[di Giuseppe Boninsegna - (presidente Cooperativa Sociale CdL) • Luglio 1998] Nel mese di maggio la cooperativa sociale CdL si è trasferita dalla sede provvisoria di via Tombole nel nuovo laboratorio costruito nella Zona Artigianale Est di San Bonifacio, sul terreno donato congiuntamente dall'amministrazione comunale del Sindaco Polo e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona...

UN’IMPRESA A SERVIZIO DELLA COMUNITA’

Nel mese di maggio la cooperativa sociale CdL si è trasferita dalla sede provvisoria di via Tombole nel nuovo laboratorio costruito nella Zona Artigianale Est di San Bonifacio, sul terreno donato congiuntamente dall’amministrazione comunale del Sindaco Polo e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona. Dopo l’inaugurazione ufficiale tenutasi nel novembre dello scorso anno, i lavori di completamento si sono realizzati in tempi celeri. Ora la cooperativa sociale (che si occupa dell’inserimento lavorativo di disabili adulti) può gestire l’attività con più respiro, in spazi (900mq circa) che le permettono di ampliare le commesse produttive e di assumere nuovi portatori di handicap.

La storia
A quei tempi esisteva a San Bonifacio un’unica cooperativa: la CPL, Centro di Promozione Sociale e Lavoro, in via Chiavichetta. All’interno degli operatori di questa cooperativa, nel 1993 nacque l’idea della divisione dove i disabili più gravi erano inseriti in un programma di Terapia Occupazionale (con parti dell’orario giornaliero dedicate al lavoro ed altre ad attività educative personali), mentre i meno gravi erano inseriti in un programma di Tirocinio Formativo durante il quale venivano eseguite attività produttive, principalmente su commessa della ditta “Ferroli Spa” di San Bonifacio. La compresenza dei due programmi di formazione comportava notevoli difficoltà organizzative all’interno della stessa struttura. Approfittando di una legge del 1991, la n.381, venne proposta e infine realizzata il 1 ottobre 1994 la separazione dei due interventi trasferendo tutto il settore produttivo ad una nuova cooperativa sociale, costruita allora da 8 soci normodotati e 3 disabili, in via Tombole, appunto la “CdL cooperativa sociale” di San Bonifacio. La separazione si è rivelata a distanza di tre anni la scelta più corretta, dato che ha permesso ad entrambe le cooperative sociali (sia quella rimasta nella sede di via Chiavichetta, la CPL Servizi, sia quella trasferita nella sede di via Tombole, la CdL) non solo di organizzarsi meglio per il conseguimento dei propri fini, ma anche di potenziarsi assumendo nuovo personale e nuovi servizi. Attualmente la cooperativa CdL occupa 11 operatori normodotati e 9 svantaggiati.

Un fenomeno nuovo
La Cooperative Sociali nacquero ancora prima del 1991, come alternativa agli istituti speciali per adulti, considerati “ambienti chiusi ed alienanti”. Esse sono un fenomeno nuovo di intervento nell’ambito delle politiche sociali e fungono da mediazione tra gli enti pubblici e i bisogni sociali. Infatti le cooperative sociali racchiudono due elementi fondamentali: quello “dell’impresa privata” e quello del “servizio di pubblica utilità”. Da un lato sono un’impresa (ragione sociale privata) che deve attenersi ai vincoli normativi previsti per le aziende (responsabilità amministrativa e bilancio), dall’altro, per le attività svolte e per l’utenza interessata, si tratta di prestazioni socialmente utili che rientrano nella sfera della programmazione pubblica dei servizi socio-assistenziali. L’impresa sociale in sostanza è un’organizzazione che ha l’ambizione di saper coniugare ed equilibrare, arricchendoli reciprocamente, i principi tipici della imprenditoria (l’attenzione organizzativa, l’innovazione, l’efficiente uso delle risorse) con quelli dell’intervento sociale (la finalizzazione agli ultimi, il disinteresse, la condivisione).

Lo strumento di lavoro
All’interno delle cooperative sociali lo strumento fondamentale di integrazione e di sviluppo personale del disabile adulto è il “lavoro”. Tramite il lavoro, nella sua doppia valenza di espressione di identità di ruolo e di fattore produttore di reddito, si realizza più compiutamente il processo educativo del portatore di handicap psichico, processo già iniziato nella scuola dell’obbligo, ma che rischia di andar perduto se non trova ulteriore impulso ed applicazione. Per tutti i ragazzi che passano dall’adolescenza all’età adulta, l’avvio ad un’attività lavorativa è l’occasione per un inserimento più generale nel contesto sociale e costituisce un elemento importante al fine della crescita psicologica e relazionale. Per il disabile adulto questo è ancor più vero, dato che a lui non si offrono molte altre occasioni per rivestire un ruolo nella società e, dopo la scuola, egli è spesso chiuso, da solo, in casa, con rare possibilità di identificarsi positivamente con figure adulte diverse dai propri familiari. D’altra parte il binomio handicap-lavoro mette in crisi i tradizionali assetti organizzativi dell’impresa ed obbliga ad una revisione della strategia aziendale e delle dinamiche dei rapporti sociali e produttivi. L’obiettivo dell’inserimento lavorativo deve portare a considerare i disabili nella società non più come un costo indiretto da coprire attraverso l’imposizione fiscale da parte dello stato, ma come un fattore interno alla produzione, una risorsa da valorizzare al meglio.