PERCHÉ IL G8 DI GLENEAGLES HA FALLITO

In un documento pubblicato a chiusura del vertice G8, la Campagna per la Riforma della Banca Mondiale/Mani Tese motivano la delusione della società civile rispetto alle richieste e ai proclami della vigilia.
 
Rispetto alle enormi aspettative sollevate dalla presidenza inglese e dalla società civile internazionale sull’esito del G8 di Gleneagles, il comunicato finale risulta alquanto limitato e mostra come oramai il G8 non sia in grado di affrontare emergenze globali, data la sua limitatezza e non rappresentatività nel mutato panorama internazionale.
 
Come il premier britannico Tony Blair ha ammesso, gli impegni di Gleneagles non consegnano la povertà alla storia. Ma soprattutto la società civile crede che questi impegni non consentiranno affatto ai paesi poveri di raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite.
 
Cancellazione del debito dei paesi più poveri
 
Il G8 si è limitato a ratificare l’accordo definito dallo scorso G7 delle finanze di Londra per una potenziale riduzione del debito dei 18 paesi più poveri ed indebitati (di cui 14 africani e 4 latinoamericani). Nonostante lo stesso Gordon Brown avesse auspicato la cancellazione ad un numero maggiore di paesi (minimo 23), questo risultato non è stato raggiunto.
 
Nonostante si sia detto che il valore nominale di questi debiti sia pari a 40 miliardi di dollari, in realtà si tratta di solamente 15 miliardi di dollari in valore attuale. Inoltre, si parla del debito, per altro inesigibile da diversi anni, verso solo tre istituzioni finanziarie internazionali – Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Banca africana di sviluppo – escludendo nel caso dei paesi latinoamericani la Banca interamericana di sviluppo, che controlla buona parte del loro debito.

I leader del G8 non hanno chiarito affatto come finanziare una tale cancellazione, in particolare nel caso del Fmi, con il rischio che una tale cancellazione non venga ratificata a settembre da Banca mondiale ed Fmi ai loro incontri annuali, nonché mettendo a rischio le esistenti risorse per l’aiuto allo sviluppo che potrebbero essere diminuite per pagare la cancellazione. In sostanza questa non libererebbe risorse fresche ed addizionali per far fronte alle sfide dell’Africa e raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
 
Infine, l’accordo in futuro potrebbe essere esteso anche ad altri 10 paesi, solamente se questi implementeranno le solite ricette di aggiustamento economico strutturale della Banca mondiale e del Fmi, che includono privatizzazioni dei servizi essenziali, riduzione delle spese sociali e liberalizzazioni commerciali e del mercato dei capitali, che negli ultimi 20 anni hanno contribuito ad aumentare la povertà, più che a ridurla.
 
Aumento degli aiuti allo sviluppo
 
Nel comunicato finale del G8 compare la cifra di 50 miliardi di dollari di aumento degli aiuti allo sviluppo. Dietro la retorica che la dipinge come una scelta senza precedenti, in realtà il G8 ricicla quasi tutti impegni già presi, aggiungendo poche briciole.
 
Circa 25 miliardi erano già stati promessi dall’intera comunità internazionale, inclusi gli Stati Uniti, alla Conferenza Onu Finanza per lo Sviluppo del marzo 2002, allorché ci si era impegnati ad aumentare gli aiuti fino allo 0,39 per cento del Pil entro la fine del 2006, nella prospettiva di raggiungere l’obiettivo dello 0,7 per cento disatteso negli ultimi trent’anni.
 
Si consideri, inoltre, che il G8 prende in esame l’orizzonte del 2010 e che, quindi, visto che il Pil delle economie dei paesi ricchi cresce ogni anno, andrebbe effettuato un adeguamento costante delle risorse da destinare in valore assoluto agli aiuti allo sviluppo. Tale adeguamento per mantenere la percentuale del Pil impegnata allo stesso livello comporterebbe fino al 2010 un aumento di circa 10 miliardi di dollari.
 
Dei rimanenti 15 miliardi, in realtà si tratta di impegni appena presi negli ultimi mesi in particolare dall’Unione europea – con l’obiettivo di raggiungere lo 0,51 per cento del Pil entro il 2010 – ed in risposta dall’amministrazione americana che si è impegnata ad aumentare gli stanziamenti per l’Africa, anche se fino ad oggi l’amministrazione Bush non ha effettuato quasi per nulla esborsi sugli impegni presi a partire dal 2002.
 
Perciò, il G8 non va oltre gli impegni già presi e non rispettati, e nel caso di Germania ed Italia mantiene un’ipoteca sulla volontà vera di raggiungere questi obiettivi, condizionando l’esborso dei fondi all’andamento dei conti pubblici. In questo contesto risulta tardiva la posizione italiana di considerare la possibilità di escludere i fondi per l’aiuto allo sviluppo dal conteggio dell’indebitamento netto all’interno dei parametri di Maastricht.
 
In ogni caso va ricordato che nei prossimi tre anni l’aiuto allo sviluppo dei paesi europei sarà gonfiato in maniera virtuale di circa il 20%, visto il conteggio della cancellazione del debito odioso iracheno accumulato da Saddam Hussein, superiore ai 30 miliardi di euro.
 
Meccanismi innovativi di finanziamento dello sviluppo
 
Profondamente deludente l’esito del vertice al riguardo. La proposta franco-tedesca di esplorare seriamente la possibilità di istituire meccanismi di tassazione globale, quali una tassa sui biglietti aerei, è stata di fatto rigettata dagli altri leader.
 
La proposta inglese di istituire una Intern ational Finance Facility – ossia di racimolare risorse aggiuntive tramite l’emissione di titoli obbligazioni da parte dei governi dei paesi ricchi sui mercati finanziari, da rimborsare poi a distanza di dieci anni – non decolla neanche in maniera molto limitata per quel che riguarda il finanziamento dei vaccini per l’immunizzazione contro malattie endemiche in Africa.
 
Commercio internazionale
 
Ancora una volta il G8 dimostra la sua mancanza di volontà di accettare che le regole del commercio internazionale siano rese più eque a vantaggio dei paesi più poveri. Nel comunicato finale manca un pronunciamento su una data ultima per l’eliminazione dei sussidi all’esportazione di Unione europea e Stati Uniti, che sono causa di un dumping proprio a danno dei paesi più poveri.
 
Non si da affatto una risposta all’emergenza per i paesi produttori di cotone nell’Africa occidentale, ma si promette soltanto assistenza tecnica ai paesi poveri per seguire meglio i negoziati ed attuare le riforme commerciali necessarie ad entrare nei mercati globali.
Un conflitto di interessi palese da parte della Commissione europea, principale attore che cerca di strappare una liberalizzazione dei mercati africani dei prodotti industriali e dei servizi, concedendo loro ben poco in cambio.
 
Ad esempio, nonostante l’attenzione posta dal G8 sull’erosione degli accordi preferenziali a vantaggio dei paesi più poveri, in realtà l’Unione europea cerca di strappare a suo vantaggio un’ulteriore apertura dei mercati africani tramite i negoziati degli Economic Partnership Agreements con i paesi dell’Africa-Caraibi-Pacifico.
Di fatto l’Unione Europea ed il G8 ribadiscono che concederanno eventualmente un accesso agevolato soltanto ad alcuni prodotti dei paesi già poveri secondo gli impegni già esistenti.
 
La lotta ai cambiamenti climatici
 
Molto deludente rispetto alle attese l’esito del negoziato sui cambiamenti climati, il secondo pilastro del vertice di Gleneagles. Per quel che concerne il riconoscimento delle responsabilità umane si torna indietro rispetto alle dichiarazioni del G7 di Denver del 1997.
L’intesa sulla necessità di ridurre le emissioni con il consenso degli americani in realtà getta le basi per un accordo diverso da Kyoto oltre il 2012, quando il protocollo dovrebbe essere invece rivisto e rafforzato.
 
Inoltre, il dialogo con le potenze emergenti che sarà avviato a novembre dal governo inglese, rischia di spostare le responsabilità per una significativa riduzione delle emissioni inquinanti dai paesi ricchi a quelli in via di sviluppo, come voluto dall’amministrazione Bush.
Inoltre non c’è nessun impegno temporale e quantificato su come saranno ridotte ad un certo punto le emissioni.
 
L’enfasi sulla necessità di esportare tecnologie pulite vero i paesi africani, senza meglio specificare di quali tecnologie si tratti, apre la strada al trasferimento di tecnologie a basse emissioni di carbonio, ma con impatti parimenti negativi a livello ambientale e sulle comunità locali, come quelli associati ai progetti di grandi dighe idroelettriche e impianti nucleari.
 
Infine, è singolare che venga chiesto un intervento in tal senso alla Banca mondiale, che ad oggi rimane il più grande finanziatore pubblico di nuovi progetti a combustibili fossili. Si pensi solo che dalla conferenza di Rio nel 1992 fino ad oggi la Banca ha finanziato lo sviluppo di nuove riserve petrolifere con ben 25 miliardi di dollari, causando severi impatti futuri per il clima globale.
 
Risulta davvero curioso che allo stesso tempo il G8 si mostri molto più preoccupato per l’elevato prezzo del petrolio, chiedendo che i paesi produttori nel Sud del mondo aumentino la disponibilità di greggio sui mercati internazionali, aumentando così le emissioni di anidride carbonica, principali responsabili dell’effetto serra.
 
 
Fonte: www.nigrizia.it