[Redazione di Ecumenici • 24.04.04] Dietrich Bonhoeffer nasce nel 1906 a Breslavia sesto di otto figli da Karl e Paula von Hase, ma la sua famiglia è di origine berlinese appartenente dell’alta borghesia, il padre era psichiatra. Una famiglia molto importante e molto in vista che aveva relazioni anche ai livelli alti dell’amministrazione dello stato...

TESTIMONI. RICORDO DI DIETRICH BONHOEFFER (1906-1945)

Dietrich Bonhoeffer nasce nel 1906 a Breslavia sesto di otto figli da Karl e Paula von Hase, ma la sua famiglia è di origine berlinese appartenente dell’alta borghesia, il padre era psichiatra. Una famiglia molto importante e molto in vista che aveva relazioni anche ai livelli alti dell’amministrazione dello stato. Nel 1924 Dietrich sceglie di studiare teologia a Berlino, scelta strana per la sua famiglia che frequentava sì la chiesa luterana, ma guardava con ironia la chiesa e la teologia convinta, cioè, che la vera cultura moderna fosse quella laica e scientifica. Compie molto velocemente gli studi e nel 1927, a soli 21 anni, si laurea con una tesi sulla chiesa dal titolo Sanctorum communio, pubblicata tre anni dopo nel 1930. Dopo qualche anno consegue l’abilitazione all’insegnamento con il libro Atto ed essere. La sua attività pastorale, oltre all’impegno intellettuale come docente, dimostra sin dagli esordi un grande interesse non solo per la teologia, ma anche per la chiesa nella sua figura concreta, per la comunità, per la sua vita e per i suoi aspetti sociologici.

Importanti per la sua vita e la sua formazione sono anche i periodi trascorsi all’estero: passa quasi un anno a Barcellona, in Spagna; poi parecchi mesi a New York sempre studiando teologia e cercando di conoscere altre tradizioni, entra anche in contatto con il Social Gospel e celebra funzioni religiose nei ghetti neri. Questo aspetto della sua vita rivela un tratto importante della sua personalità: l’apertura e la curiosità verso tradizioni diverse.

Nel ‘31 viene ordinato pastore della chiesa luterana e fino al ‘33 insegna a Berlino mostrando spesso una carica innovativa e coinvolgendo gli studenti in iniziative non legate esclusivamente all’ambito accademico, ma anche alla situazione politica esistente.

Inizia in questo ambito la sua opposizione sempre crescente al Nazismo. Nel 1933 in una trasmissione radiofonica definisce Hitler non un Fürher ma un Verfürher (seduttore). La trasmissione viene subito interrotta.

Alla fine di gennaio del 1933 Hitler sale al potere e Bonhoeffer si convince ben presto che non c’è più spazio all’Università per fare teologia come egli intendeva, a causa del controllo che il regime impone immediatamente anche alle attività culturali. Lascia quindi Berlino a si stabilisce a Londra per un paio d’anni, ma nel 1935 torna in Germania dove resta fino al ‘39. Sono questi gli anni del cosiddetto KirchenKampf, o lotta, che una parte della chiesa protestante conduce contro il regime nazista. Dietrich entra a far parte di questo gruppo che non recepisce le direttive del regime al suo interno, e che si autodefinisce “Chiesa confessante” per distinguersi dalle posizioni ufficiali della chiesa e della maggioranza dei credenti. Tra i vari il problema più scottante che si poneva riguardava la discriminazione degli ebrei.

Bonhoeffer è tra quei pochi, in Germania, che fin dal 1933 afferma l’inaccettabilità per un cristiano di ogni prospettiva razziale che discriminasse in qualsiasi modo all’interno di una comunità cristiana gli ebrei. In quegli anni ricopre anche l’incarico di direttore del seminario di Finkenwalde, dove vengono avviati agli studi e preparati ad esercitare il ministero pastorale proprio quei giovani che non si ritrovano all’interno dell’ideologia nazista. Qui inizia con i suoi studenti una esperienza di vita comune da cui nasceranno libri come Sequela (1937) e Vita comune (1938). Il seminario viene chiuso a metà ottobre del 1937 dalla polizia nazista e un mese dopo vengono imprigionati 27 ex allievi di Finkenwalde.

Nel ‘39, il 2 giugno, poco prima dello scoppio della guerra che avviene in settembre, emigra di nuovo negli Stati Uniti perché la sua posizione è già compromessa. Gli viene trovata una sistemazione in vari istituti universitari statunitensi e vi resta per circa un mese, ma gli scrupoli di coscienza per aver abbandonato il suo popolo nel momento del pericolo sono tali che nel giro di poche settimane ritorna sulla sua decisione e il 27 luglio rientra a Berlino. Qui merita mettere in evidenza un altro aspetto della sua vita: se Bonhoeffer è morto come un martire, ciò non è avvenuto perché si è trovato all’interno di un meccanismo infernale che l’ha schiacciato, ma perché ha voluto liberamente assumersi la responsabilità di condividere la sorte del suo popolo.

Tornato in Germania, nel ‘40 comincia ad avere i primi contatti con gli ambienti della resistenza ed arrivano puntualmente ulteriori provvedimenti restrittivi (la docenza gli era già stata ritirata il 5 agosto 1936): divieto di spostarsi liberamente e di parlare in pubblico (9 settembre), divieto di pubblicare e di stampare (19 marzo 1941). Nel 1941 insieme all’ammiraglio Canaris e al cognato Hans von Dohnanyi dà avvio ad un’operazione per salvare un piccolo gruppo di ebrei che si concluderà con il loro arrivo in Svizzera l’anno seguente. Nel frattempo il suo telefono e la sua corrispondenza sono messe sotto controllo dalla Gestapo. Il 5 aprile del 1943, dopo una perquisizione domiciliare, viene arrestato con l’accusa di aver partecipato al complotto del fallito attentato a Hitler e viene internato nel carcere militare di Tegel. Inizialmente non potè ricevere visite di nessun genere e fino alla fine di luglio potè scrivere solo ogni dieci giorni una lettera ai genitori, ovviamente dopo essere sottoposta al vaglio della censura. Ad un detenuto italiano che gli chiedeva come lui, cristiano e pastore, potesse prender parte ad un complotto che si proponeva la morte di Hitler, Bonhoeffer rispondeva: “Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante”.

Il carcere dell’esercito, in cui si trova insieme a molti altri ufficiali e soldati; questa situazione “mondana” – come la definiva, costituisce il contesto vitale che aiuta a capire le riflessioni contenute nelle lettere scritte dal carcere raccolte in parte nel volume intitolato Resistenza e resa. In esso egli più volte riflette su che cosa è cristiano, che cosa è mondo, che cosa è la vita di fede, nel tentativo di superare i dualismi tipici della tradizione cristiana, particolarmente di quella moderna. Un’altra parte della sua corrispondenza – quelle con la fidanzata Maria von Wedemeyer e con i genitori – è invece raccolta in Lettere alla fidanzata. Cella 92. Dietrich Bonhoeffer Maria von Wedemeyer 1943-1945.

Finché resta nel carcere militare la situazione è relativamente accettabile: può ancora avere contatti con la famiglia, scrivere e ricevere lettere, ma aggravandosi la sua situazione processuale l’8 ottobre del 1944 deve abbandonare l’ormai familiare cella 92 di Tegel e viene internato in un carcere della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse a Berlino. Da questo momento le notizie sulla sua sorte sono molte frammentarie: in un momento favorevole Bonhoeffer riuscì a inviare tre lettere cosa altrimenti proibita come pure le visite di amici e parenti. Il cugino della fidanzata Maria, anch’egli recluso insieme a Dietrich racconta: “Era sempre di buon umore, sempre ugualmente gentile e premuroso con tutti, tanto che con mio stupore in poco tempo aveva conquistato le guardie, non sempre piene di umanità. Caratteristica del nostro rapporto era che lui fosse sempre quello pieno di speranza, mentre io a volte soffrivo di depressione. Era sempre lui che infondeva coraggio e speranza e non si stancava di ripetere che è persa solo quella battaglia che diamo per persa. (…) Le poche cose che avevamo e che potevano essere portate in prigione dai nostri parenti ce le scambiavamo a seconda delle necessità di ognuno. Con occhi raggianti mi raccontava delle lettere della sua fidanzata e dei suoi genitori, dal cui amore egli si sentiva avvolto e assistito anche nella prigione della Gestapo”.

IL 12 gennaio del 1945 l’Armata Rossa aveva iniziato l’offensiva decisiva contro gli sbarramenti tedeschi del fronte orientale. Il 3 febbraio Berlino veniva sottoposta a un durissimo bombardamento aereo di due ore che radeva al suolo buona parte del centro della città, compreso l’Ufficio per la sicurezza del Reich. Per questo motivo il 7 febbraio venne deciso il trasferimento di Dietrich Bonhoeffer e degli altri detenuti di spicco in una prigione sotterranea ai margini del campo di concentramento di Buchenwald. Il 3 aprile durante un ulteriore trasferimento verso il sud della Germania fanno tappa in una scuola di Schönberg, vicino Ratisbona, dove ha l’opportunità di celebrare una funzione mattutina, poco dopo gli viene imposto un ulteriore trasferimento. Prima di partire Bonhoeffer si accomiata dai suoi amici e da due prigionieri inglesi dicendo: “È la fine, per me è l’inizio della vita”. Viene condotto a Flossebürg dove la corte marziale riunitasi la notte dell’8 aprile su esplicito ordine di Hitler lo condanna a morte insieme agli altri congiurati: il mattino del 9 aprile 1945 Dietrich Bonhoeffer viene impiccato assieme a l’ammiraglio W. Canaris, al maggiore generale H. Oster, all’avvocato K. Sack e a T. Strünck; Di tutto questo Maria von Wedemeyer sarà informata solo dopo la fine della guerra, nell’estate del 1945.