LIBANO. IL LIBANO E L’ORTOSESSUALITÀ MEDIORIENTALE

Il Libano è un piccolo paese, costituito dalla somma di molteplici minoranze. Ha forse senso allora che proprio qui, caso unico fra tutti i paesi del medioriente, trovi voce una minoranza che attraversa ogni divisione ideologica, politica o religiosa, ossia la minoranza omosessuale.

Le difficoltà che un omosessuale deve affrontare in Medioriente, benché non fondamentalmente dissimili da quelle presenti anche in Italia -ossia il pregiudizio, l’ignoranza, lo stigma e l’intolleranza sponsorizzata e promossa in particolare dall’istituzione religiosa, con tutte le ovvie conseguenze sulla psiche di queste persone- sono aggravate pesantemente dall’impossibilità di affermare una identità gay. Mancando finora questo livello di definizione della realtà omosessuale, che anche in occidente ha richiesto anni di lotta civile per essere accettato, due sono le possibili categorie in cui vengono attualmente inquadrati gay e lesbiche. Quando è preso in considerazione l’aspetto psicologico/sentimentale -è il caso della minoranza di chi appartiene agli strati sociali più elevati ed istruiti- la categoria usata è quella di ‘malato’ e in questo caso le famiglie ricorrono a compiacenti psichiatri che, ignorando colpevolmente che l’omosessualità è stata depennata da molti anni dall’albo delle malattie psichiche, procedono a ‘curarla’ con tecniche che vanno dalla somministrazione di ormoni all’elettroshock.

Quando invece è preso in considerazione l’aspetto comportamentale -nella grande maggioranza dei casi, dal momento che la cultura arabo-islamica è particolarmente preoccupata a regolamentare le azioni dell’uomo, piuttosto che le sue inclinazioni- la categoria usata per descrivere gli/le omosessuali è quella di ‘perverso’, nel senso di chi devia dal corso naturale dell’unica possibile sessualità umana, destinata alla procreazione. In questo caso, la figura di riferimento è quella del clero. Analogamente alla realtà cattolica, anche nell’islam gli atteggiamenti dei singoli religiosi variano notevolmente, passando dal furore biblico/coranico alla sincera compassione, senza però mai arrivare ad una posizione di riconciliazione di questa sessualità con i dogmi attualmente distillati dalle scritture. Ad un omosessuale che chieda consiglio ad un muftì moderato, viene tipicamente risposto di evitare in assoluto ogni contatto fisico con persone dello stesso sesso, e di affidarsi con fiducia alla misericordia di Dio.

Questa seconda categoria di classificazione dell’omosessuale come ‘perverso’ mette in luce anche come in questa cultura non sia ancora stata accettata l’idea che l’attrazione per lo stesso sesso non è una scelta operata consapevolmente dall’individuo, ma una naturale variante della sessualità umana, del tutto indipendente dalla volontà del singolo. Al contrario, un corollario a questa opinione diffusa è che il comportamento coscientemente assunto dal ‘perverso’ getti non solo se stesso, ma la sua intera famiglia nella vergogna e nell’obbrobrio.

L’ancestrale senso dell’onore, che ha origine nella civiltà tribale/beduina, è talmente radicato tuttora anche nella parte urbana della civiltà arabo-islamica, che il discredito e il fango gettati su una famiglia in cui un membro è risaputamente gay, sono tali da rendere impossibile anche il matrimonio degli altri fratelli e sorelle, non più considerati ‘rispettabili’.

È forse questo elemento, legato al concetto di onore, a distinguere maggiormente la condizione omosessuale in Medioriente da quella italiana, per esempio, di poche decadi fa. Per il resto, le similitudini sono molto evidenti. Anche il fatto di attribuire all’«altro» peccati e perversioni rinnegati nella propria società, è un tema ricorrente nella storia. Fino a 50 anni fa, l’Occidente sdegnava ideologicamente l’Oriente come luogo di libertinaggio e abominevole perversione. Oggi, la retorica dei vari regimi mediorientali rivolge lo stesso tipo di accusa -in realtà per nascondere le proprie crisi politiche- alla malata società occidentale, negando totalmente che l’omosessualità esista nell’islam.

Queste tematiche sono esposte con grande lucidità ed esaustività per la prima volta in un libro recentemente pubblicato dalla casa editrice Saqi Books, intitolato «Unspeakable Love», scritto dal giornalista inglese responsabile per le questioni mediorientali per il quotidiano Guardian, Brian Whitaker, oggi (26 maggio 2006, n.d.R.) a Beirut per una conferenza organizzata dall’Istituto di Psicologia.

Il Libano, dicevo, rappresenta un caso straordinario. È il primo paese dell’area in cui sia stata sventolata pubblicamente una bandiera arcobaleno da parte della prima associazione mediorientale per i diritti di gay e lesbiche, chiamata «Helem». La questione che interessa maggiormente la comunità omosessuale libanese è l’esistenza della legge 534 del codice penale che, presa alla lettera, renderebbe illegale l’omosessualità, intesa come atto fisico di penetrazione anale. La pena è di un anno di reclusione. Naturalmente, l’applicazione della legge è un fatto molto raro, ma soltanto perché le attuali contingenze politiche del paese sono favorevoli ad una parziale tolleranza della presenza gay sul territorio. Di fatto, l’esistenza di questa legge, oltre ad esporre gay e lesbiche al rischio di ricatti ed estorsioni, giustifica le incursioni della buoncostume nei locali gay-friendly della capitale e persino nella sede dell’associazione Helem.

Georges Azzi, presidente di Helem, racconta che proprio la settimana scorsa, subito dopo la celebrazione della giornata internazionale contro l’omofobia, la polizia ha interrogato alcuni membri, chiedendo se i film proiettati nel corso della manifestazione fossero di natura pornografica. In realtà si trattava di delicati cortometraggi girati localmente, che descrivevano la difficoltà dei ragazzi e delle ragazze libanesi a fare il coming out, ossia ad affermare apertamente la propria identità omosessuale. E grazie all’operato di Helem, il paese intero sta, in un certo senso, facendo il suo coming out, dando finalmente visibilità in medioriente ad una realtà finora soffocata e resa silente da irrazionali tabù.

Paolo Ferrarini

Paolo Ferrarini, nato a Nogara (Vr) nel 1977, dopo aver conseguito la maturità scientifica si è laureato nel 2002 all’Università di Venezia in Lingue e letterature orientali (arabo) col massimo dei voti e la lode. Nel 2001 è stato rappresentante degli studenti italiani all’Europarlamento di Strasburgo in occasione della discussione e votazione della Carta dello studente europeo. Ha visitato numerosi paesi europei ed extraeuropei tra i quali l’Egitto, la Giordania, le Repubbliche Baltiche, i Paesi Scandinavi, i Paesi dell’Est Europa, gli Stati Uniti d’America, la Siria, il Libano, lo Yemen ed il Kuwait. Proprio in Kuwait, nel 2002, ha svolto un tirocinio di tre mesi presso l’Ambasciata d’Italia, come ricercatore per l’ufficio culturale e commerciale. Attualmente risiede tra Beirut e Londra, dove – nel 2005 – si è specializzato nel Master in Linguistica applicata e traduzione arabo-inglese.

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