Lo scorso lunedì 7 luglio 2008, la Commissione ambiente del Parlamento europeo si è pronunciata in merito alla proposta di Direttiva avanzata dalla Commissione europea in materia di fonti di energia rinnovabile (Eu Strategy Energy Review). Essa prevede che entro il 2020 il 10% del combustibile utilizzato nel settore dei trasporti debba provenire dagli agrocarburanti. La proposta di compromesso votata dalla Commissione ambiente del PE ha di fatto rifiutato l’obiettivo di lungo termine, stabilendo un obiettivo intermedio del 4% nel 2015 e diluendo il vincolo del 10% anche su «altre fonti di energia» come l’idrogeno e l’elettrico. Il risultato evidenzia come all’interno dello stesso Parlamento emerga cautela in relazione ai potenziali effetti di uno spostamento di utilizzo di materie prime agricole dall’alimentazione all’energia, in particolare alla luce dell’attuale crisi internazionale.
«Pur esprimendo soddisfazione per la marcia indietro verificatasi – sottolinea in un comunicato Mani Tese, Organizzazione non governativa molto sensibile su questo versante – il risultato non è ancora sufficiente e la partita non è chiusa. È necessario, infatti, che si abbandoni definitivamente tale proposta». Ed aggiunge: «La soluzione degli agrocarburanti rappresenta un semplice palliativo per non affrontare realmente il problema delle emissioni di gas serra e le cause dell’attuale situazione di crisi energetica. Come organizzazione non governativa impegnata al fianco delle popolazioni del Sud del mondo, denunciamo i rischi che si profilano all’orizzonte: il modello di produzione agricola intensivo, monocolturale e su larga scala per le materie prime destinate agli agrocarburanti causerà enormi impatti sociali ed ambientali nei Paesi del Sud, che ne saranno i principali fornitori. I conflitti per l’acqua e per la destinazione di utilizzo delle terre avranno conseguenze determinanti sui piccoli produttori agricoli, sui popoli indigeni e sulla sicurezza alimentare dei Paesi del Sud».
Proprio mentre i Paesi del G8 si riuniscono per discutere di crisi alimentare e cambiamento climatico, la Banca mondiale, in uno studio tenuto segreto e reso pubblico dal quotidiano britannico «The Guardian», afferma che una delle principali cause dell’aumento del prezzo delle materie prime sono proprio gli agrocarburanti foraggiati dalle politiche di USA e UE. L’attuale crisi dei prezzi delle derrate agricole, secondo le stime dell’ONU, farà aumentare il numero di persone che soffrono la fame di 100 milioni, che si aggiungeranno ai circa 850 milioni stimati dalla FAO.
Gli agrocarburanti sono un business su cui molte grandi imprese (dal settore petrolifero all’agrobusiness, dalle case automobilistiche a quelle biotecnologiche, fino ai grandi istituti finanziari privati) stanno mettendo le mani. Non sono certo un’opportunità per mitigare il cambiamento climatico. Le risposte alla crisi alimentare dovrebbero focalizzarsi su accesso alle risorse, agricoltura su piccola scala e sovranità alimentare; sulla messa in discussione delle politiche di liberalizzazione del commercio e degli investimenti; sulla promozione di regole del mercato internazionale che limitino lo strapotere delle multinazionali della commercializzazione, della produzione e della distribuzione.
Gli 8 “grandi” riuniti in Giappone in questi giorni dovrebbero superare la retorica dell’aumento degli aiuti internazionali e rivolgere l’attenzione alle cause strutturali dell’attuale crisi. Secondo quanto afferma l’Unione Europea, l’obiettivo stabilito rientra nella più generale strategia di riduzione delle emissioni di gas serra e di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, anche alla luce della spirale speculativa che ha coinvolto il prezzo del petrolio. «Invece, alcuni studi sui bilanci di emissione di gas serra sull’intero ciclo di produzione degli agrocarburanti pongono seri dubbi sul loro reale livello di risparmio», continua Mani Tese. «Servono altre strade, più economiche e già percorribili, di risparmio ed efficienza energetica nel settore dei trasporti. É sempre più urgente mettere in discussione il nostro modello di sviluppo economico basato su una crescita illimitata della produzione e dei consumi, per non aggravare ulteriormente il debito storico, culturale ed ecologico che abbiamo con i Paesi del Sud del mondo».
Roberto Sensi (Coordinatore Comitato Attività Esterne di Mani Tese) ha redatto un Dossier di approfondimento su questo tema: lo trovi qui.