L'intervento di Papisca pubblicato nell'inserto redazionale al n.3 Marzo 1991 del mensile «Azione Nonviolenta»

[«ARENA GOLFO», 27 GENNAIO 1991] ANTONIO PAPISCA: «NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE»

Il 27 gennaio 1991, per iniziativa del movimento Beati i Costruttori di Pace, si svolge nell’Arena di Verona una manifestazione straordinaria contro la guerra del Golfo. Affiancando il movimento per la pace che in quei giorni attua con successo un’iniziativa di diplomazia popolare, inviando una delegazione a Bagdad per trattare direttamente col governo iracheno la liberazione degli ostaggi italiani, l’incontro in Arena di Verona riunisce diecimila persone. Grande è la partecipazione del mondo cattolico di base, che raccoglie l’invito di papa Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra, avventura senza ritorno». Fra i messaggi che giungono in Arena, viene letto e riproposto qui di seguito quello del professor Antonio Papisca, operatore di pace e fondatore Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli.

 

Antonio Papisca (1936-2017)

NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE
Intervento di Antonio Papisca

«Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvaguardare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, […]». Con queste parole inizia la Carta delle Nazioni Unite, che sancisce il patto sociale tra società civile internazionale e autorità internazionale incarnata dalla Organizzazione delle Nazioni Unite.

Nel momento in cui la guerra è scoppiata ed è gestita non dall’ONU, che non può fare guerre, ma da gendarmi senza scrupoli, noi popoli delle Nazioni Unite ci chiediamo chi siamo, quali sono i nostri diritti, quali i nostri poteri.

Noi popoli delle Nazioni Unite siamo i popoli della libertà e dell’opulenza, i popoli sofferenti del sottosviluppo e dello sfruttamento, siamo i popoli sotto dominazione straniera, siamo il popolo dei rifugiati politici, il popolo dei migranti in cerca di pane e di lavoro, siamo il popolo dei bambini, siamo gli italiani, i francesi, i kurdi, i palestinesi, gli israeliani, gli eritrei, i libanesi, gli yanomani, i guatemaltechi e tante altre articolazioni della famiglia umana universale.

I nostri diritti sono quelli che ci vengono riconosciuti come diritti innati, e quindi inviolabili e inalienabili, dalle norme del codice universale dei diritti umani, le cui fonti principali sono la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e le due grandi Convenzioni internazionali del 1966 rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali.

Questo codice giuridico universale costituisce il nuovo diritto internazionale che si pone come nucleo duro o supercostituzione dell’intero ordinamento giuridico internazionale, che per nessuna ragione e in nessuna circostanza può essere violato. Il principio fondamentale di questa supercostituzione planetaria è «Humana dignitas servanda est», cioè «la dignità umana deve essere rispettata».

Questo significa che anche nei rapporti internazionali i diritti delle persone e dei popoli sono prioritari rispetto ai diritti degli stati: il diritto alla vita e il diritto alla pace vengono prima dei diritti alla sovranità armata e agli equilibri di forza. Con grande dolore e inquietudine ci accorgiamo che nei 45 anni di cosiddetta pace mondiale il divario tra le condizioni di vita dei popoli del Nord e del Sud del mondo è divenuto un abisso, che gli stati dell’opulenza hanno respinto il progetto di Nuovo ordine economico internazionale contenuto nella Dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1974, che gli stati dell’opulenza non vogliono il negoziato globale per una giusta divisione internazionale del lavoro, che la corsa agli armamenti e la militarizzazione del mondo, nonostante i cosiddetti negoziati per il disarmo e tre sessioni speciali dell’Assemblea generale dedicate a questa materia, hanno proseguito forsennatamente, che la dissipazione delle risorse naturali e la rottura degli equilibri ambientali continuano, che non si vuole giustizia e quindi pace nel mondo, che le criminali mire espansionistiche di Saddam Hussein si sono avvalse delle armi che il Nord del mondo gli ha fornito anche in via ufficiale, che i paesi cosiddetti alleati hanno scelto la via della guerra, anziché quella della ragione e cioè del negoziato, per rispondere al crimine dell’invasione del Kuwait, che l’Armata Rossa, con la connivenza dei governi occidentali, indaffarati nella guerra del Golfo, può continuare a reprimere nel sangue il sacrosanto diritto dei popoli baltici alla loro indipendenza.

Ci sentiamo traditi e beffeggiati, noi popoli delle Nazioni Unite, da élites politiche che si dimostrano sensibili più alle ragioni dei mercanti e della Realpolitik – il richiamo della foresta – che alle legittime aspirazioni e alle esplicite domande della società civile internazionale.

Di fronte a questo inquietante stato di cose, ci appelliamo all’articolo 28 della Dichiarazione universale che stabilisce che «ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati». Noi ci appelliamo oggi a questo diritto per dire che vogliamo esercitarlo non per delega, ma con azione diretta in quanto società civile che si riconosce immediatamente e autenticamente nelle migliaia di organizzazioni internazionali
nongovernative che operano per la promozione umana ovunque nel mondo: da Amnesty International alla Lega per il diritto e la liberazione dei popoli, da Pax Christi al Movimento internazionale per la difesa dei bambini e alla Commissione internazionale dei giuristi.

Noi popoli delle Nazioni Unite vogliamo che le 831 organizzazioni internazionali nongovernative che hanno status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite siano sempre più attive ed efficaci. Per questo ci impegnamo a mettere a loro disposizione adeguate risorse umane e materiali.

In nome dei diritti umani e della democrazia noi ci attiviamo in nuovi ruoli politici lungo un percorso che va dal quartiere all’ONU, per mettere sotto controllo e orientare il comportamento dei governi in politica estera e internazionale e per democratizzare una ONU che deve esercitare la sua autorità sopranazionale in prima persona e non per delega ad aspiranti gendarmi planetari.

A questo fine occorre che:
1. siano immediatamente sospese le operazioni belliche nel Golfo e convocata una Conferenza internazionale di pace;
2. il Consiglio di sicurezza riprenda sotto suo diretto controllo la situazione;
3. l’Assemblea generale si convochi in sessione di emergenza per aprire il negoziato globale Nord-Sud;
4. venga data integrale applicazione all’articolo 43 e seguenti della Carta delle Nazioni Unite, per non correre in futuro avventure di tipo multinazionale;
5. le delegazioni degli stati presso i vari organi dell’ONU si compongano oltre che di diplomatici, anche di parlamentari e di rappresentanti di organismi nongovernativi;
6. venga abolito il potere di veto in seno al Consiglio di sicurezza;
7. accanto alla attuale Assemblea generale, che rappresenta gli stati, se ne costituisca una seconda in rappresentanza dei popoli;
8. si costituisca la Corte universale dei diritti dell’uomo e dei popoli;
9. si riconosca status internazionale, sotto autorità ONU, agli obiettori di coscienza al servizio militare e con essi si crei una forza nonarmata e nonviolenta delle Nazioni Unite;
10. si organizzi un efficace movimento costituente per un nuovo ordine internazionale democratico, attorno a un Consiglio di sicurezza panumana espressione diretta della società civile internazionale.

Il bambino Hoagi, anni 8, di Soweto, ha scritto: «Quando sarò grande vorrei avere una moglie e due bambini, un maschio e una femmina e una grande casa e due cani e la libertà».
La Convenzione internazionale sui diritti dei bambini è appena entrata in vigore e già questa maledetta guerra del Golfo contraddice l’impegno assunto dagli stati di rispettare il diritto dei bambini alla vita e quindi al futuro.
Noi popoli delle Nazioni Unite, noi “beati i costruttori di pace” prendiamo in mano questa Convenzione e ne facciamo la nostra bandiera per asserire la centralità di Hoagi e di tutti i bambini del mondo nella nuova storia che vogliamo realizzare.