[di P. Alex Zanotelli - (missionario comboniano) • Luglio 1998]  1498: Vasco da Gama aggira il Capo di Buona Speranza e raggiunge Mombasa in Kenya e da Mombasa parte per i lidi dell'Asia...

PADRE ALEX ZANOTELLI: IL VERO FUTURO DELL’AFRICA STA IN AFRICA

1498: Vasco da Gama aggira il Capo di Buona Speranza e raggiunge Mombasa in Kenya e da Mombasa parte per i lidi dell’Asia. E’ l’inizio dell’imperialismo europeo in queste terre. Un’avventura pagata a duro prezzo dai due continenti dall’Africa e dall’America Latina. Pensiamo, per l’Africa, alla sola tratta degli schiavi, un commercio di carne umana che ha insanguinato la nostra storia fino a ieri. Un’immane tragedia che pesa come “maledizione” sul continente nero. Il 1998 potrebbe diventare punto di arrivo e di partenza simbolico, momento di ripensamento come lo sono state le celebrazioni per i 500 anni dell’America. E’ giunto il tempo di un lavoro capillare di contro-informazione, di riflessione critica e di autocritica, di lettura della realtà con occhi nuovi. Questo anno giubilare, se sostenuto da una seria coscientizzazione di base, potrebbe aiutare molti a capire cosa abbia significato per l’Africa l’apertura al grande mercato mondiale. Le prime ad essere messe in discussione sono le chiese. Nonostante i tanti profeti coltivati nel loro seno, sono state spesso complici dei meccanismi mercantili, hanno avuto responsabilità nella stessa tratta degli schiavi. Oggi esse sono convocate dalla storia a costruire un mondo nuovo. Viviamo in un mondo dove “l’economia uccide”. Bisogna cambiare. Per fare questo c’è bisogno urgente di una nuova spiritualità. Una spiritualità di respiro universale, che esprima l’urgente bisogno di un cambiamento di rotta, l’esigenza di fermare il processo di auto-distruzione che permea la civiltà occidentale. Una spiritualità attenta al grido dei poveri, che rispetti la sacralità della terra, capace di compassione e di tenerezza. “Una spiritualità – come dicono i teologi afro-asiatici nell’incontro di Colombo (Sri-Lanka) – che ci prepari a lottare in difesa del diritto, a pianificare il nostro futuro, a proseguire la strada che scegliamo rifiutando che le nostre menti siano colonizzate, le nostre terre ipotecate, il nostro destino deviato da coloro che creano la povertà planetaria. La nostra sarà una spiritualità del potere dell’impotenza, del potere della verità, dell’amore, della libertà, una spiritualità della croce”. Saranno le chiese capaci di tanto? Giovanni Paolo II ha fatto un timido tentativo chiedendo perdono a Gorè, triste isola al largo di Dakar (Senegal). Da qui partivano gli schiavi diretti verso le Americhe. Saranno le chiese del 1998 capaci di recitare a voce alta il confiteor? Non c’è vero cambiamento senza ammissione del peccato. Non hanno avuto il coraggio di farlo nell’anno giubilare dell’America. Ce la faranno per l’Africa? Ma sono messi in discussione anche i rapporti politici ed economici tra l’Africa e il vecchio continente. Cinquecento anni di colonialismo hanno minato le relazioni. “Il colonialismo – scrive lo storico Ki-Zerbo – è stato un divorzio forzato dalla propria storia, dalla struttura sociale conosciuta, dalla propria identità civile. In breve, un etnocidio, punteggiato da occasionali genocidi”. L’Europa di fatto ha schiacciato l’Africa, l’ha impoverita. Cinquecento anni fa nasceva un patto imposto di carattere coloniale che oggi deve essere soppiantato da una nuova solidarietà. Per fare questo occorre innanzitutto dar voce all’Africa. Occorre riconoscere gli africani come partners di dialogo. La solidarietà non è beneficenza, non è paternalismo. E’ necessario ricostruire le relazioni economiche in termini di giustizia, in un mondo in cui l’economia uccide. Dare nei fatti all’Africa nuove opportunità, rimettendo in discussione le regole tariffarie, creando opportunità di investimenti, accettando i ritmi e le visioni economiche degli africani, sostenendo l’imprenditorialità locale, l’economia informale e i mercati regionali. Primo passo di questo cambiamento deve essere la soluzione equa del problema del debito che oggi strangola sul nascere ogni tentativo di sviluppo. “E’ immorale – diceva l’ex-presidente della Tanzania, Nyerere – per i paesi poveri pagare i loro debiti”. E’ il tempo di una nuova cooperazione che parta da una visione progettuale, che abbia come unico riferimento i bisogni reali della gente e non gli interessi economici dei paesi ricchi e faccia leva sulla società civile organizzata e valorizzi la competenza degli immigrati africani in Europa. E’ il tempo maturo di un nuovo patto solidale che rompa barriere e diffidenze. Esiste, è vero, l’Africa che continua a soffrire guerre che appaiono senza fine, che gronda sangue sulle colline del Ruanda e del Burundi, che muore ogni giorno crocifissa nel Sudan, che soffre nei suoi figli in Somalia, in Nigeria in Algeria e Sierra Leone. Ma esiste anche l’Africa della speranza, della creatività delle donne, dei martiri che hanno dato la vita per superare odi e vendette. E’ con questa Africa che scommette sul futuro a 500 anni dall’avventura di Vasco De Gama che vogliamo lanciare un patto nuovo di amicizia e di solidarietà. Il vero futuro dell’Africa sta in Africa.