POESIA E POLITICA

Ci piacerebbe un presidente della Repubblica che avesse fatto la Resistenza.

Un presidente della Repubblica che avesse fatto la scelta della nonviolenza.

Un presidente della Repubblica femminista.

Una presidente della Repubblica. Lidia Menapace.

A questo  modo il mio amico Peppe Sini, infaticabile animatore del Centro viterbese di ricerca  per la pace (per contatti [email protected]) ha scatenato una campagna elettorale che, del tutto trascurata dai giornali poiché non emana dagli uffici stampa dei partiti né dalle loro anticamere, batte invece un gioioso tam tam nelle regioni della rete informatica. Lidia Menapace, infatti, non è nota alla grande stampa che segue soltanto i Chiacchierati e i Chiacchieroni della politica e della cultura, ma è notissima fra i gruppi di base di un’Italia da lei incessantemente percorsa a disposizione degli uomini e delle donne di buona volontà interessati a discutere del nostro tempo e dei doveri che ne conseguono.


Lidia ha ottantadue anni e un sorriso da ragazza. Ha partecipato alla Resistenza, è stata docente universitaria, una dei fondatori e fondatrici del quotidiano “il manifesto”, è cattolica conciliare, animatrice della cultura delle donne italiane, testimone della nonviolenza in cammino.
Nelle scorse elezioni è stata eletta senatrice, in Abruzzo, ma già da tempo in molti chiedevamo che Ciampi la nominasse senatrice a vita.

Penso che la proposta di Peppe e di tanti altri, ai quali pienamente mi associo, sia una straordinaria irruzione della poesia nei tetri ambienti della politica italiana, in cui il mercanteggiamento levantino dei voti e delle cariche sente di muffe velenose. Che qualche cittadino si levi per inceppare con un nome la girandola dei cosiddetti ‘professionisti’ e dei mediocri che essi vanno cooptando, mi pare nuovo e bellissimo. Che ciò si verifichi mentre si cerca di riproporre nomi usurati da lunghi poteri malamente impiegati, senza minimamente pesare l’autorevolezza morale dei candidati, la loro testimonianza di vita, la loro fedeltà alla Costituzione repubblicana, lo spirito di servizio, che dovrebbero essere i requisiti fondamentali di un capo di Stato, mi sembra ancora più gioiosamente opportuno. E Lidia Menapace possiede tutte queste qualità.

Naturalmente Lidia Menapace non sarà mai presidente della Repubblica italiana. Non è questione di età, come non è per la sua età che non sarà candidata a quell’ufficio un’altra donna di grandi meriti e di limpida testimonianza di vita come Maria Eletta Martini. Non viene forse discusso seriamente il rinnovo della presidenza Ciampi? La vera questione è che gli addetti ai lavori cercano in ben altro ambiente. Forse che si parla di eleggere personaggi più giovani, di grande levatura morale e costituzionale come, tanto per fare un altro nome, Stefano Rodotà?

Tuttavia la proposta di Peppe Sini e dei suoi amici (la nostra proposta) non va lasciata cadere anche se appare priva di ogni realistica possibilità di successo. È evidente, a me pare, che per un’ubricatura di realismo i nostri politici hanno perso il gusto della poesia – o dell’utopia, se preferiamo chiamarla così, del porre segni significanti, simboli, come dice la parola, unificanti Si tratta di un errore di effetti devastanti  perché una politica che non sia modellata dai grandi ideali – le utopie, appunto – non ha vele per navigare né terra per coltivare.

Se invece settanta parlamentari (basterebbero, e come!) votassero, almeno nel primo scrutinio, il nome di Lidia Menapace, i mass-media sarebbero costretti ad accorgersi che esiste un’Italia, a loro quasi (volutamente) sconosciuta, di galantuomini e di oneste donne, un’Italia di cultura viva e operante, che non si arrende all’esiguità dei propri mezzi, che vota ma non si sente fortemente rappresentata dai partiti e li considera, tutti, in questo momento, strumenti obsoleti, poteri gerontologici, tali non per ragioni anagrafiche ma per carenze respiratorie.

Se cinquanta parlamentari (basterebbero) facessero il nome di Lidia, molta gente sarebbe spinta a scoprire che esistono, quasi del tutto invisibili sotto la rete burocratica dei partiti e la condanna al silenzio stampa, legami trasversali ed efficaci che, potenziati, potrebbero ringiovanire e riqualificare la politica italiana: un gruppo politico informale – irregolare, mi piacerebbe definirlo – che vive testardamente alcuni valori etici: la pace, la giustizia internazionale, la nonviolenza non  come “buonismo” ma come progettualità politica; la maggiore presenza delle donne nelle sedi decisionali dello Stato non come bonario paternage maschile ma come assoluta necessità di ampliamento di orizzonti e di prassi; una difesa della Costituzione non soltanto come carta fondamentale dello Stato ma come descrizione di un’etica laica con cui raggiungere una maggiore pienezza democratica e sbarrare la strada ai fascismi sempre risorgenti in forma più o meno occulta.

Da utente ma anche da professionista della comunicazione, vorrei garantire alle mie amiche e ai miei amici più desolantemente o furiosamente delusi dalla situazione in cui viviamo, che il problema della visibilità politica è ormai tutt’altro che secondario. In un paese in cui il 90 per 100 delle persone riceve la sua unica informazione (e formazione) politica dalla televisione è di drammatica importanza creare eventi di cui i mass-media debbano interessarsi. La candidatura Menapace avrebbe questa caratteristica.

Come ottenerla? Penso che innanzi tutto dovremmo, oggi stesso, parlarne ai nostri amici e alle persone con le quali abbiamo qualche non effimero incontro: e pi scriverne subito garbatamente a senatori, deputati e rappresentansi di regione per i quali abbiamo stima o rispetto. Facilissimo è trovare l’indirizzo telematico dei parlamentari: basta cercarlo nei siti  www.camera.it e www.senato.it. Quanto agli indirizzi di posta elettronica dei consiglieri regionali si trovano agevolmente nei siti dei relativi Consigli Regionali.

Ettore Masina