[Mariagrazia Bonollo • 31.08.04] Un cartello di associazioni e realtà della società civile italiana chiede all'Unione Europea e all'Italia di farsi carico della situazione in cui versano le popolazioni della zona dei Grandi Laghi Africani. Nella sola RD Congo la guerra e le violenze hanno provocato più di tre milioni di morti...

APPELLO PER LA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Un cartello di associazioni e realtà della società civile italiana chiede all’Unione Europea e all’Italia di farsi carico della situazione in cui versano le popolazioni della zona dei Grandi Laghi Africani. Nella sola RD Congo la guerra e le violenze hanno provocato più di tre milioni di morti.

Nel momento in cui tutta l’attenzione dell’opinione pubblica italiana è concentrata sulla crisi irachena, la società civile italiana punta la sua attenzione su uno dei tanti drammi africani che l’opinione pubblica troppo spesso dimentica: la guerra e il difficile percorso verso una possibile pace nella Repubblica Democratica del Congo.

Un cartello di associazioni e di realtà ecclesiali – fra cui Beati i Costruttori di Pace, l’associazione Solidarietà Muungano, Chiama l’Africa, Pax Christi, Assobotteghe, Rete Pace per il Congo, Commissione Giustizia e Pace della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia e la medesima Commissione dei Missionari Comboniani, i Giovani della Carovana della Pace 2004 e, infine, la rivista Missione Oggi – tornano a lanciare un accorato appello per sostenere il precario processo di transizione verso la pace in corso nel grande paese africano, sconvolto da una guerra che negli ultimi otto anni ha quasi ininterrottamente insanguinato il paese, causando più di tre milioni di vittime.

La tensione infatti è pericolosamente salita dopo il feroce massacro avvenuto nella notte fra il 13 e il 14 agosto, quando circa 160 rifugiati congolesi Banyamulenge (fra cui molte donne e bambini) che si trovavano a Gatumba – in Burundi, a pochi chilometri dalla frontiera con il Congo – sono stati massacrati.

I promotori dell’appello chiedono che “la Commissione indipendente d’inchiesta, avviata dalle missioni delle Nazioni Unite presenti in Burundi e in Congo, faccia al più presto chiarezza su autori ed eventuali mandanti, perché venga fatta giustizia e nessuno possa servirsi di un crimine per i propri scopi politici e tantomeno per avere l’alibi o il pretesto per altri crimini”.

Nell’appello si sostiene che “non è un gruppo minacciato di genocidio, è un’intera popolazione di molteplici etnie che viene usata senza pietà, uccisa, sfollata, umiliata, stuprata, privata di possibilità di cibo, di cura, di scuola, di lavoro, costretta a vivere nella paura ad opera di ristretti gruppi di potere della Regione”. “Dietro a loro – continua il documento – vi sono progetti politici neocoloniali e, come hanno ampiamente e senza esito rivelato ben tre rapporti dell’ONU, reti intercontinentali che sfruttano illegalmente le ricchezze del Congo”. L’ennesimo massacro, per i promotori del documento, “non deve neppure far dimenticare il processo di costruzione di uno Stato sovrano e democratico in atto nella Repubblica Democratica del Congo, né può intralciare il processo faticoso intrapreso dalle istituzioni della Transizione” e per questo si ricordano le sempre più numerose prese di posizione contro la guerra e le violenze da parte della Società Civile congolese.

Il cartello di associazioni da un lato si felicita con l’Unione Europea per il sostegno economico dato al processo elettorale che si sta avviando in Congo, ma dall’altro ricorda i “trattamenti di favore” usati dalla UE e dai suoi stati membri nei confronti di alcuni Stati della Regione, un fatto che ne avrebbe incoraggiato l’aggressività e avrebbe “contribuito al perdurare di una guerra che è, per numero di morti e distruzioni, paragonabile a una guerra mondiale”.

Il documento si conclude con una serie di richieste concrete all’UE: dar fiducia alle organizzazioni della Società Civile congolese, rendendole protagoniste del processo di pacificazione; sostenere il processo di Transizione; mettere a disposizione ogni risorsa necessaria affinché il processo elettorale rispetti le scadenze previste; far pressione sugli Stati cui appartengono le organizzazioni economiche e finanziarie coinvolte nello sfruttamento illegale delle ricchezze del Congo perché diano seguito alle denunce dell’Onu con inchieste giudiziarie; avere un coerente atteggiamento politico e finanziario nei confronti dei Paesi della Regione; promuovere in sede Onu l’estensione dell’embargo vigilato delle armi a tutti i Paesi dell’area; continuare con fermezza a sostenere anche in Burundi e in Rwanda i processi di dialogo e di riconciliazione.

Al governo italiano viene chiesto con forza, infine, “di adottare una politica estera coerente con queste linee e di farsene portavoce in sede europea”. 

IL TESTO DELL’APPELLO

Nulla impedisca la Transizione e il processo elettorale nella Repubblica Democratica del Congo

Noi, associazioni e singoli della società civile italiana, esprimiamo il nostro dolore per il feroce massacro che, nella notte fra il 13 e il 14 agosto, ha fatto almeno 160 uccisi, di cui molte donne e bambini, fra i rifugiati congolesi Banyamulenge che si trovavano a Gatumba, in Burundi, a pochi chilometri dalla frontiera con il Congo: solidarietà alle vittime e alle loro famiglie, che nella loro debolezza di rifugiati sono state facile bersaglio di giochi di potere che ancora devono essere messi in luce. Insieme a tanti chiediamo che la Commissione indipendente d’inchiesta, avviata dalle missioni delle Nazioni Unite presenti in Burundi e in Congo, faccia al più presto chiarezza su autori ed eventuali mandanti, perché venga fatta giustizia e nessuno possa servirsi di un crimine per i propri scopi politici e tantomeno per avere l’alibi o il pretesto per altri crimini.

Questo atroce massacro, portato giustamente alla conoscenza del mondo, non deve far dimenticare analoghi e talora ancor più gravi massacri che hanno seminato di sangue la storia di questi otto anni di guerra quasi ininterrotta in Congo. Non è un gruppo minacciato di genocidio, è un’intera popolazione di molteplici etnie che viene usata senza pietà, uccisa, sfollata, umiliata, stuprata, privata di possibilità di cibo, di cura, di scuola, di lavoro, costretta a vivere nella paura ad opera di ristretti gruppi di potere della Regione, che spesso usano l’etnia al fine di accedere e conservarsi al potere oppure per estenderlo. Dietro a loro vi sono progetti politici neocoloniali e, come hanno ampiamente e senza esito rivelato ben tre rapporti dell’ONU, reti intercontinentali che sfruttano illegalmente le ricchezze del Congo, offrendo in cambio sostegno economico e militare a una guerra che altrimenti non si spiegherebbe nella sua durata e nel suo dispiegamento di mezzi d’aggressione.

Questo massacro non deve neppure far dimenticare il processo di costruzione di uno Stato sovrano e democratico in atto nella Repubblica Democratica del Congo. Né può intralciare il processo faticoso intrapreso dalle istituzioni della Transizione, le quali continuano il loro lavoro, pur con molti difetti e difficoltà: si tratta del processo di pace e democrazia in cui la popolazione ripone le sue speranze. Il popolo congolese dice no alla guerra, dice basta a tutte le imprese militari di liberazione compiute sopra i cadaveri delle persone. Sempre più numerose sono le prese di posizione della Società Civile, sempre più chiaro è il sentire popolare, sempre più numerosi i giovani che, pur privi di mezzi, rifiutano allettanti proposte di arruolamento, anche subendo persecuzione, da parte dei signori della guerra. Molti hanno maturato nella sofferenza una disponibilità a perdere tutto, perfino la vita, pur di non perdere il bene della costruzione di istituzioni democratiche e del processo elettorale in un Paese unito e sovrano.

Mentre ci felicitiamo con l’Unione Europea per il sostegno economico dato al processo elettorale che si sta avviando in Congo e per le puntuali prese di posizione sui fatti drammatici che ancora tentano di interrompere questo percorso, siamo però consapevoli che in questi anni trattamenti di favore usati nei confronti di alcuni Stati della Regione ne hanno incoraggiato l’aggressività e hanno contribuito al perdurare di una guerra che è, per numero di morti e distruzioni, paragonabile a una guerra mondiale. Numerose sono le testimonianze della popolazione e ormai anche di documenti ufficiali che segnalano sconfinamenti di militari e gruppi armati nell’est del Paese. Da parte di molte persone che conoscono e seguono da vicino gli sviluppi della situazione, c’è il timore di un ritorno ad una guerra a tutto campo.

Chiediamo perciò all’Unione Europea, per coerenza con la sua scelta di appoggiare il processo di Transizione in Congo:

* riguardo al Congo:

– di dar fiducia alle organizzazioni della Società Civile, che interpretano le grandi aspettative del popolo, rendendole protagoniste del processo di pacificazione del Paese e della Regione;

– di sostenere senza ripensamenti il processo di Transizione, vigilando su tutto ciò che minaccia l’unità e l’integrità del Paese e il processo stesso;

– offrire ogni risorsa necessaria affinché il processo elettorale possa rispettare le scadenze previste;

– di far pressione sugli Stati cui appartengono le organizzazioni economiche e finanziarie coinvolte nello sfruttamento illegale delle ricchezze del Congo, come denunciato nei rapporti ONU, perché diano seguito a queste denunce con inchieste giudiziarie e decisioni conseguenti;
      

* riguardo a tutti Paesi della Regione dei Grandi Laghi africani

– di usare coerenza nel suo atteggiamento politico e finanziario nei confronti dei Paesi della Regione, usando un metro comune, con trasparenza e vigilanza;

– di promuovere in sede Onu, e di decidere già autonomamente, che l’embargo vigilato delle armi, attualmente limitato all’est del Congo, sia esteso a tutti i Paesi della Regione;

– di continuare con fermezza a sostenere anche in Burundi e in Rwanda i processi di dialogo e di riconciliazione, consapevole che la soluzione politica dei problemi deve essere trovata all’interno di quei Paesi stessi.

Chiediamo all’Italia di adottare una politica estera coerente con queste linee e di farsene portavoce in sede europea.

Le tragedie dei popoli assumono spesso solo a distanza di anni le loro reali proporzioni agli occhi e nella coscienza di tutti. La sfida è prenderne coscienza invece mentre i fatti accadono, prima, se possibile, per prevenire nuove tragedie umane. Oggi, con l’informazione è più possibile e perciò più doveroso, per tutti, in questa Casa del mondo che non è mai stata così comune.

Firmato da: Assobotteghe, Associazione Croce del Sud  per il commercio equo e solidale di Piombino (LI), Associazione Sodarietà Muungano onlus, Beati i Costruttori di Pace, Pax Christi Italia, Rete Pace per il Congo, Centro Fraternità Missionarie – Piombino,  Centro Missionario Diocesano – Diocesi di Massa Marittima e Piombino, Chiama l’Africa, Commissione Giustizia e Pace della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia, Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani, Giovani della Carovana della Pace 2004, Rivista “Missione Oggi”, Giordano Trincherini – 28885 Piedimulera (VB), Valentino Pellegrini – 28884 Pallanzeno (VB), fra Valentino Incampo, Convento Cappuccini, 84025 EBOLI (SA)

Segreteria di riferimento

Beati i Costruttori di Pace
Via Antonio da Tempo, 2 – 35131 Padova
Tel. 049.80.70.522;  fax: 049.80.70.699; e.mail: [email protected]