PERCHÉ L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO NON ASCOLTA I BAMBINI LAVORATORI?


Si svolgerà all’Aja il 10 e 11 maggio 2010 la Conferenza internazionale sul lavoro minorile, organizzata dal governo dei Paesi Bassi in stretta collaborazione con l’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, e con il suo «Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile» (Ipec), con la cooperazione di Unicef e Banca Mondiale, per giungere a una ratifica universale della convenzione dell’Ilo numero 138 (età minima lavorativa) e 182 (peggiori forme di lavoro minorile) e intensificare gli sforzi per realizzare l’obiettivo del 2016. La Conferenza sarà un’occasione per governi, organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, organizzazioni non governative e altri partecipanti, di condividere buone pratiche e insegnamenti appresi dalla loro esperienza nel campo della lotta alle peggiori forme di lavoro minorile. Inoltre, sarà proposta una tabella di marcia che stabilisca i passi concreti da compiere per raggiungere l’obiettivo del 2016.

Il MOLACNATs, Movimento latinoamericano dei bambini e adolescenti lavoratori, una delle principali reti dei bambini lavoratori a livello mondiale, protestano ufficialmente per il mancato invito a qualsiasi forma di partecipazione alla Conferenza Mondiale sul Lavoro Infantile dell’Aja. I rappresentanti dei MOLACNATs ritengono che sia «inaccettabile che noi, legittimi rappresentanti delle bambine, bambini e adolescenti lavoratori organizzati dell’America Latina e dei Caraibi, siamo stati ignorati nella convocazione di questa conferenza, dal momento che si discuteranno temi legati direttamente alla nostra realtà, alla nostra vita. La presenza di soli adulti, nella maggior parte dei casi molto lontani dalla concretezza della nostra vita, conferma ancora una volta che continua a dominare un’ottica adultista sui bambini lavoratori e che la partecipazione dell’infanzia e dell’adolescenza rimane relegata solo nella sfera delle buone intenzioni e nei documenti giuridici».

Ad essere ritenuto inaccettabile, oltre al mancato invito in sé e per sé, è la «violazione del nostro diritto a partecipare in quanto bambine, bambini e adolescenti, come stabilito dall’articolo 12 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e come richiamato in particolare nelle Raccomandazioni del Comitato di Ginevra sull’importanza della promozione di questo diritto». Ricordiamo che l’articolo 12 della Convenzione del 1980 afferma che «Gli Stati garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale».

Su questi temi ho scritto una apposito paper per il Centro Tricontinentale di Lovanio (Belgio) diretto da Francois Houtart. (vedi: The hauge global child labour conference: what about working children’s participation? ).


LA POSIZIONE DI ITALIANATS



Sono la povertà, i meccanismi dell’emarginazione e il conseguente degrado sociale, i fattori che determinano fenomeni di sfruttamento del lavoro minorile: se non si denunciano, se non si aggrediscono le cause profonde della povertà e se gli stessi bambini e adolescenti lavoratori non vengono riconosciuti come soggetti sociali in grado di contribuire alla propria emancipazione, si continuerà a cercare di sanare per via giuridica e con qualche azione compensatoria un problema sociale non risolto per precise responsabilità di modelli e gruppi dominanti. Questa la posizione netta di Italianats (la rete italiana di 18 associazioni di cui fa parte anche ProgettoMondo Mlal, la Centrale EQUOMERCATO di Cantù, l’Associazione NATs PER di Treviso, CIFA di Torino, SAL di Roma) che, in occasione della conferenza convocata all’Aja, lamenta l’avvio di un processo da cui sono stati esclusi i diretti interessati.

La scelta dell’OIL, che secondo Italianats rappresenta anche una colpevole dimenticanza del preciso mandato partecipativo della «Convenzione sui Diritti del Bambino», pecca infatti di non coinvolgere i bambini lavoratori nella conferenza che ha la pretesa di individuare le misure concrete per abolire le cosiddette «peggiori forme di lavoro infantile» entro il 2016.

«Ancora una volta un annuncio ad effetto, sulla cui effettività pochi nutrono reali speranze», scrive Italianats in un comunicato in cui fa sapere di aver sollecitato, insieme all’analoga rete Pronats presente in Germania, gli organizzatori della Conferenza affinché invitassero i rappresentati del Movimento mondiale dei bambini e adolescenti lavoratori, ma senza esito. «Si ripropone così un vecchio errore e cioè quello di far credere che il lavoro minorile si possa eliminare dall’alto, con delle leggi forzatamente e coercitivamente abolizioniste, mentre la realtà dimostra che le campagne promosse dall’OIL non intaccano il fenomeno e che occorrono invece serie e radicali politiche di sostegno ai processi di inclusione socioeconomica».

LE POLITICHE DI SRADICAMENTO INCREMENTANO, DI FATTO, IL LAVORO MINORILE?

In Perù almeno tre milioni di bambini e adolescenti di età compresa tra i 5 e i 17 anni lavorano, specialmente nel settore agricolo e del commercio. Queste cifre rivelano come la nazione andina abbia il maggior tasso di lavoro infantile di tutta l’area latino-americana, stando alle informazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica e Informatica del Perù (INEI) e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Confrontando questi dati con quelli relativi alle fasce d’età della popolazione peruviana, si ottiene che il 42% dei bambini e adolescenti del Perù lavorano; di costoro, il 70% lo fa in condizioni di pericolo o di sfruttamento. La stessa inchiesta ha rivelato che più di un terzo degli adulti che sono genitori di bambini lavoratori avevano svolto attività lavorative quando erano minori di età. Questo conferma come il lavoro infantile sia una problematica molto radicata in questo paese.

L’organizzazione non governativa «Terre des Hommes – Germania» ha realizzato uno studio in Colombia, con l’Università Nazionale, che documenta come 10 progetti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro non sono in grado di sradicare il lavoro minorile, malgrado il forte investimento economico.

Una possibile riposta a questo circolo vizioso parte dai minori che in Perù e in tutto il mondo hanno creato i movimenti dei NATs, gruppi autogestiti di bambini, bambine ad adolescenti lavoratori che lottano per proteggersi da tutte le forme di sfruttamento, non ultimo quello lavorativo. Questi gruppi nascono da una valutazione critica che gli stessi bambini fanno sulla realtà che li circonda, e da una valorizzazione critica del lavoro quando può essere sia una forma di sostentamento per le loro famiglie che una occasione di esercizio dei propri diritti, primo fra tutti l’istruzione. Per questo i movimenti dei NATs chiedono scuola, dignità e lavoro in Perù come in tutti i paesi, in America latina e nel mondo, dove stanno crescendo anche nell’incidenza nelle politiche pubbliche.

Per esempio in Bolivia, tra le novità della nuova Costituzione del 2008, emerge nell’articolo 61 che lo Stato proibisce il lavoro forzato e lo sfruttamento minorile. Le attività che realizzano i bambini, le bambine e gli adolescenti, in ambito familiare e sociale, sono orientate alla loro formazione integrale come cittadini e cittadine e devono avere una funzione formativa. I loro diritti, garanzie e meccanismi istituzionali di protezione saranno oggetto di una regolamentazione speciale. Questo storico riconoscimento dei movimenti sociali Nats (Ninos y Adolescentes trabajadores, nell’acronimo spagnolo) è il frutto di una grande mobilitazione dei bambini lavoratori. Per la prima volta, nella storia moderna dell’umanità, una Costituzione riconosce il lavoro minorile in condizioni dignitose.

NEL MONDO



Il 7 novembre 2009 a Cotonou, in Benin, si è concluso l’8° incontro del Movimento Africano dei Bambini e Giovani Lavoratori. Si tratta di una delle esperienze più significative, dal punto di vista sociale, presente in Africa. In Italia e in Europa non se ne parla, ma il fatto che in 15 anni questo movimento, nato da un gruppo di bambine e bambini lavoratori, si sia esteso e radicato in 23 Paesi africani (e altri sono in fase di adesione), coinvolgendo oltre 200.000 bambini e adolescenti lavoratori, dimostra che in Africa è nata una esperienza e un nuovo attore sociale che sta contribuendo a costruire un futuro diverso e migliore.

La metodologia è interessante perché punta al rafforzamento dell’autostima dei bambini e adolescenti lavoratori, che oltre a mantenere se stessi e le loro famiglie (piuttosto che essere costretti a rubare o mendicare) sono in grado di lottare contro lo sfruttamento, il maltrattamento, la non applicazione dei diritti.

Le attività nelle quali sono coinvolti gli EJT (Enfants et Jeunes Travailleurs: Bambini e Giovani Lavoratori) vanno da forme di apprendistato ad azioni formative tese al lavoro: cucito, falegnameria, fotografia, meccanica, trasporto, saldatura, calzolaio, sarto, idraulico. Fino a piccoli mestieri indipendenti: vendita di ogni tipo, coiffure, pulitura a secco, teatro, danza, scultura, tinteggiatura, pesca, fabbricante di giunco, lavoro nei campi e coltivazione di ortaggi, portabagagli, lustrascarpe, rivenditore; da lavori domestici (nella propria famiglia o presso altre famiglie) ad altri lavori compatibili con la frequenza scolastica.

La centrale del commercio equo «Equomercato» di Cantù, ad esempio, commercializza vari prodotti degli EJT, grazie al coordinamento di Fabio Cattaneo (fondatore di Italianats nel 2000) e Monica Canu, ed ha creato importanti ponti con la Banca asiatica dei bambini, «Children Development Bank».

IL LAVORO DI CRESCERE. L’ESPERIENZA DEL PERÙ

Ruben ha 14 anni e da due si alza alle 5 di mattina: la sua giornata di lavoro inizia un’ora dopo. Fa il fornaio, e anche il pasticcere, in un forno molto speciale, nato alla periferia di Lima per iniziativa del Manthoc («Movimiento Adolescentes y Ninos Trabajadores Hijos de Obreros Cristianos»), la coraggiosa organizzazione peruviana che si batte per i diritti dei bambini e degli adolescenti lavoratori.

Ruben è un giovane fornaio soddisfatto: ha imparato a preparare vari tipi di pane e di dolci, si sente utile alla sua famiglia, e il forno autogestito ha finalmente i conti in attivo. Prima Ruben aveva un altro lavoro, di quelli che in Perù fanno i bambini poveri che vivono per strada: pulizia delle casse da morto. Guadagnava 20 soles la settimana, oggi 205 al mese. Perciò Ruben sorride.

Ruben, Johnatan e Ivan sono adolescenti lavoratori che nei mesi scorsi sono stati invitati dall’ONG «ProgettoMondo Mlal» di Verona nell’ambito di alcuni scambi con scuole italiane. Secondo certe leggi, applicando rigide convenzioni, rientrano nella categoria dei «minori sfruttati». Alla loro età non dovrebbero lavorare, ma dedicarsi allo svago e agli studi, prepararsi alla vita adulta. La Convenzione 138 dell’Onu (del 1973) fissava a 15 anni l’età minima per l’accesso al lavoro, ridotti a 14 nei Paesi in via di sviluppo. La negazione del lavoro minorile è uno degli assiomi seguiti da molte organizzazioni internazionali. A prima vista è una posizione ineccepibile, soprattutto se pensiamo alle «forme peggiori di sfruttamento infantile» che un’altra Convenzione dell’Onu, la 182 del 1999, ha indicato una per una (schiavitù, prostituzione, reclutamento militare etc.).

Ruben, Johnatan e Ivan, e con loro migliaia di bambini e adolescenti lavoratori dell’America Latina, dell’India, di alcuni paesi dell’Africa, hanno una visione completamente diversa. Respingono l’abolizionismo, che ispira l’approccio prevalente al lavoro minorile, e parlano di «protagonismo», di «valorizzazione critica del lavoro infantile». Credono che il lavoro dia dignità alle persone, senza distinzioni d’età, e che sia uno strumento di crescita personale e civile. Avversano lo sfruttamento e vogliono combatterne le cause: si sentono partecipi, come gli adulti, della vita sociale e politica dei loro paesi.

Ruben, Ivan e Johnatan, e migliaia di ragazzini come loro stanno mettendo in crisi molti luoghi comuni, molte convinzioni radicate nella cultura del mondo occidentale, che concepisce ormai il lavoro come una necessità economica, riservata agli adulti, e come un impedimento per lo sviluppo fisico, emotivo, educativo dei bambini. Gli abolizionisti pensano che sia da mettere fuori legge tutto il lavoro minorile, che si debbano boicottare tutti i prodotti realizzati con manodopera infantile. La stessa Global March, un movimento della società civile che si batte contro lo sfruttamento dei minori, s’ispira alla Convenzione 138 dell’Onu e alla sua linea repressiva.

Ruben e gli altri hanno un’altra visione del mondo. Fanno parte del movimento dei Nats (Ninos y adolescentes trabajadores), nato probabilmente in un mercato all’aperto di Lima. I bambini che spingevano carrelli, vendevano panini, pulivano scarpe e trascinavano casse, cominciarono a riunirsi e a discutere delle comuni aspettative, che sono poi le stesse di tutti i movimenti dei lavoratori: retribuzioni migliori, rispetto del lavoro, orari più brevi, cambiamento sociale. Su queste basi nascevano i Nats. Che oggi parlano così, come un ragazzino (14 anni) ascoltato durante un incontro pubblico dei delegati nazionali del movimento: «Nella nostra costituzione è scritto che il lavoro è un diritto, ma questo non basta, perché il lavoro dev’essere molto di più. Deve trasmettere valori, deve insegnare solidarietà, condivisione, e proteggere dai percorsi cattivi di cui un ragazzo può restare vittima. Molti bambini sono sfruttati, costretti a lavori forzati e sottopagati perché considerati come degli esseri inferiori, dei cittadini di serie B. I bambini e gli adolescenti devono prendere coscienza della loro grande dignità di lavoratori. Devono anche pretendere dai propri genitori che siano fieri di loro, senza temere o vergognarsi della loro condizione di bambini lavoratori. Il lavoro non va idealizzato, non è un’astrazione, dev’essere sicuro e dignitoso, perciò va criticato e sempre migliorato, perché è il presente ma anche il futuro».

I Nats hanno una dimensione politica, sperimentano la democrazia partecipata: in Perù si sono dati un’organizzazione decentrata, radicata nelle città e federata a livello nazionale. Non vogliono leader e parlano di «protagonismo». Il «protagonista» non si pone sopra i compagni ma al loro livello, deve saperli ascoltare ed essere capace d’inserirsi in una dimensione collettiva, di lotta politica, economica e sociale. I Nats sono coscienti che la povertà in cui vivono le loro famiglie e altri milioni di persone è dovuta agli squilibri economici globali, a una condizione generale di sfruttamento e d’ingiustizia sociale. Perciò vogliono che la lotta per la dignità del lavoro infantile sia inserita in un contesto più grande di cambiamento sociale.

UNICEF-Italia riconosce che i principali interlocutori utili alla comprensione del fenomeno del lavoro minorile sono gli stessi bambini lavoratori. Ed è per comprendere meglio la situazione dei bambini e dei ragazzi lavoratori, per promuovere la loro partecipazione, per individuare azioni comuni, per capire quali siano le strategie migliori per stare al loro fianco, che l’UNICEF ha contribuito all’organizzazione di una serie di incontri in Italia dei ragazzi lavoratori di vari paesi, riuniti nel movimento NATs, in occasione del terzo incontro mondiale realizzato nel 2006. La considerazione dell’interesse superiore dei bambini / ragazzi, e l’ascolto delle loro voci, deve essere il principio guida per far uscire le politiche di contrasto al lavoro minorile dal piano delle dichiarazioni di principio e calarle nella realtà, se vogliamo davvero aiutare i bambini lavoratori a costruirsi un futuro migliore.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro dovrebbe ascoltare l’esperienza di UNICEF-Italia e riconoscere il protagonismo dei bambini lavoratori organizzati nei movimenti NATs.

Cristiano Morsolin

Cristiano Morsolin, operatore di reti internazionali per la difesa dei diritti dell’infanzia e adolescenza. Lavora in America Latina dal 2001. Co-fondatore dell’Osservatorio SELVAS. Morsolin attualmente si trova a Quito (Ecuador).