[di Matteo Toniato • 03.01.04] Nel 2000 le delegazioni governative di ben 189 stati, di fronte all’Assemblea dell’ONU, hanno lanciato la Campagna “Millennium development goals”, ossia una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2015. Tra questi vi sono: l’eliminazione della povertà e della fame, la creazione di un ambiente economico, politico, ambientale, culturale e legale “che permetta ad ogni persona di raggiungere lo sviluppo sociale”; l’accesso universale ad un’istruzione di primaria qualità e il rafforzamento della cooperazione internazionale...

CAMPAGNA “MILLENIUM DEVELOPMENT GOALS”: NESSUNA SCUSA PER IL 2015!

Nel 2000 le delegazioni governative di ben 189 stati, di fronte all’Assemblea dell’ONU, hanno lanciato la Campagna “Millennium development goals”, ossia una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2015. Tra questi vi sono: l’eliminazione della povertà e della fame, la creazione di un ambiente economico, politico, ambientale, culturale e legale “che permetta ad ogni persona di raggiungere lo sviluppo sociale”; l’accesso universale ad un’istruzione di primaria qualità e il rafforzamento della cooperazione internazionale.
I risultati che si perseguono, attraverso otto obiettivi, riguardano settori che, se rendono, stanno progressivamente scappando di mano al potere politico e democratico dei paesi poveri, mentre, se non sono fonte di profitto immediato, vedono diminuire rapidamente i fondi ad essi destinati dai programmi governativi del momento.
Per quanto riguarda l’istruzione, nelle schede diffuse dalla Campagna, si sottolinea come: “La mancanza di educazione priva una persona delle sue potenzialità. Priva inoltre le società delle fondamenta dello sviluppo sostenibile, dal momento che l’educazione ha un ruolo cruciale al fine di migliorare la salute, l’alimentazione e la produttività. L’obiettivo educativo è quindi cruciale per poter raggiungere gli altri obiettivi”. Se consideriamo che stanno diminuendo anche gli stessi fondi interni che l’Italia destina al comparto scuola, purtroppo non c’è da meravigliarsi nel rilevare come negli stati dell’Africa Subsahariana, come dell’America latina, dagli anni sessanta l’analfabetizzazione sia andata sempre aumentando nonostante le solenni proclamazioni di principi enunciati nei più rinomati consessi internazionali.
Anche laddove il numero degli iscritti alle scuole primarie sia andato aumentando l’UNDP (United Nations Development Programme)  – nel suo “Rapporto 2003 su Lo Sviluppo Umano”– ha constatato che molti non riescono a portare a termine i cicli scolastici per i costi connessi alle annualità.
L’ottavo obiettivo che – a differenza dei primi sette – non prevede una scadenza di realizzazione e non è vincolato ad azioni quantificabili e verificabili, impegna gli stati aderenti alla campagna a “sviluppare una partnership globale per lo sviluppo”. Si dice infatti che: “i leader dei Paesi ricchi si sono impegnati ad incrementare qualità e quantità degli aiuti allo sviluppo, ad una più efficace e rapida riduzione del debito estero e a garantire regole commerciali più eque, un maggiore accesso ai mercati e trasferimento di tecnologie verso i Paesi più poveri”.
E’ sconcertante, tuttavia, notare che con il solo 0,5% del PIL dei 22 paesi più ricchi della terra (cioè 100 miliardi di Euro l’anno) si potrebbero raggiungere tutti gli obiettivi della campagna.Invece la realtà è che paesi, come l’Italia, destinano solo lo 0,15% del proprio prodotto interno lordo alla cooperazione. Non solo, ma i 220 milioni di Euro italiani, che ogni anno sono gestiti per aiutare i paesi in via di sviluppo, sono condizionati da varie clausole come quelle che obbligano i beneficiari ad acquistare beni e servizi del “bel paese” mentre, contemporaneamente, proprio uno studio della Banca Mondiale denuncia la scarsa utilità di questo tipo di “aiuti”.
Ma, sempre sullo stesso tema, una trattazione a parte meriterebbe la politica economica internazionale che, in modo più o meno diretto, obbliga i paesi poveri a privatizzare i settori strategici dei loro mercati interni, con i relativi rischi e le conseguenti aberrazioni. Infatti il passaggio di mano dallo Stato ai privati non tiene conto che servizi fondamentali come l’accesso all’acqua, le fognature, i trasporti o la sanità non possono essere trattati come semplici “merci” ed accade che, mentre l’ONU dichiara l’acqua potabile “diritto universale”, la Banca Mondiale condiziona la concessione di prestiti alla privatizzazione del mercato dell’acqua provocando pesanti ripercussioni sociali a causa del relativo aumento dei prezzi. Se, oltre a questo, consideriamo che la decisione dei governi di privatizzare servizi essenziali spesso avviene senza il minimo rispetto dei principi della democrazia, è facile capire come mai la povertà, negli ultimi decenni, anziché diminuire in quei paesi aumenta.
La campagna, con gli obiettivi prefissati e le azioni proposte in concreto, ha cercato di replicare attivamente alle pressanti istanze manifestate non solo dai movimenti sociali e politici dei paesi poveri ma ormai – soprattutto dopo Cancun – anche dalle enormi masse di cittadini sostenitori, in tutto il mondo, di una diversa globalizzazione i quali si chiedono: “ha (ancora) senso assumere a parametro di sviluppo solo il criterio della crescita economica?”.

Per un approfondimento dei temi trattati in questo articolo vedi il sito della campagna:  http://www.millenniumcampaign.it


Fonte: www.graces.it  Per un approfondimento dei temi trattati in questo articolo vedi il sito della campagna:  http://www.millenniumcampaign.it