ARMI. VERGOGNOSO «MADE IN ITALY»

Un export bellico italiano che rimane su livelli molto alti. Le spese militari che nel mondo crescono senza sosta, soprattutto in quei paesi dove le scelte belliche sono più presenti. La difficoltà del controllo internazionale sul commercio di armi. «Tutti elementi che ci preoccupano e che ci spingono a lavorare maggiormente sui temi del disarmo, anche chiedendo maggiore attenzione e azioni più concrete al Governo Italiano», afferma Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. «I dati che in questi giorni sono all’attenzione di tutti (sia i dati SIPRI sulle spese militari mondiali che i dati sull’export bellico italiano ricavati dalla relazione governativa ex legge 185/90) dimostrano come il giro di affari e di soldi spesi per mantenere le strutture militari e di armamento rimangano sempre una fetta rilevante e problematica».

I dati che provengono dal prestigioso istituto svedese del SIPRI indicano ancora una crescita nelle spese militari mondiali, trainate dagli Stati Uniti ed anche da un comprensibile exploit dei paesi medio-orientali. Pure la Cina si colloca nelle prime posizioni e potrebbe avere una crescita considerevole nei prossimi anni. In controtendenza l’Europa che vede un calo dell’1,7% nelle spese militari soprattutto per il dato italiano e quello britannico. Il nostro paese si colloca al settimo posto, mantenendo la propria posizione abituale. «Non dobbiamo però tralasciare di analizzare anche la spesa militare pro-capite: non basta prendere in considerazioni i valori complessivi – aggiunge Vignarca – e secondo questo parametro il nostro paese supera ad esempio abbondantemente la Germania con 468 dollari a testa di spesa militare contro 401 dollari dei tedeschi».

La spesa militare rappresenta il 2,5% del Pil mondiale, e negli ultimi dieci anni è aumentata del 2,4% l’anno in termini reali. La Rete Italiana per il Disarmo ha nei giorni scorsi divulgato un documento di analisi relativo ai dati Governativi sulle esportazioni italiane di armi nel 2005. A fronte di un calo del 10% delle autorizzazioni rispetto all’anno precedente (ma il totale è ancora altissimo e si attesta su 1.3 miliardi di euro), è avvenuta una vertiginosa crescita delle esportazioni definitive, cioè del materiale effettivamente consegnato ai clienti esteri. Il totale delle armi italiane finite agli acquirenti è infatti di 831 milioni di euro, con una crescita del 72% rispetto al 2004.

«I dati non si discostano molto da quelli degli ultimi anni» commenta Riccardo Troisi -membro del board della campagna Control Arms– «ma proprio per questo ci preoccupano, indicando un trend di esportazione ormai consolidato e con diversi punti oscuri. Con forza quindi richiediamo un’audizione al Governo – vincolato in tal senso da una mozione approvata nel corso delle modifiche alla legge 185/90 – e la discussione parlamentare dei dati della relazione».

Il Governo italiano dove essere coinvolto in un confronto approfondito anche perché tutte le aziende che stanno al top della lista dell’export fanno parte della galassia di Finmeccanica, società controllata dallo Stato Italiano: una situazione di circolo vizioso poco sostenibile perché il governo da un lato dovrebbe con cura mettere in pratica le restrizioni previste dalla legge e dall’altro è interessato a non creare problemi alle aziende di cui è azionista di maggioranza e di cui oltretutto percepisce gli eventuali utili.

«Il problema sta inoltre nei paesi destinatari delle nostre armi» aggiunge Luciano Bertozzi, uno degli esperti che hanno curato il documento di Rete Disarmo. «Ancora una volta nella lista dei nostri clienti ci sono nazioni che violano i diritti umani (Algeria, Turchia, Arabia Saudita, Cina) e nazioni altamente indebitate come Eritrea, Ghana e Nigeria. Senza dimenticare Regno Unito e Gran Bretagna, paesi virtualmente in guerra per l’intervento in Iraq. Secondo i criteri della nostra legislazione tutte queste esportazioni non avrebbero dovuto avere luogo».

Infine il tema delle transazioni finanziarie, capitolo centrale di trasparenza presente nella relazione governativa e cuore di una delle campagne di maggior successo della Rete Disarmo, quella della pressione sulle cosiddette «Banche Armate». Il dato ci parla di uno spostamento delle operazioni da banche italiane a banche estere, probabilmente anche grazie alla pressione della campagna. L’ipotesi di questo spostamento di servizi finanziari aveva allarmato l’industria bellica ed il precedente governo, in misura sicuramente eccessiva.

Commenta Giorgio Beretta, coordinatore della campagna Banche Armate: «Se, replicando in modo puntuale e dettagliato alle affermazioni presenti nella Relazione della Presidenza del Consiglio, la Campagna di pressione alle “banche armate” ha avuto il merito di mostrate l’infondatezza di tale allarmismo, rimane il compito di considerare il nuovo panorama ed affrontare le recenti sfide. L’impegno ci pare duplice. Da un lato muovere l’attenzione degli aderenti anche verso gli istituti bancari esteri attivi in Italia per chiedere anche a queste banche di esplicitare la propria policy in materia di servizi d’appoggio al commercio e alla produzione di sistemi militari. Dall’altro di estendere il raggio d’azione della Campagna nell’ambito dell’Unione Europea. Tra le proposte emerse, oltre ad un maggior coordinamento e la creazione di una vera e propria coalizione europea su questi temi, vi è anche quella di organizzare il prossimo incontro tra queste organizzazioni qui in Italia».

 

Per ulteriori informazioni sulla Campagna «Control Arms» e sulla Rete Italiana per il Disarmo: [email protected]www.disarmo.org