conseguenze «devastanti» che la realizzazione del «muro» sta comportando per la vita di milioni di palestinesi. Quel «muro», denuncia monsignor Sabbah, è un «muro della distruzione, in quanto sta distruggendo ciò che resta del processo di pace».

Monsignor Sabbah, lei è reduce da una visita ad un’area della Cisgiordania investita dal «muro» israeliano. Che impressione ha ricavato?

«Terribile. Ho toccato con mano la sofferenza e la disperazione di decine e decine di famiglie palestinesi costrette alla fame. Ho ascoltato racconti angoscianti di nuclei familiari divisi dal muro, di malati impossibilitati a raggiungere gli ospedali e i luoghi di cura all’interno della Cisgiordania. Il muro divide le famiglie, separandole dalle loro coltivazioni e dai mezzi di sussistenza e isola le stesse istituzioni religiose. Chiunque abbia avuto modo di visitare le aree dove il muro è realizzato ha potuto sperimentare la frustrazione e l’umiliazione sopportata ogni giorno dai palestinesi ai check point, che impedisce loro di raggiungere negozi, andare al lavoro, seguire gli studi, visitare i propri parenti. Una realtà terribile. Per come si sta configurando, la costruzione del muro è irrazionale e immorale».

Israele giustifica al creazione del muro per rafforzare la sua sicurezza di fronte agli attacchi terroristici palestinesi.

«La sicurezza di un popolo non potrà mai fondarsi sulla sofferenza imposta ad un altro popolo. Il muro finirà per creare due prigioni in Terra Santa, rinchiudendo ciascuno dei due popoli, israeliani e palestinesi. La pace non può che nascere dal riconoscimento da parte del più forte dei diritti del più debole. Non sarà la guerra né misure unilaterali imposte con la forza a portare la pace. La soluzione di tutte le questioni può avvenire solo mediante il dialogo e attraverso il rispetto della dignità umana. La via da seguire è quella indicata più volte dal Pontefice: la Terra Santa non ha bisogno di muri ma di ponti di dialogo».

I palestinesi definiscono la barriera israeliana come il muro dell’apartheid.

«Io parlerei di muro della distruzione. La distruzione di ciò che resta del processo di pace».

Nei Territori sembra diffondersi il caos. Qual è la situazione vista dai suoi occhi?

«Nella società palestinese il problema principale è costituito dall’occupazione militare israeliana. Di più, all’interno della società c’è un vuoto, un’assenza di autorità, e da questa assenza proviene una grande confusione che ha permesso la formazione di gruppi indipendenti di pressione e di oppressione. Da questo vuoto di autorità discendono tante aggressioni contro gruppi e persone, in tutte le città palestinesi. È davvero una situazione drammatica che nasce da un’assenza di speranza sia nei confronti di una pace che non dà segni di sé sia nei confronti di politici sempre più distanti dalle aspettative e dai bisogni della popolazione, specie di quanti vivono in condizioni disperate nei campi profughi».


(Articolo pubblicato su l’Unità. Ha collaborato Osama Hamlan)