(di VINCENZO ANDRAOUS, 10.11.2001) - Saggi e profani insistono a dire che la televisione  ferisce e corrode. Scatola magica che rende imbecilli i bambini. Che trasforma gli adolescenti in barbari.  Un meccanismo perverso che ammalia con i suoi  molteplici disvalori. Penso invece che la televisione attuale funga da effetto spostamento da ben altro dilemma. Come se quella sequenza digitale fosse lei a creare i vuoti che poi difficilmente si colmano. La televisione, o meglio, le televisioni, non scopriamo l’acqua calda, contengono messaggi sublimali ormai ben noti, input “estremi” per raccogliere guadagni…e poco contano i limiti imposti dalle regole, o il bon-ton richiesto dal vivere civile.

Baby spot

Ma questo andazzo, non autorizza a pensare che ciò induca una ipnosi collettiva. La deriva che un po’ tutti affrontiamo in questo presente, è sul serio un cataclisma che ferisce, soprattutto i più giovani, le persone più affaticate, coloro che non sono in possesso di strumenti difensivi.  In particolare coloro che ancora non hanno capacità critiche. Di certo la televisione non è il nostro genitore, neppure il nostro educatore, ancor meno il nostro compagno di viaggio. Per cui affermare che: “la vita mi è passata davanti, e non me ne sono accorto”, perché la televisione mi ha ipnotizzato, o peggio rapito, è davvero una mera giustificazione. Il problema è ben altro, e sta a monte. I ragazzi, gli adolescenti sono raggruppati in una linea di partenza per appropriarsi dei valori che sono centro e lato della nostra umanità. Nonché di quegli ideali che diverranno propulsione per ogni azione; loro e nostra. La televisione è l’imputata? La corte che giudica saremmo noi? Coloro che non hanno tempo neppure per fare l’amore? Per una carezza? Per una preghiera? Mi viene da pensare che la liceità di una accusa così qualunquista al tubo catodico, sia espressa per colmare e riempire vuoti e lacune, più volte sottolineati, ma comodamente licenziati.  La verità, una delle tante e troppe verità, è che siamo noi ad aver creato tanti bambini spot!!! Perché non ammettere che quando cominciano i compromessi con le proprie responsabilità di genitori, di educatori, di accompagnatori, si è destinati a una proiezione virtuale, che indica nei ragazzi una imbecillità non loro, ma piuttosto nostra. La televisione non è il fine che compie il percorso della nostra vita, è solo un mezzo per informarci e intrattenerci; per un tempo necessario, e non per intero. Dovremmo fare nostra la filosofia di S. Agostino, indipendentemente dalla fede che ognuno professa. Filosofia del dialogo e della relazione improntata a ribadire il valore della memoria, dell’intelletto, della volontà, per aiutarci a comprendere i segni di un disagio che è sempre più relazionale. Per non inciampare nella vulnerabilità delle giustificazioni, nelle incredulità costruite, nelle inadeguatezze improvvise. È una filosofia che potrebbe allontanare il pericolo incombente dell’inabitabilità dell’uomo con se stesso e con gli altri, figuriamoci in una pseudo convivenza mediatica. Il mondo comunque sarà sempre più basato sulle comunicazioni, ma ciò non contempla l’assunzione di un soggettivismo e relativismo che non accetta più alcuna verità. La famiglia, la scuola, la società sono sistemi divenuti complessi, e mettere ordine forzatamente equivarrebbe a creare un surplus di disordine. Perché dove c’è una complessità essa non sottende una complicanza, infatti la differenza fondamentale  sta nel tempo. E di tempo non ce n’è mai a quanto pare. Questo è uno dei motivi per cui ragionare avendo la visione completa della situazione è pura  utopia. Si preferisce procedere a tentoni  verso il punto più vicino e poi all’altro sempre più vicino. E cosi via. Senza però giungere alla meta prefissa…per tempo. Ho l’impressione che non sia la televisione l’accusata, bensì le stagioni di parole che passano e che non riescono più a disegnare quelle lezioni straordinarie per non intendere, come ha detto qualcuno che: un semaforo rosso è solo  il punto di vista del comune. Non è una  regola stradale. Allora condannare alla reclusione a vita la televisione non è il vero obiettivo, infatti questa suggestiva moralità non elimina le dinamiche sociali fondate sull’ottimizzazione esasperata per conseguire benessere e guadagni. In questo caos forse sarebbe bene non procedere per assoluti, per risposte scontate, o peggio per sentito dire. Forse affidarci a risposte più sfumate non significa andare incontro a conclusioni errate, ma a un giudizio meno approssimativo. Esistono geometrie che non conosciamo, incertezze, solo i comandamenti sono certi, indiscutibili. In conclusione siamo dentro fino al collo nell’era delle comunicazioni istantanee, stiamo diventando tutti navigatori-esploratori del multimediale. Proprio per questo sarebbe bene tendere a fare gli entronauti di noi stessi quanto meno per ascoltare-guardare con orecchi e sguardi nuovi i tanti figli, al palo, in attesa. Accompagnare costa sicuramente di più in termini di tempo e denaro, ma consente di rispettare nei più giovani il diritto a essere protagonisti attivi della propria crescita personale, e negli adulti di appropriarsi finalmente di vista prospettica, quanto meno  per tentare di evitare abbandoni devastanti.