[A cura del Circolo Culturale Cinematografico di San Bonifacio (VR) • 06.04.03] Da quarantasei anni, dal 1956 de «Il mondo del silenzio» di Jacques-Yves Cousteau e Louis Malle, il festival di Cannes non metteva in concorso un documentario; lo ha fatto nel 2002 con «Bowling for Columbine» che ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria.

BOWLING FOR COLUMBINE

Da quarantasei anni, dal 1956 de «Il mondo del silenzio» di Jacques-Yves Cousteau e Louis Malle, il festival di Cannes non metteva in concorso un documentario; lo ha fatto nel 2002 con «Bowling for Columbine» che ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria.  

Il film-documentario parte da un terribile fatto di cronaca accaduto nell’aprile del 1999 alla Columbine Hight School (da cui il titolo), quando due studenti imbracciarono il fucile e spararono all’impazzata su compagni e professori, uccidendone 13, e poi si tolsero la vita. All’epoca di disse che i due giovani colpirono perché influenzati dal film «Matrix» e dalle canzoni di Marylin Manson (che il regista Moore intervista per l’occasione). Il regista però scava più a fondo, penetra nelle psicosi della violenza e della paura in America, dove comprare le munizioni è come comprare le noccioline. Costruito come una vera e propria inchiesta il film viene “guidato” dallo stesso regista che gira per gli States in cerca di conferme, ma soprattutto di risposte, in particolare sul perché in uno stato in cui c’è il maggior numero al mondo di morti, dove ci sono più armi da fuoco che elettori, ci sia una così grande facilità nel fornire il permesso per averle. E la domanda che il regista sembra porsi – «Gli americani sono tutti pazzi per il revolver o sono tutti pazzi semplicemente?» – è una provocazione che lancia molti interrogativi. L’opera si apre proprio con Moore che entra in una Banca per aprire un conto. Ce ne sono di vari tipi, un po’ come ovunque, ma quello che sceglie il regista per i propri spettatori è un conto che offre in omaggio “un bel fucile”. Con un montaggio alternato e cadenzato dalle note di «A wonderful day» il regista sviscera tutto ciò che negli anni l’uso delle armi e della vuolenza hanno causato: dallo sterminio nazista, alla guerra in Vietnam, fino ad arrivare all’11 settembre con le torri gemelle che si sbriciolano. E continua il suo viaggio in cerca di testimonianze. Trova disponibili molti genitori che hanno perso figli adolescenti o ancora bambini solo perché qualche folle poteva imbracciare un’arma; trova due ragazzi scampati alla morte nella tragedia della Columbine, ma invalidi per sempre. Ma non trova conforto in Charlton Heston, presidente della National Rifle Association, una delle più potenti lobby di costruttori d’armi e divulgatori della necessità del loro uso – che si rifiuta di guardare la foto di una bimba uccisa e si congeda da Moore evadendo domande e risposte imbarazzanti.
La critica internazionale ha esplorato e formulato tutte le definizioni possibili per questo film-documentario di Moore: «incredibilmente coraggioso, movimentato e allegro» (AGIS Scuola), «spietato e grottesco» (Corriere della Sera), «avvincente e disarticolato» (il Manifesto), «eccitante e divertente, militante, di forte impatto e di controinformazione» (Cineforum), «caustico e ferocemente realistico» (Ciak). Comunque sia, «Bowling for Columbine» sembra già aver vinto una sua piccola, ma fondamentale, battaglia. Grazie infatti alla tenacia di Moore e dei due giovani sopravvissuti alla tragedia del ’99, la K Part -produttrice dei proiettili da 9mm che hanno ucciso i giovani della Columbine e ne hanno segnati a vita molti- ritirerà dal commercio i colpi fatali.
 
IL REGISTA
«Michael Moore, americano del Michigan, 48 anni, fondatore e direttore di giornali alternativi, scrittore, realizzatore di serial televisivi tra i quali “Miami Vice”, già autore di “Roger & Me” (documentario contro la Generl Motors) e di “The Big One” contro le multinazionali, è un cine-idolo dell’estrema sinistra americana: grasso, malconcio, indomito, demagogico, spiritoso, accumula cifre, episodi, testimonianze, analogie, contraddizioni, e affronta la sua materia con implacabile coraggio» (la Stampa, 18.10.02). Scomodo e ingombrante, è considerato negli USA quasi un pericolo pubblico, e non è un caso che i soldi per questo film li abbia trovati in Canada.
 
LETTERA DI MICHAEL MOORE A BUSH:
«Per favore, caro Presidente, mandi in Kuwait le sue figlie»

Caro Presidente Bush, e così è venuto il giorno che lei chiama “il momento della verità”. Sono lieto di sentire che questo giorno è finalmente arrivato. Perché, glielo devo proprio dire, essendo sopravvissuto per 440 giorni alle sue bugie, non ero sicuro di poterne sopportare ancora. Ho anch’io alcune piccole verità da condividere con lei:
1) Non c’è nessuno in America che sia felice di andare alla guerra. Esca dalla Casa Bianca e cerchi in qualsiasi strada d’America almeno cinque persone felici di andare ad uccidere gli iracheni. Non li troverà. Perché? Perché nessun iracheno è mai venuto qui a uccidere uno di noi.
2) La maggioranza degli americani ovvero quelli che non hanno mai votato per lei non ha perso la testa. Sappiamo bene cosa affligge le nostre vite quotidiane: due milioni e mezzo di posti di lavoro persi da quando lei si è insediato sulla poltrona presidenziale, la borsa diventata ormai un gioco crudele, la benzina a due dollari. Bombardare l’Iraq non risolve nessuna di queste questioni.
3) L’intero mondo è contro di lei, Signor Bush. E tra di loro metta anche i suoi compatrioti Americani.
4) Il Papa ha detto che questa guerra è sbagliata, che è un peccato. Il Papa! Quanto ci vorrà prima che lei realizzi che è solo in questa guerra? Naturalmente, non la combatterà personalmente. Lascerà che altri poveri disgraziati lo facciano al posto suo, proprio come lei fece ai tempi del Vietnam. Si ricorda, vero?
5) Dei 535 membri del Congresso, solo uno ha un figlio o una figlia nelle forze armate. Se vuole difendere l’America, per favore invii ora le sue due figlie in Kuwait. E lo stesso facciano tutti i membri del Congresso che abbiano figli in età da militare.
6) Certo, i francesi possono anche essere dannatamente noiosi. Ma non ci sarebbe stata l’America se non fosse stato per i francesi, per il loro aiuto nella guerra rivoluzionaria. La smetta di pisciare sui francesi e li ringrazi. Ma sorrida, questa guerra non durerà a lungo perché non saranno poi tanti gli iracheni pronti a sacrificarsi per Saddam. Si impegni nella vittoria, sarà un bel viatico per le prossime elezioni. Mantenga viva la speranza! Uccida gli iracheni che rubano il nostro petrolio!!! Suo, Michael Moore (21 marzo 2003)