[di Pietro Chiaranz • 03.01.04] D’ora in poi quali relazioni saranno possibili tra la Chiesa romano-cattolica e quella ortodossa? È una domanda che mi ritorna spesso in mente all’inizio di questo 2004. Pochi, infatti, sanno che sarà probabilmente istituito un nuovo Patriarcato: quello cattolico-ucraino con sede a Kiev. La possibilità di quest’evento ha già scatenato immediate reazioni nei maggiori vertici ecclesiastici del mondo ortodosso. Cercherò di analizzare i fatti mostrando, al termine, il problema fondamentale che, a mio avviso, soggiace a tutto...

RELIGIONI IN DIALOGO. IL PATRIARCATO DELLE CONTESE

D’ora in poi quali relazioni saranno possibili tra la Chiesa romano-cattolica e quella ortodossa? È una domanda che mi ritorna spesso in mente all’inizio di questo 2004.
Pochi, infatti, sanno che sarà probabilmente istituito un nuovo Patriarcato: quello cattolico-ucraino con sede a Kiev.
La possibilità di quest’evento ha già scatenato immediate reazioni nei maggiori vertici ecclesiastici del mondo ortodosso. Cercherò di analizzare i fatti mostrando, al termine, il problema fondamentale che, a mio avviso, soggiace a tutto.
 
La reazione del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I
 
In un sito ufficiale del Patriarcato Ecumenico (www.ep-patr.gr) è possibile rinvenire un’eloquente documentazione sui rapporti cattolico-ortodossi per la questione cattolico-ucraina. Tra i vari link spicca quello relativo ad una lunga lettera del Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, a Papa Giovanni Paolo II. Il testo, redatto unicamente in greco, contesta una recente tesi sostenuta dal cardinale Kasper secondo la quale non ha senso affermare che la Chiesa antica era retta da un sistema pentarchico (dalla reciproca collaborazione e comunione dei cinque patriarcati storici), dal momento che i patriarcati furono istituzioni ecclesiastiche stabilite in epoca giustinianea per volere dell’imperatore bizantino al fine di controllare più efficacemente la situazione ecclesiastica allora esistente. A queste asserzioni, Bartolomeo I oppone tutta una serie di documentazioni storiche esprimendo non poca meraviglia di come il cardinal Kasper, tutt’altro che a digiuno di storia e di teologia, possa sostenere una tale prospettiva che, in fin dei conti, invalida lo stesso ruolo del patriarcato di Roma.
Al di là delle letture più o meno corrette degli avvenimenti storici, è evidente che il cardinal Kasper deve, in qualche maniera, giustificare l’odierna situazione ecclesiastica cattolica che prescinde sempre più da ogni riferimento territoriale (si pensi solo alla diffusione delle prelature personali e ai movimenti) per sottolineare l’importanza della comunione personale con il romano pontefice. Relativizzando il valore dei patriarcati, Kasper vorrebbe anche tranquillizzare il mondo ortodosso davanti alla prospettiva della creazione di un futuro patriarcato greco-cattolico. Ma con questa sua risposta, il cardinale ha di fatto ottenuto l’effetto contrario perché la sua tesi relativizza inevitabilmente anche il ruolo giocato dai patriarcati all’interno della Chiesa ortodossa. Così, al precedente problema, egli ha aggiunto ulteriori complicazioni… 
 
La reazione del patriarcato di Mosca e la posizione greco-cattolica
 
Parallelamente a questa reazione, c’è stata quella particolarmente accesa del patriarcato di Mosca. Le attività del futuro patriarcato greco-cattolico sono in essa qualificate come un vero e proprio espansionismo ai danni della Chiesa ortodossa russa.
Pare che le due reazioni patriarcali abbiano creato disorientamento e panico nella curia vaticana al punto che potrebbe innescarsi una preoccupante catena di documenti polemici. Per contro, i mezzi di comunicazione sono stati fin ora avari d’informazioni. Nella rete web, oltre al sito su indicato, si può trovare solo un articolo di Sandro Magister che riporta la questione ucraina traendo spunto da un paio d’interviste di Gianni Valente pubblicate su “30 giorni” (novembre 2003).
È dunque obbligatorio partire dall’articolo di Sandro Magister il quale riporta in sintesi i pareri del futuro patriarca cattolico-ucraino, Lubomyr Husar, e del patriarcato russo ortodosso. Esaminiamoli attentamente.
 
Il commento del cardinale Lubomyr Husar mi pare significativo perché indica un modo d’intendere i rapporti tra le Chiese preesistente al Concilio Vaticano II. Egli pare esprimere i concetti cari all’ “ecclesiologia del ritorno” (le altre Chiese devono rientrare nella nostra), con alcune differenze e adattamenti dettate dai nuovi tempi. In questo contesto le Chiese orientali unite a Roma hanno una funzione storica di mediazione nei riguardi della Chiesa ortodossa affinché quest’ultima ritorni in comunione personale con il papa. Una volta che questo compito si realizzerà, afferma Husar, terminerà pure la funzione storica della Chiesa unita che dovrebbe rientrare nel Patriarcato “riconciliato”. Ammettendo che questa “riconciliazione” possa accadere, non mi pare molto realistico che la Chiesa greco-cattolica, da secoli abituata a differenziarsi dall’Ortodossia (pure la foggia dei paramenti ne mostra la distinzione!) e vigorosamente appoggiata al primato petrino nel senso cattolico-romano, possa facilmente “rientrare” nei ranghi di un patriarcato di Mosca, anche se “riconciliato”!
Al di là di ogni possibile considerazione, è evidente come l’elevazione della Chiesa cattolico-ucraina in patriarcato con sede a Kiev, indicherà inequivocabilmente una certa rivalutazione dell’ “ecclesiologia del ritorno” se non nelle parole almeno nella sostanza.
Il fatto spiazzerà particolarmente i sostenitori dell’ecumenismo postconciliare per i quali parlare di “ritorno” era come discutere su un reperto archeologico. È noto, infatti, che nei documenti ecumenici l’unità ecclesiale è un frutto che ogni parte deve ricercare assieme a tutti. L’assunto fondamentale di questi documenti è che nessuna parte deve assorbire le altre al suo interno.
 
La reazione del patriarcato di Mosca, esposta dal metropolita Kirill, si muove con un evidente spirito difensivo, ma mostra elementi di un certo interesse che è bene sottolineare.
Kirill presenta il concetto di “Chiese sorelle”, a suo tempo già ampiamente esposto da parte vaticana. Per Kirill è implicito a tale concetto che la Chiesa cattolica non possa muoversi nel territorio canonico di un’altra Chiesa, anche in non perfetta comunione con lei, senza averla prima contattata. Ogni iniziativa autonoma infrange i tentativi di giungere ad una perfetta comunione ecclesiale tra l’Ortodossia e il Cattolicesimo romano e non fa che seminare discordia e sospetto reciproci. Fanno parte delle iniziative autonome “la pratica dell’arruolamento di bambini e adolescenti battezzati nell’Ortodossia nelle organizzazioni cattoliche, in ostelli e altre strutture dove si fanno partecipare a funzioni religiose cattoliche, alla comunione, all’assistenza spirituale del clero cattolico”. Per Kirill questo quadro, già abbastanza difficile, viene oltremodo complicato dall’attività espansionistica dei greco-cattolici i quali, appropriandosi del titolo patriarcale di Kiev sdoppiano tale titolo appartenente, di per sé, al solo Patriarca di Mosca. E, da questo punto di vista, i titoli patriarcali identici su un medesimo territorio ma appartenenti a Chiese di confessione differente, ripropongono o fanno ricordare troppo bene la triste prassi del “tempo delle crociate, quando s’istituivano in Oriente dei patriarcati cattolici paralleli a quelli ortodossi”.
Queste iniziative e la tendenza ecumenica degli ultimi anni mostrerebbero che, per le concezioni cattoliche, il valore ecclesiale dell’Ortodossia è decisamente secondario rispetto a quello cattolico. Constatando ciò, Kirill conclude: “Non rimane altro che sperare, pregare e lavorare affinché il ritorno alle cose buone già sperimentate nei nostri rapporti non diventi un fatto di un futuro lontano”.
 
Il vero nodo di tutta la vicenda
 
Ma qual’è, di fatto, il punto di divisione più doloroso che soggiace a tutta questa recente diatriba? A mio avviso consiste nell’autorità del papa, così com’essa si è sviluppata nel secondo millennio cristiano.
L’importanza della comunione personale con il romano pontefice è la chiave principale dell’odierno problema ecumenico. Nel Cattolicesimo la persona del romano pontefice non è solo “una bandiera”, come il cardinal Husar afferma nella sua intervista a “30 giorni”, ma l’autorevole interprete della tradizione cattolica nei vari momenti della storia. Essere in comunione con lui ha una valenza assolutamente più pregnante rispetto all’essere in comunione con un qualsiasi patriarca ortodosso il quale non è mai stato ritenuto un elemento costitutivo ed esegetico della tradizione cristiana. Non è realistico credere che il Cattolicesimo possa privarsi di questo riferimento con il quale è possibile affermare la possibilità di una certa “evoluzione” dogmatica. Oltre a ciò, il papa è la fonte di ogni potere di giurisdizione all’interno della Chiesa cattolica. Un potere ecclesiastico che non provenga da lui è, per la classica teologia cattolica, illegittimo e tale risulta ancora nell’attuale codice di Diritto Canonico. Non meraviglia che, con questi presupposti, ci sia qualche ambiente cattolico iperconservativo che consideri le Chiese orientali chiese illegittime. Potremo dargli torto?
 
Le concezioni ecclesiologiche ortodosse, nel pensiero e nella prassi classica dell’Ortodossia, non hanno, invece, nessuna impostazione di tipo personalista. La comunione con l’Ortodossia non avviene semplicemente perché ci si riferisce ad un patriarcato ma perché, al di sopra di tutto, si assume lo stesso e identico spirito espresso nella tradizione ecclesiale-spirituale-dogmatica del primo millennio, spirito che si riceve non con una formazione intellettuale ma con una comunione di vita e di sentimenti all’interno di una comunità di credenti. Solo a seguito di ciò, il credente si riferisce al particolare vescovo posto al servizio di quella comunità.
Nell’Ortodossia non esiste alcun concetto di “assorbimento ecclesiale”, praticato nella storia del Cristianesimo occidentale ed emblematicamente manifestato negli eccessi della latinizzazione delle diocesi grecaniche dell’Italia meridionale. Per questo l’Ortodossia non ha mai fatto dei proseliti. Una Chiesa o un gruppo di persone che volessero divenire ortodosse lo fanno di loro spontanea volontà assumendo lo spirito dell’Ortodossia e vivendolo, non con una meccanica sottomissione ad un’autorità gerarchica! Infatti, in questo contesto, l’autorità ecclesiastica è solo un’espressione dell’ethos e dello spirito della tradizione ecclesiale, ed è autorevole tanto in quanto la manifesta. E’ questo che spiega il grande fascino esercitato nell’Ortodossia dagli staretz o dai padri spirituali i quali, a loro volta, sono semplicemente la “bocca” dell’Ortodossia. Come si vede, la persona (di un vescovo o di un padre spirituale) è considerata tanto in quanto esprime e incarna il primato della tradizione.
Se dunque nel Cattolicesimo il ruolo personale del papa è un elemento fondamentale che autentica la Chiesa e interpreta la sua tradizione, nell’Ortodossia un papa non può essere che un primus inter pares dove ciò che veramente primeggia è la tradizione vivente della Chiesa mostrata, per opera dello Spirito Santo, nella vita di santi asceti e degli staretz.
Questo spiega, a sua volta, la meticolosa organizzazione ecclesiale cattolica tutta incentrata e concentrata attorno alla curia vaticana e al papa e, nel mondo ortodosso, l’impostazione e l’ecclesiologia pneumatico-carismatica. Da ciò discende l’attenzione occidentale verso l’aspetto e l’operato umano, mentre l’Oriente preferisce sottolineare il valore dell’ascetismo e della trascendenza.
 
Detto questo, si può pensare ad una possibile integrazione tra queste due dimensioni superando  l’ostacolo del personalismo ecclesiale?
Qualcuno ha affermato di sì a patto di far “rinunciare a qualcosa” entrambe le parti. Ma se il Cattolicesimo rinuncia al ruolo del papato, come vertice sommo e personale dell’ interpretazione e del rinnovamento della sua tradizione, rinuncia all’unico elemento che, con  un’autorità la cui origine è ritenuta divina, può unire in un unico corpo comunità ecclesiali a volte assai diverse tra loro e ben poco disposte a convivere sotto uno stesso tetto. Rinunciando a questo ruolo papale, il Cattolicesimo diverrebbe come una nave senza timoniere: si esporrebbe ad ogni genere di contraddizione e di critica autodistruttrice alle quali fin ora si è protetto anche per il fatto d’essere la prima sede che non dev’esser giudicata da alcuno (prima sedes a nemine judicatur)!
Se l’Ortodossia rinuncia a porre al vertice di tutto la sua tradizione pneumatico-carismatica, oscura gli strumenti con i quali santifica gli uomini e omologa la Chiesa ad una semplice struttura umana. Solo ponendo la tradizione al vertice di tutto è possibile discernere l’attività di un Concilio (che per essere valido nell’Ortodossia dev’essere riconosciuto e accolto da tutto il corpo ecclesiale, non semplicemente proposto o, peggio!, imposto) e di qualsiasi disposizione episcopale o patriarcale.
Come si vede, le difficoltà di una vera riunificazione sono più che evidenti e non basta l’ottimismo del cardinal Husar (che in realtà veicola un’ecclesiologia cattolica temperata con   qualche correttivo ortodosso) ad annullarle.
Forse il futuro non sarà roseo. Proprio per questo, mi auguro che tra i cristiani non venga meno uno spirito di rispetto e di fratellanza con il quale, nonostante le divisioni storiche, è possibile testimoniare una comune tensione verso Cristo, Salvatore degli uomini. Infatti, sotto il cielo non esiste alcun nome con il quale possiamo essere salvati (At 4, 12) dalle nostre morti quotidiane.


Fonte: Nuovi Orientamenti Ecumenici