[di Marco Deriu] Vi proponiamo questo articolo del sociologo Deriu, scritto nel 2002, sulle angosce sociali, ideologia della sicurezza e business dopo l'11 settembre. Per decenni nei paesi occidentali siamo stati abituati a credere che l'affermarsi parallelo dei sistemi politici democratici e dello sviluppo economico, avrebbe portato alla realizzazione di una società del benessere che avrebbe ridotto la fatica e la violenza e di un sistema politico pacifico che avrebbe ridotto gli attriti e il ricorso alla guerra sul piano delle relazioni internazionali…

AL MERCATO DELLA PAURA

Per decenni nei paesi occidentali siamo stati abituati a credere che l’affermarsi parallelo dei sistemi politici democratici e dello sviluppo economico, avrebbe portato alla realizzazione di una società del benessere che avrebbe ridotto la fatica e la violenza e di un sistema politico pacifico che avrebbe ridotto gli attriti e il ricorso alla guerra sul piano delle relazioni internazionali.

Queste legittime aspirazioni oggi credo abbiano ben poco di credibile e non riescono più a contrastare un senso di angoscia e pessimismo che si sta diffondendo verso la capacità del “sistema” economico politico attuale di assicurare pace, tranquillità, benessere.

L’attacco alle Twin Towers – oltre ai morti effettivi.- ha avuto un effetto simbolico e psicologico devastante. Il panico da antrace e le ipotesi di bioterrorismo delle settimane successive non hanno fatto altro che rincarare la dose. Quello che è andato definitivamente in frantumi è l’ultimo baluardo della sicurezza, quella militare di fronte ad un possibile nemico. Gli attentati e la vicenda carbonchio, hanno chiarito la natura della condizione postmoderna in cui ci troviamo.

Non c’è più un nemico, un esercito definito, chiunque può essere un nemico. Non c’è più un arma definita, qualsiasi cosa può diventare un arma. Non c’è più un bersaglio o uno scopo verso cui si può prevedere che si scatenerà l’attacco o la violenza.

Sotto attacco ci sono tutti i luoghi simbolici ovvero tutti gli spazi di tranquillità e di normalità delle nostre società. Sono i nostri incubi peggiori a suggerire le prossime armi e i prossimi obiettivi. La strategia terroristica è una strategia del panico su larga scala. Lo scopo è una paura generalizzata. Il sistema più forte e potente viene messo in ginocchio così attraverso la produzione di un senso di insicurezza e di angoscia diffuso. Abbiamo imparato molto velocemente, da questo punto di vista, che un mondo più interconnesso e interdipendente può anche essere un mondo più fragile ed esposto alla violenza. Più la violenza è diffusa, rapida, veloce, delocalizzata, meno è prevedibile e controllabile. La globalizzazione è anche globalizzazione dell’odio, della violenza e del panico. Le armi Cbrn (chimiche, biologiche, radiologiche, nucleari) sono quelle che colpiscono di più il nostro immaginario. Intanto perché possono passare e colpire attraverso i beni naturali fondamentali – acqua, cibo, aria – e secondariamente perché sono armi di distruzione di massa. Bastano otto grammi di antrace per causare lo stesso numero di morti in un chilometro quadrato di 32 tonnellate di bombe convenzionali o di 5 chili di una bomba atomica. Stando agli esperti sembra che non sia poi così difficile acquistare colture di bacilli di antrace o di altri bacilli pericolosi per produrre armi batteriologiche. Il carbonchio può essere richiesto direttamente in uno dei 45 istituti nel mondo che custodiscono ufficialmente questo germe. In molti paesi si può addirittura ordinarlo per posta (fino a qualche anno fa anche negli Usa). Anche per quanto riguarda le armi chimiche, si può evidenziare come gli elementi per costruirle sono nei fatti sostanze molto comuni (le stesse usate per pesticidi, o fertilizzanti, o realizzazione di materie plastiche) e quindi si trovano dappertutto. Le attrezzature per produrre questo genere di armi in grande scala sono molto costose ma per produzioni più limitate e senza particolari livelli di sicurezza diventa abbastanza facile perfino in un laboratorio improvvisato in una cantina.

Come era ovvio aspettarsi, negli Stati Uniti, ma anche in Italia (come negli altri paesi) nelle settimane e nei mesi successivi all’attentato e ai casi di inquinamento da Antrace sono comparsi decine di libri e riviste dedicate al terrorismo nella sue forme di attentati violenti e di bioterrorismo. Tra i tanti esempi che si possono citare, agli inizi di novembre una guida ai programmi televisivi (che in quel periodo pompavano il caso antrace) telesette, diffondeva come allegato il settimanale di salute e bellezza Viversani & belli con il titolo “Rischio Carbonchio. Come difendersi”.. Nello stesso periodo il numero di novembre di Newton usciva con un inchiesta sul bioterrorismo di 20 pagine. In copertina una donna in tuta di sicurezza e la scritta: “Siamo in pericolo? Cosa sono e come funzionano le armi chimiche e batteriologiche. I rischi e le strategie di protezione in Italia”. Il Corriere della sera e il Corriere Salute hanno supportato invece il libro di Giovanni Baldoni Bioterrorismo.

Come difendersi, I libri di Corriere Salute, Roma, 2001. Tra i tanti libri usciti tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di quest’anno ricordo il libro curato da Pietro Greco Bioterrorismo. Antrace, gas nervini e bombe atomiche. Quali rischi e come possiamo difenderci, Editori Riuniti, Roma, 2001, il libro di Nicola Borzi e Giulia Crivelli I killer invisibili. Bioterrorismo, le nuove minacce e le difese, Il sole 24 Ore libri, 2001, il libro di Adriana Bazzi Bioterrorismo, Laterza 2002, le traduzioni di Wendy Barnaby, L’incubo dell’untore. Guerra e terrorismo biologico, Fazi Editore, Roma 2001 e Jake Carson, Bioterrorismo e armi chimiche. Come sopravvivere, Piemme. Su Internet si possono trovare anche i teorici dell'”anti-bioterrorismo fai da te” come per esempio Chet Day, direttore di Health & Neyond Weekly, che apre il suo sito domandando a grandi lettere: “Do you have a defense plan for your family to survive Smallpox, or other horrific bioterrorism diseases?” Day spiega che un “vecchio scrittore di 54 anni che ama pensare per se stesso” come lui, non si fida delle autorità, e soprattutto non ha fiducia che il governo ci dica la verità quando sono a rischio il potere, i soldi e la sicurezza nazionale.

Dunque Chet Day offre la possibilità di scaricare a pagamento via internet una guida per un piano di difesa contro anthrax, smallpox, piaghe bubboniche ed altre minacce bioterroristiche, dal titolo “Biological Terror. A consideration of ancient and alternative tratments of catastrophic deseases”. Il rapporto si caratterizza fra l’altro per la proposta di ricorrere ai trattamenti alternativi e omeopatici. Insomma la medicina “verde” in questo caso esplicitamente come antidoto ai nostri incubi bioterroristici per soli 34, 95 dollari. Non a caso, nella classifica dei libri Amazon il più venduto è stato per parecchi giorni il volume “Germs” sugli attacchi batteriologici, finché non è andato completamente esaurito. Non è solo l’informazione su questi temi a proliferare ma anche tutto un mercato di gadget antiterrorismo. La Mayo Clinic in collaborazione con la Roche Diagnostics per esempio ha sviluppato un “New Rapid Anthrax Test” per identificare rapidamente campioni di antrace in ambienti o in esseri umani. La Bayer ha fatto fortune lanciando sul mercato il ciprofloxacin (Cipro), un antibiotico orale a largo specchio (usato contro 14 tipi di infezioni) adatto per combattere il carbonchio (la malattia causata dal bacillo dell’antrace) che ha avuto un successo commerciale enorme.
 
Il 21 ottobre 2001 la Bayer confermava il suo supporto alla U.S. Food and Drug Administration e annunciava la volontà di immettere sul mercato 200 milioni di tavolette di Cipro per i tre mesi successivi: “con la scorte enormemente ampliate di Cipro che la Bayer sta ora producendo, combinate con le forniture di doxycyclina e penicillina prodotta da altra industrie farmaceutiche, l’azienda crede che la popolazione ha ogni ragione di essere assicurata che le autorità di salute pubblica saranno in grado di occuparsi rapidamente e efficacemente di ogni minaccia di antrace”.. Qualche giorno dopo (24 ottobre) la Bayer annuncia uno storico accordo per assicurare 300 milioni di tavolette Cipro al governo USA per 95 milioni di dollari solo per il primo anno. L’azienda Acambis di Cambridge ha realizzato un contratto di 343 milioni di dollari per fornire agli Stati Uniti 40 milioni di dosi di vaccino anti-vaiolo. Negli ultimi mesi tutti i prodotti anti-terrorismo hanno avuto un riscontro di mercato impressionante che ha trovato naturalmente un pendant sui mercati finanziari. Le società che producono sistemi di sicurezza elettronici come Viisage o InVision hanno avuto un vero e proprio boom, e aziende specializzate come B.E. Aereospace – un’azienda della Florida specializzata in allestimenti per interni di aerei e veivoli che ha annunciato un innovativo sistema di sicurezza per cabine di pilotaggio – hanno visto innalzare in pochi giorni il proprio titolo Nasdaq, del 50%.. Nello stesso periodo ci sono state anche numerose speculazioni finanziarie di aziende che hanno visto schizzare in alto le loro azioni di fronte ad annunci di prodotti antiterrorismo in realtà non esistenti o non testati. Tutte le imprese high-tech hanno lanciato o riproposto sistemi di sicurezza di ogni genere: dagli impianti di controllo e depurazione a raggi UV, ai Chemical agent monitor (CAM), dai “canarini elettronici” alle “nanosentinelle” ai “nasi elettronici”. E poi tute protettive, guanti, maschere antigas. La Coast to Coast Safety Inc di Long Beach, ha proposto un kit di guanti di gomma e maschera antigas e anti batteri a 10 dollari. In Italia vi sono diverse aziende che commercializzano questo genere di articoli. La “Maschere Antigas”a Rimini, la “Secura” a Firenze, la “A+A Monferrato nel torinese, la “Stalg” o la “Green Service” a Roma. Sempre nella capitale si trova la “D.P.I. (Dispositivi Protezione Individuale S.r.l.)” l’azienda leader in Italia nel settore della protezione dell’individuo che ha mosso i suoi primi passi nel gruppo Pirelli fin dalla prima metà del ‘900. La DPI produce apparecchi per la protezione della vista, tute antiacido, rilevatori di gas, maschere antigas, filtri, autorespiratori ecc. Nel pieno della psicosi terroristica, la DPI ha prontamente predisposto una serie di prodotti in vendita via Internet (Vd. http://www.dpisekur.com/): un “Kit disposable apertura posta per emergenza batteriologica” con un respiratore e guanti in neoprene a soli ? 10,35 + Iva, un più sicuro “Kit per apertura posta per emergenza batteriologica” con una semimaschera in gomma sintetica, guanti e filtri a? 43,33 + Iva e infine un più completo “Kit per l’emergenza terrorismo” a ? 129,11 + Iva con tanto di maschera Selecta a pieno facciale, filtri Biostop anti batteriologici e chimici e relative borse custodia. Il tutto ordinabile immediatamente via internet con spedizione diretta a casa. Molte di queste aziende hanno visto improvvisamente aumentare richieste per prodotti di difesa contro attacchi biologici e batteriologici e alcune hanno ottenuto un bel guadagno in questa situazione.

La logica di garantire la sicurezza privatamente conduce naturalmente fino all’ipotesi di chiudersi in casa, quindi di sigillare gli ambienti e di dotarsi di “Armadi filtranti” per l’aria per essere sicuri e tranquilli. E poi cos’altro? Sul numero citato di Newton, Francesco Iacono, presidente di Powerbreathe, un’azienda italiana, promuove un gadget assolutamente imperdibile: “Entro Natale in Italia sarà disponibile uno zainetto “salvavita”, che conterrà una speciale maschera con respiratore, come quelle da sub, collegata ad una bomboletta di ossigeno da mezzo litro. In caso di contaminazione dell’aria basta indossarla per essere isolati dal resto dell’atmosfera e per riuscire a respirare normalmente per almeno mezz’ora, sufficiente per allontanarsi dalle zone a rischio”.

Di questo passo presto avremo anche i bunker formato famiglia (sono certo che esistono già in commercio). Dunque un’ipertecnologizzazione della sicurezza per chetare le nostre paure. “Helping our nation secure a peaceful and free world through technology” è, non a caso, lo slogan dei Sandia National Laboratories, i laboratori della Sandia Corporation che lavorano per il Dipartimento dell’Energia Usa e che vantano la maggiore responsabilità nel campo della sicurezza nazionale. Ma la tecnologia ci può veramente guarire dalla paura? A me pare che a dispetto dell’investimento di soldi, energie, risorse, menti, questo dispiegamento tecnologico rappresenta una deriva irrazionale, un vero e proprio delirio mentale delle nostre società.

Portata ai suoi termini estremi questo tipo di ricerca, porterà a proporre come garanzia di sicurezza la privatizzazione dell’aria, dell’acqua, del cibo. Recinterà le persone. Creerà dei minimondi. Si tratta in fondo di una forma moderna di micro-enclosure. La proprietà privata una volta si affermava recintando una fetta di terra o della proprietà e tenendo fuori e lontano la gente. Oggi questa forma di enclosure paradossalmente si sta riducendo a tal punto che gli scienziati non si sentono paranoici, disturbati o semplicemente stupidi a progettare degli “zainetti salvavita” con respiratore in caso di contaminazione.

La cosa drammatica è che se guardassimo il mondo dall’esterno non potremmo evitare l’impressione che noi oggi spendiamo gran parte delle nostre risorse e del nostro impegno per ripulire il mondo dalle conseguenze delle nostre azioni precedenti. Ci troviamo a disattivare i prodotti tecnologici come le mine o le bombe, di cui abbiamo disseminato il mondo, a ripulire e bonificare il territorio dagli agenti chimici che abbiamo disperso. Ci troviamo a reprimere la povertà, la rabbia e l’oppressione che abbiamo contribuito a creare in altri paesi e in altre popolazioni. Attualmente l’isola di benessere che ci siamo costruiti si trova a confrontarsi con una molteplicità di pericoli incombenti reali o immaginari che siano: dall’inquinamento ambientale, agli attacchi terroristici, alle paure connesse alla crescente immigrazione di gruppi di disperati in cerca di un futuro.

A fronte di una popolazione del sud del mondo sempre più sradicata dalle appartenenze tradizionali, dalle forme culturali, sociali ed economiche che assicuravano un equilibrio ed un’integrazione oggi ci troviamo davanti una massa di oltre 30 milioni di rifugiati, profughi, sfollati che sono esiliati dalle loro case, dalle loro comunità. Nei loro paesi sembrano non avere più un futuro, nessuna cittadinanza possibile. Una mole immensa di esclusi e reietti che sembra minacciare i nostri sogni e la nostra tranquillità. Ma sul piano interno non va molto meglio. Nel suo libro La solitudine del cittadino globale Zygmunt Bauman allude alla compresenza nelle nostre società di tre tipi di insicurezza: l’insicurezza esistenziale (riguardante il senso, i valori e i riferimenti di fondo), l’incertezza o la precarietà (riguardante i riferimenti materiali, sociali, economici che determinano le condizioni di vita), l’insicurezza personale (incolumità, ..minacce al nostro corpo, ai nostri cari, alle nostre proprietà e beni).

Le paure, le angosce, il senso di insicurezza che ci attanagliano hanno a che fare con un intreccio fitto e complesso di questi diversi elementi. La mancanza di riferimenti ideali, e di una produzione sociale di senso e la conseguente perdita di fiducia nel prossimo e nella comunità, l’incertezza verso il proprio futuro, un senso sempre maggiore di solitudine; una forte disoccupazione (un miliardo di disoccupati nel mondo, duemilioni e seicentosessantanovemila soltanto in Italia), la crisi e la trasformazione del lavoro verso forme più flessibili, incerte, atipiche, precarie, non garantite, la perdita delle forme tradizionali di solidarietà e di sostegno, la svendita e la dissoluzione delle garanzie sociali e dei sistemi di welfare, l’erosione delle identità e delle appartenenze tradizionali e delle reti di sostegno sociale, la distruzione delle strutture collettive di relazione e azione, l’accresciuta competitività e il prevalere di una concorrenza sempre più spietata; la presenza diffusa di una microcriminalità ma anche di una criminalità organizzata in continua lotta per il controllo del territorio e una diffusione della violenza sociale. Tutti questi aspetti vanno a comporsi in un disagio, in una paura, in un senso di insicurezza generalizzato che è difficile da chiarire e controllare se non superare. In questa situazione molti politici possono sfruttare queste ansie e paure, possono manipolare l’incertezza per motivi strumentali e per ottenere consenso verso politiche di sicurezza e ordine pubblico che non altro significato che quello di esorcizzare un’angoscia diffusa e profonda, di distogliere l’attenzione dai problemi più reali e profondi. Nei fatti si crea un “fronte esterno” ed un “fronte interno” legati alla paura. Rispetto al “fronte esterno” si realizza una demonizzazione continua di politici e personaggi di altri paesi (da Saddam Hussein, a Milosevic, a Bin Laden) ritenuti responsabili del disordine internazionale e delle peggiori minacce, e quindi si giustifica un crescente ricorso allo strumento bellico; mentre sul “fronte interno” gli immigrati e le alterità locali diventano rappresentanti sospetti di culture “barbare” e violente e assumono la funzione di capri espiatori dell’ansia e dell’insicurezza sociale, giustificando una sempre più ampia deroga ai diritti civili. Sia nel fronte interno che in quello esterno, questa identificazione di un nemico o di un colpevole, svolge la funzione tipica dei meccanismi sacrificali, ovvero ricompattano la comunità contro qualcosa che è al tempo stesso interno ed esterno, prossimo e straniero. Nell’opposizione comune agli immigrati o al Bin Laden di turno numerose persone cercano un senso di identità e unità che non c’è più, creano un “noi” artificialmente e per opposizione anziché per condivisione e solidarietà.

Come ha notato Zygmunt Bauman, “Nella sua forma pura e non manipolata, la paura esistenziale che ci rende ansiosi e preoccupati è ingovernabile, irreprimibile e perciò paralizzante”. Piuttosto che guardare negli occhi questa verità si preferisce ridurre e incanalare questa enorme e schiacciante paura e questo senso di insicurezza in elementi più piccoli, in questioni più maneggevoli, che ci possano dar l’impressione di stare cambiando qualcosa. Da questo punto di vista le istituzioni politiche e gli amministratori sono di scarso aiuto.

Tutto quello che possono fare e che stanno cercando di fare è – a loro volta – di “convogliare l’ansia, estesa e diffusa, verso una sola componente della Unsicherheit, quella della sicurezza personale, l’unico ambito in cui qualcosa può essere fatto e viene effettivamente fatto. Il guaio è che mentre un intervento efficace per debellare, o perlomeno mitigare, l’insicurezza e l’incertezza richiede un’azione comune, gran parte delle misure adottate in nome della sicurezza personale producono divisione: seminano il sospetto, allontanano le persone, le spingono a fiutare nemici e cospiratori dietro ogni polemica o presa di distanza, e finiscono per isolare ancora di più chi vive isolato. Ma la cosa peggiore è che tali misure non solo lasciano intatte le vere fonti dell’ansia, ma consumano tutta l’energia che esse generano: un’energia che potrebbe essere utilizzata molto più efficacemente se venisse incanalata nello sforzo di riportare il potere nell’ambito dello spazio pubblico gestito politicamente”. Così la città che era stata pensata come un rifugio, un’oasi di sicurezza, protezione e pace, ora, nella sua forma moderna, metropolitana, viene naturalmente associata alla paura e al pericolo, mentre la campagna e la città sono pensate come più tranquille e immacolate.Molte paure dunque sono diventate paure urbane, per così dire “interne”, “prossime”, “domestiche”.

Non sono solo le porte sprangate e rafforzate da griglie di ferro, o i cancelli videosorvegliati, non sono solo i sistemi di sicurezza, i metal detector, gli allarmi antifurto e antiintrusione, ma anche i condomini sorvegliati, i quartieri o comunità recintate e protette, i vigilantes e le guardie notturne assunte, gli spazi ad accesso riservato, la scorta di protezione, le auto blindate, i servizi privati di protezione delle persone o di aziende. Infine, e forse soprattutto, le persone – sempre più numerose – che chiedono e si informano su come avere e tenere un’arma in casa. La novità è che nelle nostre città il senso di insicurezza e di pericolo non riguarda più solo specifiche classi sociali o fasce ristrette ma è più diffuso e generalizzato. Dunque la tendenza è verso una privatizzazione della sicurezza. Anche a questo livello dunque prolifera ovviamente il mercato della paura. Ci sono aziende specializzate che operano per offrire qualsiasi tipo di gadget per la sicurezza. In America – sottolinea Marco D’Eramo – “le ditte private raccolte nell’American Society for Industrial Security erano 32 mila e fatturavano 104 miliardi di dollari (220 mila miliardi di lire). Ma interrogati dal New York Times, i manager di una ditta newyorkese prevedono che il fatturato raddoppierà nei prossimi mesi, crescendo di altri 100 miliardi di dollari”.. Prendiamo due esempi. Ci sono ditte come la Visioncs e la Visage che vendono apparecchi biometrici sofisticati per l’identificazione facciale per aeroporti al costo di quattro miliardi di lire l’uno.

Ma ci sono anche ditte che offrono prodotti alla portata di tutti; ad esempio l’americana TBO-TECH Self-Defense Products, nel suo catalogo online offre prodotti per l’autodifesa che vanno dalla telesorveglianza, alle pistole, agli spray al peperoncino, agli allarmi personali, alle telecamere, ad armi di vario genere. In Francia stando a una ricerca della Marketing Resarch for Industry (MSI) il mercato dei sistemi di sicurezza elettronica nel 2001 è cresciuto del 7%. In Europa si è distinto il gruppo svedese “Securitas” che nel 2001 ha ottenuto un beneficio netto in rialzo del 39%, pari a 128 milioni di euro. La sua cifra di affari è aumentata del 48% raggiungendo 6,54 miliardi di euro. Anche in Italia c’è un numero infinito di aziende che si vanno specializzando in questa direzione. L’Usai per esempio è specializzata in porte blindate e corazzate, roller block, persiane e inflissi blindati e in sistemi di sicurezza sia meccanici che elettronici. L’Italradar propone impianti antifurto civili ed industriali, impianti televisivi a circuito chiuso. La Mega Italia progetta e installa sistemi multifunzionali di sicurezza antifurto, antirapina, antincendio, di controllo e domotica. Impianti, sistemi e servizi di sicurezza sono offerti anche da A3 Elettronica, Global System, Studio Sicurezza Snc., 3S Sicurezza, A4 Sicurezza e Alta Tecnologia per la Sicurezza. La U.M. Elettronica è specializzata invece nella progettazione di particolari sistemi di sicurezza per proteggere le aree esterne di qualsiasi abitazione o immobile industriale.

La Worldwide Detective Security, offre vigilanza privata, sistemi di sicurezza, sorveglianza. La “Csm italia antifurti e sistemi di sicurezza” offre alle “persone di buon senso” (sic!) dei sistemi di allarme che sono in grado di rivelare la presenza di gas narcotizzanti (quelli usati dai ladri) nella casa e di dare l’allarme. L’Eurometal Italia s.r.l. una ditta che propone (http://www.eurometalitalia.com) dispositivi di allarme antifurto e di telesoccorso senza fili, addirittura nella sua presentazione on line per vendere i suoi prodotti tenta di spaventare la gente con una sequela di dati e di considerazioni del tipo: “Problema: cosa fa più paura di un ladro in casa?. Omicidi, aggressioni e violenze di ogni tipo. Chi ha subito un furto sa che non stiamo esagerando”. E continua con un vero e proprio elenco di minacce alla sicurezza “Oggi la realtà è questa: 22 case svaligiate in ogni ora della giornata. 6 furti su 10 sono commessi con le persone in casa. 1 cittadino su 3 è convinto che negli ultimi 5 anni la sicurezza della zona in cui si vive sia molto peggiorata. 68 italiani su 100 ritengono il pericolo dei furti più dannoso della droga. 15.000.000 di lire l’importo medio dei danni da furto”. L’importanza della paura e della sicurezza come articoli di mercato lo si capisce anche dal successo che stanno avendo negli ultimi anni le fiere dedicate al tema della sicurezza e della protezione che si svolgono tra l’altro in Italia, Inghilterra, Francia. La mostra internazionale biennale italiana “Sicurezza” che giunge quest’anno (la mostra si terrà a Milano il 20 e 21 novembre) alla undicesima edizione, è cresciuta molto nelle ultime edizioni. Già nel 1998 aveva registrato la presenza di 568 espositori provenienti da tutto il mondo e oltre 40.000 visitatori (ci cui 4600 dall’estero), raddoppiando le presenze rispetto al 1996. Ci sono altre fiere analoghe come “Sicurezza mediterranea” (si è tenuta nel settembre del 2001) che è stata visitata da 125.000 persone. Ci sono poi fiere analoghe in Inghilterra – “Security Solutions 2002” che si terrà dal 13 al 16 maggio a Birmingham e “Expo protection 2002” che si terrà a Paris-Nord Villepinte dal 5 all’8 novembre, con una particolare attenzione al pericolo fuoco. In molte città gli amministratori reagiscono rafforzando l’immaginario sicuritario e intervenendo con politiche di sicurezza e di polizia. Per esempio nella mia città, l’anno scorso sono state installate 31 nuove telecamere anti-criminalità. Per l’occasione il vicesindaco ha dichiarato sul giornale locale che questo sistema “è stato progettato per dare tranquillità ai cittadini. Le telecamere hanno la funzione di far diminuire il numero di crimini commessi”. Naturalmente è solo una questione di immagine, un operazione psicologica che funziona non come deterrente ma come tranquillante.

È impensabile che realisticamente alcune telecamere possano aumentare la sicurezza dei cittadini. Il progetto viene proposto come se la telecamera giocasse il ruolo della diretta, mentre più verosimilmente può al limite svolgere una funzione in differita. L’unica funzione reale che possono avere delle telecamere disposte qua e la nella città è infatti quella documentale, ovvero di registrazione di un evento in rapporto a un processo investigativo, nel caso fortuito che il fatto sia avvenuto entro il campo visivo della telecamera che registra in quel momento. Delle telecamere di questo tipo infatti non potranno mai evitare un fatto criminoso in presa diretta, a meno che lo sguardo di sorveglianza sia talmente accurato e ravvicinato da scrutare continuamente ogni sguardo, ogni movimento, ogni gesto “ambiguo”, per sospettare, presupporre un possibile evento criminoso, in modo da interpretare e prevenire addirittura uno specifico comportamento. Ma quanto sarebbe intrusivo, invasivo, irrispettoso, oppressivo uno sguardo di questo genere? Che garanzie abbiamo sulla nostra privacy? Quanto siamo disposti a farci frugare nelle nostre tasche, nei nostri gesti, nei nostri occhi per ricevere (forse) un pizzico di tranquillità in più? E quanta forza di polizia dovrebbe presidiare il territorio per intervenire prontamente in tempo reale di fronte alla possibilità di un crimine o a un fatto appena commesso? L’ipotesi di un controllo militare del territorio è proprio la soluzione dei nostri problemi o questo non ne genererebbe di altri, forse più gravi ancora? In questo clima giocano un ruolo importante anche i mass media. Bastano pochi episodi per lanciare già il clima e le campagne da “Emergenza criminalità” e tener su le notizie per un bel po’. Nella mia città le campagne mediatiche sulla sicurezza finiscono immancabilmente per preparare e giustificare agli occhi della cittadinanza delle retate generiche contro i clandestini dipinti in quanto tali come esseri colpevoli di ogni genere di nefandezze.

Il fatto è che oggi come ha sottolineato Zygmunt Bauman “Non lo stare insieme, ma l’evitarsi e lo star separati sono diventate le principali strategie per sopravvivere alle megalopoli contemporanee”. Non è forse questo il motivo che spiega il fatto che – come suggeriscono i dati Instat – la criminalità è diminuita, mentre la paura è vistosamente aumentata? La privatizzazione della sicurezza infatti non solo non è una risposta, ma costituisce in realtà una parte del problema, perché aumenta la diffidenza, la distanza sociale e l’aggressività anziché la ricerca di soluzioni comuni. La sicurezza in realtà è soprattutto un articolo valido per il mercato economico e per quello politico (non è un caso che la questione ritorni così spesso durante i periodi elettorali).

È uno slogan politico e un progetto di società sponsorizzato da leader politici, da industrie della sicurezza e anche dai mass media. Si può dire dunque che oggi ci troviamo a confrontarci con delle “paure ufficiali”, delle paure nominabili, con una forma, un contorno, una possibile rappresentazione che coprono tuttavia delle paure più profonde che non sono nominabili, perché sono informi o sconosciute o perché ci inquietano troppo, o perché in termini sociali sono disdicevoli. Le paure ufficiali sono costruite, sono cioè in gran parte artefatte, propagandate, gonfiate dai mass media. Sono politiche e strumentalizzabili e possono servire facilmente una causa elettorale. Sono economiche e redditizie e rappresentano un’espansione del mercato attraverso gli angoli oscuri e malati del nostro sistema sociale e del nostro stile di vita. Ma non si può evitare di osservare che quello in cui viviamo è un sistema che mette in vendita tamponi per le ferite e le angosce che continuamente infligge agli altri e a se stesso. È un sistema cannibalico che divora se stesso, che vive pasteggiando nelle ferite della propria carne. È assurdo, ma è così: la violenza, il terrorismo, gli attentati come le contaminazioni, e perfino le paure, il panico, le sofferenze per non parlare della guerra e dei bombardamenti sono integrati nel sistema economico. Seguono le normali modalità dell’economia. Il sistema non si mette in discussione ma trova un accomodamento nevrotico.

Non riflette sulle cause e su come eliminare le premesse del male, della violenza, della paura, dell’insicurezza, ma risponde con più tecnologia, più economia, più potere militare, più dolore, più ingiustizia. È una sorta di circolo vizioso che trascina tutti verso il fondo, senza che ce ne accorgiamo e senza che facciamo nulla per contrastare questa dinamica. Sognare un mondo diverso significa dunque anche imparare a guardare in faccia le nostre paure, le nostre angosce, le nostre sconfitte e capire cosa di diverso ci è possibile fare. In termini personali di fronte all’insicurezza e alla paura, comportarsi da persone libere significa non proiettare la colpa sugli altri, non cercare facili capri espiatori alle proprie angosce. In termini politici, invece, la sfida è quella di aprire una riflessione più ampia sulla possibilità di praticare percorsi alternativi alla militarizzazione del territorio e alla privatizzazione della sicurezza. Significa smettere di investire su politiche di sicurezza e puntare invece su politiche che producano riconoscimento, che rafforzino le forme di legame sociale, che restituiscano un senso di fiducia senza la quale nessuna città e nessun paese può sopravvivere. Politiche che stimolino sia a livello locale che internazionale tentativi di ascolto delle diversità.. Politiche che puntino sulle pratiche di incontro, sul sostegno reciproco e la solidarietà. Politiche per esempio che cerchino di aumentare il grado di tranquillità e di serenità attraverso un controllo sociale diffuso e pacifico anziché attraverso una violenza privata o nazionale.

Marco Deriu
(Alfazeta Observer)


Tratto da Europa Plurale: http://europaplurale.supereva.it