«ADIEU ROSARNO!»


Il titolo di questo mio breve scritto non potrebbe essere diverso: «Adieu», addio. É una considerazione ma anche un triste saluto che io e i miei connazionali e co-continentali africani indirizziamo a questo luogo, a questo tòpos dell’Italia del Sud che è Rosarno.

Un saluto triste ma sentito dal profondo del cuore colmo di dolore dopo i tre giorni di rivolta e di battaglia. Ma non esiste solo Rosarno in Calabria. Ci sono altri luoghi calpestati dai piedi e dalle mani dei cittadini africani giunti in Calabria per bisogno, per necessità, per persecuzione. Alcuni di questi luoghi ho avuto modo di conoscerli negli anni 1997, ’98 e ’99 quando andavo a trovare il mio carissimo amico vescovo, mons. Giancarlo Maria Bregantini, allora vescovo di Locri. Eccoli: Gioia Tauro, Siderno, Caulonia, Crotone, Reggio, Sant’Ilario, Paola, Vibo Valentia, Seminara Calabra, Badolato, Locri, Lungro e Piana degli albanesi. Molti dei cittadini africani sono giunti in questi posti soprattutto per motivi di lavoro: raccolta della frutta (arance, mandarini, pompelmi) e della verdura. E provengono da altre zone del Sud: da Caserta, da Castelvolturno, ma anche dal nord Italia, da Verona, Milano e da Vicenza, lasciando alle spalle le loro attività lavorative che non potevano più svolgere a causa della crisi economica.


ACCOGLIENZA?

Altri, invece, sono giunti in questo profondo Sud dell’Italia dopo lunghi periodi trascorsi nei Cpi o Cpt, i cosiddetti centri di accoglienza, che con l’accoglienza non hanno niente a che vedere. Chiamiamo le cose con il loro nome. I Cpt sono centri di detenzione e di esclusione sociale. Quello che non viene detto in questi giorni dai telegiornali e dalla carta stampata è che tanti di questi cittadini immigrati africani, che provengono prevalentemente dalla Costa d’Avorio, dal Ghana, dal Sudan, dalla Nigeria, dal Togo e dalla Liberia, hanno convissuto per anni con i cittadini polacchi, romeni… Fino a quando a questi ultimi si sono aperte le porte dell’Unione Europea, diventando di fatto dei cittadini regolari. Mentre la maggior parte degli africani è rimasta irregolare, per quanto riguarda il permesso di soggiorno.

Oltre un anno fa avevano manifestato silenziosamente, chiedendo alle autorità che la loro situazione venisse sanata e regolarizzata alla pari dei loro amici lavoratori neocomunitari rumeni, bulgari e polacchi. Ma il loro appello era caduto nel vuoto e nell’indifferenza di tutti gli amministratori, del governo, nell’oblio totale dei partiti politici di ogni schieramento. Non avevano chiesto di rimanere nelle condizioni in cui si sono trovati, ovverosia irregolare, senza documenti, senza acqua, luce, gas e cibo. Si sono trovati a vivere questi problemi per il rifiuto e il silenzio che ha segnato loro la pelle disegnando nelle loro mani dei calli e delle ferite inconfondibili.

Alcuni di questi immigrati sono stati scelti e preparati dai ‘boss’ ad essere dei caporali efferati. Il lavoro iniziava alle 4 di mattina e si concludeva dopo oltre 14 ore, quando già era buio. Niente giorni di riposo o di festa da onorare. Il guadagno si aggirava sui 20 o 25 euro al giorno, meno 2 o 3 euro da dare al passeur, come viene chiamato chi mette in contatto il lavoratore bracciante con il caporale. Le baracche erano rifugi di fortuna, spesso vicini ai terreni coltivati, perché così si evitava di pagare ai caporali il trasporto. Insomma, per gli immigrati non era solo una situazione di degrado ambientale, ma anche, e soprattutto, una situazione disumana.

CASTEL VOLTURNO 2008

Ricordo a chi legge, che una situazione simile era stata fatta emergere dagli immigrati africani a Castel Volturno nel 2008, dove 6 degli immigrati che protestavano furono trucidati dai mafiosi. Provenivano dal Ghana, dal Togo e dalla Nigeria. I corpi sono rimasti per molti mesi nelle celle mortuarie prima che venissero trasportati nei rispettivi paesi d’origine per le esequie e per un rito funebre dignitoso. Dopo questo omicidio plurimo e la rivolta degli immigrati contro i gruppi mafiosi che li avevano attaccati, la reazione dell’opinione pubblica italiana ed europea fu di indignazione e di tristezza per quello che era accaduto. Il mondo politico, compreso il ministro dell’Interno Maroni, non ha fatto altro che inviare dei militari e dei poliziotti sul posto, nulla di più. Oggi di quei fatti rimane solo il ricordo dei volti dalle voci strazianti che manifestavano per ribellarsi al potere criminale che li aveva fatti passare come «spacciatori di droga».

Allora si parlava di un caso isolato successo in Campania. Oggi si parla del caso dei clandestini, degli irregolari da «tolleranza zero». Ma ci si dimentica dei loro nomi, dei loro volti e delle loro storie. E anche delle fatiche del loro lavoro di raccoglitori di prodotti che arrivano sulle nostre tavole. E, soprattutto, delle loro grida per molti anni inascoltate.

«Adieu Rosarno!», come mi dice oggi monsieur Guy, della Costa D’Avorio, passato anche lui da quell’inferno di Goia Tauro prima, e da Foggia dopo. Ma la domanda che molti si pongono dopo aver visto le immagini delle baracche ed assistito alle riprese televisive della «battaglia di Rosarno», è questa: come è potuto accadere tutto questo in Italia? Come è possibile che migliaia di esseri umani abbiano potuto vivere per molti anni in quella condizione disumana e di palese situazione di sopruso e di sfruttamento? Ma è possibile che nessuno abbia avuto il coraggio di parlarne, di denunciare questa situazione e di sottolinearne la pericolosità, la miscela esplosiva che stava prendendo fuoco? Di chi e di chi è la responsabilità…?


I FATTI

In una recente intervista all’intellettuale e scrittore Antonello Mangano, autore del libro «Gli africani salveranno Rosarno», pubblicato un anno fa, egli sottolineava il fatto che «gli africani di Rosarno e dintorni avevano già tentato lo scorso anno di ribellarsi ai loro sfruttatori, ma nessuno ne aveva parlato. Questa volta la rivolta è scoppiata dopo che si era diffuso in mezzo agli africani la voce che due loro connazionali erano stati gambizzati da sconosciuti. Di notte tutti si sono così alzati al grido che il «nostro sangue non deve bagnare il suolo di Rosarno calabro». C’era lo spettro di quello che era accaduto un anno fa ai sei africani morti a Castelvolturno, vicino a Caserta».

Ho chiesto ad alcuni immigrati se conoscevano degli immigrati che vivono in questa zona d’Italia, ed affermativa è stata la loro risposta. Ho saputo da loro e da altre fonti che alcuni immigrati di Rosarno sono arrivati da Napoli negli anni Novanta, dopo la distruzione di Villa Literno per mano maldestra. E infine da Castel Volturno, dove erano stati già cacciati e portati via di peso lo scorso anno dalla polizia. Altri sono scesi dal Nord Italia dove avevano perso il lavoro per effetto della crisi. Questi ultimi erano regolari, titolari di permesso o di carta di soggiorno. Si trovano a Rosarno, a Gioia Tauro, a Seminara calabra, a Vibo Valentia in questi tempi per la stagione della raccolta di arance e di mandarini, in attesa di risalire al Nord appena si apre qualche possibilità di lavoro più sicuro e stabile.

Sono tutti uomini neri, questi braccianti agricoli, con forti esperienze di lavoro nei campi, acquisite in Africa dove tutta l’economia è fondata sull’agricoltura e l’allevamento di bovini. In altre zone della Calabria, della Campania e della Puglia ci sono invece altri lavoratori immigrati, musulmani, provenienti dal Marocco, dalla Tunisia e dall’Iraq. Li chiamano «gli immigrati bianchi», perché -si dice- «fanno meno paura dei neri». A loro è riservato un trattamento diverso rispetto agli africani.

RESPONSABILITÁ



Tornando alla questione della responsabilità, possiamo dire innanzitutto che tutte le persone del luogo, compresi gli amministratori locali e i sindacati, sapevano dell’esistenza di questi cittadini africani. Come sapevano dell’esistenza dei caporali. Ma non da oggi. Sapevano in che condizioni vivevano. Ad una delle riunioni dell’Anolf-Cisl (Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere) nel 2007, il mio collega di Reggio, Valentin Munanga Muguza, parlando del decreto flussi che da lì a poco sarebbe stato pubblicato, accennò alla possibilità di regolarizzare i braccianti. Alcune associazioni come MSF (Médecins Sans Frontières), avevano denunciato con video e documenti fotografici questa orribile situazione. Alcuni di questi dossiers fotografici e videogrfici sono stati proiettati pubblicamente a Verona da Msf in collaborazione la Fai-Cisl e l’Anolf di Verona, presso Corte Molon. Altri video sono stati proposti da Msf di Verona ai cittadini immigrati lo scorso mese di maggio 2009, presso la sede Cisl scaligera, sottolineando ancora una volta le tristi e disumane condizioni documentate. Di braccia, non-uomini.

Per quanto riguarda le cifre, qualcuno dice che gli immigrati siano circa 2500, e tutti senza documenti. Cifre ‘sparate’. Non ci è dato sapere quanti siano esattamente. In situazioni dove non c’è la possibilità di regolarizzazione e di emersione dal lavoro non in regola -come avevano incessantemente chiesto ad altra voce nei mesi di agosto e settembre del 2009, nel periodo del decreto, ma senza essere ascoltati- non è mai possibile quantificare le presenze. Una cosa è certa: che si tratta di neri, che provengono dall’Africa subsahariana, che alcuni di loro sono passati per Lampedusa via Tripoli (Libia), altri da Castel Volturno, da Caserta, altri ancora da Foggia, da Eboli e altri ancora provengono dal Nord Italia. Un’altra cosa si sapeva: date le condizioni in cui vivevano, molti si sarebbero ammalati e avrebbero avuto bisogno di cure sanitarie continuative. Solo i medici volontari che fanno capo a Msf ed Emergency si sono occupati di ciò.



Sempre Antonello Mangano, presente nei «luoghi della battaglia» di quei giorni tra gli immigrati imbestialiti e i rosarnesi inferociti, ha raccontato che la polizia è dovuta intervenire più volte per aiutare gli immigrati, ai quali venivano sparati proiettili di gomma. Poi c’è stato l’epilogo finale: «la caccia al nero», con arresti, feriti, deportazioni nei centri di detenzione permanente (180 giorni) e dispersi nella piana di Gioia Tauro e nelle zone limitrofe di Oppido-Palmi.

I SILENZI

Non sono ancora in grado di sapere perché per tutto questo tempo c’è stato un lungo silenzio dei politici, degli amministratori locali e anche dei sindacati che hanno la piena titolarità nella tutela dei lavoratori. Ho l’impressione che si faccia in fretta ad entrare in azione con le ruspe per demolire le baracche e i rifugi di fortuna di questi cittadini trattati come animali, per rimuovere ogni responsabilità sia oggettiva che soggettiva. Senza un’analisi seria ed approfondita di quello che è accaduto, altre rivolte potrebbero scoppiare in altre zone d’Italia, dove purtroppo situazioni come quella di Rosarno esistono già da tempo.

«Adieu» dunque Rosarno! Adieu con tristi ricordi e con pochi oggetti essenziali trasportati nelle stesse valige di cartone del giorno di partenza dalle coste africane. «Adieu» ai tuoi vecchi e ai tuoi uomini spesso in piedi nelle piazze a chiaccherare allegramente mentre le braccia sudano sotto le piante di arance a cogliere il raccoglibile.

«Adieu» alle notti insonni in attesa dell’arrivo del caporale e del suo vigilantes. «Adieu» alle tue strade piene di buche dove ogni alba si sale sui furgoni sgangherati alla volta delle sperdute campagne.

«Adieu» ai canti di cuore, compagni della solitudine sfinita e desolata delle ore di punta nei campi.

«Adieu» ai sogni infranti, appesi ai pochi muri rimasti delle baracche di fortuna.

«Adieu» alla tua gente sempre guardinga, razzista e sospettosa dei movimenti e dei passi di un semplice uomo-bracciante.

«Adieu» alla tua gente dallo sguardo dolce e accogliente sempre in attesa che il Gallo della speranza canti ancora la canzone della Gioia di Vivere nella Piana di Gioia Tauro.

Adieu!!

Jean-Pierre Piessou

(Vice Presidente ANOLF CISL Verona)