QUALE UMANITÀ? LA NOSTRA RESPONSABILITÀ DI FRONTE ALLE MIGRAZIONI

[Vincenzo Passerini – 24.06.2023] Migrazioni e naufragi. Migrazioni e prigioni lager. Binomi diventati terribilmente ordinari. Accettiamo tutto, ormai. Ci vuole una rivolta morale in questo nostro Paese. Dovremmo fare di tutto perché la migrazione, spontanea o forzata, non sia un rischio mortale. Merci, capitali e persone dei Paesi benestanti si spostano facilmente nel mondo della globalizzazione. Anche noi possiamo andare dove vogliamo. Perché questo è impedito a tanti abitanti dei Paesi più poveri e tormentati? Perché accettiamo questa ingiustizia scandalosa? Perché questa ingiustizia soprattutto a danno dei profughi, le vittime più infelici della terra, quelle che patiscono sofferenze tre volte: nel loro Paese, nel viaggio, al loro arrivo in un nuovo Paese dove spesso sono accolti con ostilità? C’è una drammatica emergenza morale nel nostro Paese che si traduce poi in atti politici che nulla hanno a che fare con una civiltà che vuole definirsi umana e cristiana. E più ci definiamo paladini di una civiltà umana e cristiana, magari in contrapposizione agli “altri”, e più la tradiamo.

Oggi è impossibile parlare di migrazioni, che sono un grande fenomeno sociale, non solo un dramma, che accompagna tutta la storia dell’umanità, se non partiamo da questa emergenza morale, umana, politica. Avremmo tante cose da dire sul fenomeno migratorio. Aspetti culturali, religiosi, biologici, economici, demografici. Mezzo di liberazione e riscatto per milioni di persone, non solo tragedia. Fattore di positivo cambiamento sociale, seppur attraversando fasi di impatto difficile. Fattore di riequilibrio demografico. Fattore di scambio culturale che ha consentito all’umanità di fare passi in avanti. Le società umane si sono sviluppate grazie allo scambio migratorio. Le società chiuse sono rimaste ferme o sono morte.

Biologicamente, culturalmente, spiritualmente l’umanità è cresciuta grazie allo scambio di idee, persone, cose. Purtroppo non si studia a scuola la storia delle migrazioni, parte fondamentale, non accessoria, della storia dell’umanità. E non si studia la storia dell’emigrazione italiana, che è l’altra faccia della storia d’Italia ed è una storia affascinante. Perché l’emigrazione non è solo dramma. Come non può essere ridotta a dramma la storia dell’immigrazione in Italia. Ci sono più di cinque milioni di stranieri in Italia e 2 milioni e 300 mila di loro lavorano e tengono in piedi interi settori economici e sociali. Senza di loro, agricoltura, edilizia, trasporti, assistenza ad anziani e non autosufficienti, per ricordare alcuni settori cruciali, si fermerebbero. Pagano Irpef, pagano Inps. Tante classi scolastiche si svuoterebbero, tante scuole chiuderebbero. Aiutano a tenere in vita un Paese che sta invecchiando a vista d’occhio. Eppure non abbiamo ancora politiche migratorie e del lavoro degne di un Paese moderno. E andiamo avanti con rattoppi, sanatorie, decreti flussi. Senza una strategia, senza un disegno di lungo periodo. Ma dobbiamo ancora mettere in primo piano il dramma. Perché troppe persone migranti o in fuga soffrono e muoiono a causa di politiche disumane. Anche nostre. E questo non può lasciarci in pace.

Abbiamo ancora negli occhi le angoscianti immagini della strage di Steccato di Cutro in provincia di Crotone quando, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, un barcone con quasi 200 persone a bordo si è schiantato nei pressi della riva: 94 morti, tra cui 35 minori, 80 sopravvissuti, almeno 12 dispersi. La maggior parte provenivano da quella terra dolente che è l’Afghanistan. Alcune da Iran, Somalia, Palestina, terre cariche di altre, immani, sofferenze.

Vengono in mente i versi del Canto degli emigranti: «La terra dei nostri padri è un macello. / Vestiti di stracci, in grandi greggi, noi, carichi di un incredibile dolore, ci recammo nella terra grande e lontana. / Alcuni di noi affogarono davvero. / Alcuni di noi morirono davvero di stenti. / Ma per ogni dieci che morirono un migliaio sopravvisse e tenne duro. / Meglio affogare nell’oceano che essere strangolati dalla miseria. / Meglio ingannarsi da sé che essere ingannati dai lupi [i lupi sono quelli che ti opprimono a casa tua]. / Meglio morire a modo nostro che essere peggio delle bestie».

Il canto degli emigranti ci parla di Cutro e delle altre innumerevoli tragedie del Mediterraneo. Ci ricorda che la speranza di una vita migliore è più forte della paura della morte. Ma non è un canto dei nostri giorni. È stato composto negli ultimi decenni dell’800 e apre il libro di Jerre Mangione e Ben Morreale sull’emigrazione italiana in America (1). Noi italiani sappiamo bene cosa è la migrazione. Milioni di italiani hanno attraversato mari e oceani per cercare altrove una vita migliore. Anche per questo dovremmo fare di tutto perché i viaggi della speranza non si trasformino in viaggi della morte. Invece, con atti governativi e parlamentari, stiamo facendo l’opposto. Riducendo l’azione di soccorso in mare, ostacolando quella delle Ong che salvano migliaia di vite umane che i governi non vogliono salvare. La tragedia di Cutro è così diventata una strage. Potevamo salvare quelle vite e non le abbiamo salvate. Perché non c’è stato intervento di soccorso. Una vergogna che non può lasciarci in pace. Le giustificazioni non reggono. Per questo Vincenzo Montalcini, giornalista di Crotonenews, che ha seguito da vicino tutti i momenti di quella terribile strage, una vera e propria strage di innocenti pensando a tutti quei bambini morti, ha intitolato un suo appassionato libro, dove raccoglie le cronache dolenti di quei giorni, «Quale umanità?» (2).

Ecco: quale umanità? Questa è la domanda che incombe sul nostro Paese. Su ciascuno di noi. Quale umanità se lasciamo morire in mare i profughi? Ma ancora. Quale umanità se costruiamo muri fisici e legislativi che costringono i migranti a rischiare la vita per approdare a un Paese che dia loro sicurezza e futuro? Quale umanità se finanziamo chi ferma i migranti in qualsiasi modo? Anche con la violenza?

Pensiamo ai centri di detenzione libici, meglio noti come lager, finanziati dall’Italia e dall’Europa, dove i migranti subiscono torture, violenze, abusi, stupri, ricatti, dove vengono sfruttati come schiavi. Dove spariscono. Lo denunciano da anni le più importanti organizzazioni umanitarie internazionali e le stesse Nazioni Unite. Nell’ultimo rapporto dell’Onu, del 3 marzo 2023, si denuncia, ancora una volta, sulla base di centinaia di testimonianze attendibili, che nei centri di detenzione libici si verificano «assassinii, torture, violenze e abusi sessuali, schiavizzazioni, sparizioni di persone». Questi “crimini contro l’umanità”, è scritto, accadono dal 2016 con la corresponsabilità di apparati dello Stato libico, compresa la Guardia costiera (3). Quella Guardia costiera libica alla quale il 3 febbraio, un mese prima del rapporto Onu, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva consegnato la prima delle cinque nuove motovedette pagate dall’Unione Europea. Quella Guardia costiera libica che noi formiamo in Italia e finanziamo, insieme ai centri di detenzione per i migranti, sulla base dell’accordo (“Memorandum”) sottoscritto il 2 febbraio 2017 dai capi di governo dei due Paesi, Gentiloni e Serraj. Accordo confermato tacitamente ogni anno da tutti i governi italiani successivi, di ogni colore: Cinque Stelle-Lega, centrosinistra, centrodestra.

Inutilmente da anni le Nazioni Unite, mentre denunciano i crimini che si commettono in Libia, chiedono ai governi europei, a partire dall’Italia, di subordinare i finanziamenti al rispetto dei diritti umani. Invece si continua a finanziare e a chiudere gli occhi sui crimini contro l’umanità che lì si commettono. Di migliaia di migranti riportati indietro dalla Guardia costiera libica non si sono avute più notizie, denuncia l’Onu nel suo rapporto, come aveva denunciato nei rapporti precedenti. E noi la formiamo e finanziamo.

È mai possibile che tutto questo accada da anni, che questi crimini contro l’umanità continuino a ripetersi senza che ci sia una rivolta morale nel nostro Paese? Facciamo guerre “umanitarie”. Versiamo lacrime di fronte alle violazioni dei diritti umani. Ci indigniamo per gli afghani oppressi dai talebani. Ci commuoviamo per i torturati e gli uccisi nelle carceri iraniane o siriane. Ma quando scappano per cercare libertà e dignità, come ci comportiamo? Nella strage di Cutro la stragrande maggioranza dei migranti morti erano afghani. Tra di loro anche Torpekai, la giornalista che si batteva per i diritti delle donne. Come è possibile che tutte queste persone non abbiano potuto cercare un futuro altrove se non clandestinamente, su un barcone? È mai possibile che non si creino canali umanitari per loro e altri in fuga da situazioni intollerabili? È mai possibile che quando il loro barcone si è avvicinato alle nostre coste col mare in burrasca abbiamo fatto finta di non vederlo?

Dieci anni fa, il 7 luglio 2013, papa Francesco inaugurava il suo pontificato, che sarà tutto all’insegna di un incessante richiamo all’umanità nei confronti dei migranti e alla loro accoglienza e integrazione, con un gesto profetico: la visita a Lampedusa. Ricordiamo le parole che pronunciò allora: «Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte… ‘Dov’è tuo fratello?’ La voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi» (4).

Vincenzo Passerini*

 

Fonte


Editoriale tratto dalla rivista trimestrale di informazione e cultura «Note Mazziane – (aprile-giugno 2023)».
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Note


(*) Vincenzo Passerini è autore di «Tempi feroci. Vittime, carnefici, samaritani», Gabrielli Editori, Verona 2019. Cura il blog www.itlodeo.info

(1) Jerre Mangione – Ben Morreale, «La storia. Cinque secoli di esperienza italo-americana», SEI, Torino 1996.

(2) Vincenzo Montalcini, «Quale umanità?», Casa editrice Idemedia, Crotone 2023.

(3) Si veda: «Report of the Independent Fact-Finding Mission on Libya», www.ohchr.org.

(4) Papa Francesco, Omelia durante la messa a Lampedusa del 7 luglio 2013, Bollettino della sala stampa della Santa Sede, in: press.vatican.va