[GRILLOnews • 01.01.03] 5 CAPODANNI: MARCIA PER LA PACE DI CREMONA/1 - IL CRISTIANO: UOMO DI PACE; MARCIA PER LA PACE DI CREMONA/2 - IN CINQUEMILA DA TUTTA ITALIA; ROVERETO (TN) - CAPODANNO CON LE ASSOCIAZIONI PER LA PACE ED ALEX ZANOTELLI; EPIFANIA 2003 - I MISSIONARI COMBONIANI PUGLIESI, PER PROTESTA CONTRO LA GUERRA NON HANNO CELEBRATO IL RITO RELIGIOSO NEL GIORNO DELL'EPIFANIA; VERONA - L'ONOREVOLE VALPIANA ED IL CONSIGLIERE FASOLI IN VISITA AL CARCERE DI MONTORIO.

CAPODANNI 2003

MARCIA PER LA PACE DI CREMONA/1 – IL CRISTIANO: UOMO DI PACE
Era un po’ che ci pensavo: trascorrere l’ultimo giorno dell’anno diversamente, lontana dalla consuetudine divenuta ormai ovunque consumismo. Volevo fosse un giorno importante, che mi aiutasse a riflettere sull’anno trascorso e nello stesso tempo a impostare il nuovo, come anno ricco di speranza. L’opportunità mi venne incontro per “caso”, stampata su un volantino che riportava il messaggio scritto da un grandissimo sacerdote, don Primo Mazzolari: «Non e’ forse una contraddizione che dopo venti secoli di Vangelo gli anni di guerra siano più frequenti degli anni di pace? Che l’omicida comune sia messo al bando come assassino, mentre chi stermina genti e città sia in onore come un eroe? Che l’orrore cristiano del sangue fraterno si fermi davanti a una legittima dichiarazione di guerra da parte di una legittima autorità? Che una guerra possa portare il nome di “giusta” o di “santa” e si invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio?» Questi interrogativi, scritti mezzo secolo fa, mi risuonarono così attuali e veri che presi subito in considerazione quello che il foglio proponeva: il Convegno Nazionale di Pax Christi Italia – associazione cattolica internazionale per la Pace – a Cremona, nei giorni 29, 30 e 31 dicembre sul tema: «Smilitarizziamo Dio e smilitarizziamo l’uomo». Sono stati 3 giorni intensi, forti di testimonianze e di riflessioni. Quanti i turbamenti e le emozioni. Ho provato desolazione e conforto, paura e certezza. Mi sono sentita così piccola e impotente di fronte ai grandi problemi del mondo, di fronte ai troppi interessi economici che regolano le guerre. Quante le bugie che ci raccontano o le verità che ci omettono, e noi rischiamo di “bere” tutto senza neppure assaporarne l’autenticità. Mi sono sentita così sola di fronte al silenzio di Dio, un Dio che, come dice il Papa, ormai non si rivela più, disgustato dall’agire dell’uomo contro l’uomo. Mi sono sentita, però, anche così grande e forte di fronte alle grida di alcuni profeti dei nostri giorni. Mi sono sentita consolata dalla tenacia dal nostro Papa, che, anche se solo, prende posizione. Mi sono sentita unita a tutti coloro che non tacciono di fronte alle ingiustizie. Molti i relatori, tantissimi i partecipanti. Migliaia coloro che si sono aggiunti a noi nel pomeriggio del 31 per la Marcia della Pace, che da 35 anni è itinerante per le città italiane. Il nostro cenone è stato il digiuno, la nostra festa lo scambio autentico di migliaia di auguri dopo la celebrazione eucaristica; la nostra gioia usare la voce per esprimere la nostra fede in Cristo e colorare le strade con migliaia di arcobaleni. I colori della pace hanno dipinto Cremona: bandiere dai terrazzi, sulle spalle, sventolate. La speranza è rinata al nascere di un nuovo giorno, di un nuovo anno. Due le parole che mi sono portata a casa: Pace e Amore, convinta che il mondo non si divide tra credenti e non credenti, ma tra coloro che amano e non amano. Auguro a tutti voi un pacifico 2003 con le parole di don Mazzolari (Tu non uccidere): il cristiano è un UOMO DI PACE non un uomo in pace : FARE LA PACE E’ LA SUA VOCAZIONE. (Federica Sciuscio – San Bonifacio – VR)

MARCIA PER LA PACE DI CREMONA/2 – IN CINQUEMILA DA TUTTA ITALIA
Nella tenue nebbia di Cremona le decine di bandiere e gli striscioni multicolori con gli slogan delle precedenti marce della pace la facevano da padroni. Sotto questi vessilli che si agitavano nella notte di San Silvestro, cinquemila testimoni di pace procedevano digiuni verso la stessa meta. A stomaco vuoto e in marcia, per provare a partecipare anche fisicamente, per qualche ora, alla condizione dominante di quattro quinti di mondo. La fame e la povertà di quel miliardo e 300 milioni di persone del Sud del mondo che vive con meno di un dollaro al giorno e dei tre miliardi che devono cavarsela con meno di due dollari. Anche per questo un nottambulo popolo di giovani, di padri e madri con adolescenti al seguito è giunto a Cremona da tutta Italia per dire «no» alla guerra che affama chi la subisce, ma soprattutto per pronunciare forte la parola pace. Intuizione profetica universalmente affermata quarant’anni fa da Giovanni XXIII con l’enciclica Pacem in terris (da lì prese le mosse la prima Marcia per la pace nel 1968) e rilanciata ora da Papa Giovanni Paolo II con il documento Pacem in terris: impegno permanente a cui si è ispirata la 35ª Marcia per la pace. Parola, quest’ultima, che ha risuonato dapprima nel palazzetto dello sport preso d’assalto da 3mila marciatori, nella chiesa di Sant’Ambrogio, lungo le strade di Cremona e, infine, nella cattedrale, con la Messa presieduta dal vescovo di Cremona, Dante Lafranconi assieme ai vescovi Tommaso Valentinetti, Luigi Bettazzi, Diego Bona, Cesare Bonicelli e Francesco Lambiasi. Il duomo è un brulicare di volti e di corpi accampati nelle navate, nei transetti laterali e sui gradini delle cappelle. E mentre il vescovo Lafranconi rievoca le parole del Pontefice «non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza diritto» chiedendosi se «in un mondo in cui si parla tanto di diritti a livello politico e istituzionale, sia altrettanto cresciuta la consapevolezza di quali siano i doveri di un mondo civile», fuori dalla cattedrale esplodono i primi botti di Capodanno, che investono il silenzio pensoso dell’assemblea, ma che soccombono alle voci e ai tamburi di alcuni rappresentanti della comunità ivoriana di Cremona che inondano la cattedrale con un canto di lode a Dio.  Sono giunti a Cremona da ogni regione. Giovani dal Molise terremotato, dalla Puglia, dalla Calabria (a Locri si svolse la precedente marcia), dalle Marche, dalla Toscana, oltre che da tutto il Norditalia. «Mi ha colpito la figura di don Mazzolari» dice Valerio, giunto con alcuni amici da Lucca. Proprio dal suo libro antimilitarista Tu non uccidere, del 1952, sono stati attinti molti degli spunti di riflessione nell’intensa serata, promossa da Cei, Pax Christi Italia (che ha svolto una tre giorni di convegno ai piedi del Torrazzo dal 29 al 31), Caritas e diocesi di Cremona. Serata che ha vissuto i primi intensi momenti di testimonianza e riflessione al palazzetto dello sport con l’intervento di monsignor Valentinetti (presidente di Pax Christi) e con un filmato-intervista al segretario di Papa Roncalli, monsignor Loris Capovilla, che ha ricordato come «il volto di Giovanni XXIII fosse già in sé simbolo e segno visibile di pace interiore». Poi l’intervista al vice direttore della Caritas argentina Cristina Calvo, al professor Antonio Papisca («i Paesi dominanti – ha ammonito – non hanno in sé la cultura della condivisione e della sussidiarietà, l’unica via per governare i problemi globali del mondo»), l’intervento del presidente dell’Agesci Grazia Bellini («la pace, ci ha insegnato Papa Roncalli, è l’ordine che il Signore ha pensato per l’umanità, con quattro cardini inscindibili: verità, giustizia, amore e libertà») e quello dirompente del missionario comboniano Alex Zanotelli. Seguiti dal direttore della Fondazione Giustizia e Libertà, Riccardo Moro, e da don Giuseppe Giussani della Fondazione Mazzolari. (Massimo Iondini, Avvenire)

ROVERETO (TN) – CAPODANNO CON LE ASSOCIAZIONI PER LA PACE ED ALEX ZANOTELLI
Con le drammatiche parole scritte da un trentino emigrato alla fine del 1800 in Erzegovina si è aperta la presentazione della fiaccolata di fine anno di Rovereto (TN) che ha visto la partecipazione di più di 1000 persone e la testimonianza di p. Alex Zanotelli. Organizzata dal Comitato Associazione per la Pace di Rovereto, Associazione A.P.I.B.I.M.I., Tam Tam per Korogocho, e con l’adesione di altre numerose associazioni cittadine, la fiaccolata dal titolo “Vivere le diversità, in cammino per un mondo di pace”, ha voluto ricordare come le storie degli immigrati trentini si ripetono negli impressionanti attracchi dei gommoni alle coste italiane. Ecco quindi che l’inclusione sociale ed economica – intesa come l’accogliere altri – con pari diritti e pari doveri – all’interno della nostra realtà cittadina e nazionale è la grande sfida dei prossimi anni e dei prossimi decenni. Questo è possibile soltanto attuando politiche più attente all’altro come, per esempio la creazione della “Consulta elettiva delle Cittadine e dei Cittadini Stranieri extra UE ed apolidi residenti “; proposta recentemente nell’ambito del Comune di Rovereto sull’esempio di altre città italiane. Si tratta di uno strumento ormai indifferibile di apertura alla più piena partecipazione alla vita sociale ed amministrativa da parte delle persone immigrate. Con i loro problemi da risolvere e necessità da soddisfare, ma anche con la ricchezza dei loro apporti mediati da culture e tradizioni diverse dalle nostre. Importanti sono state le testimonianze di due cittadini immigrati rappresentanti dell’Associazione interculturale Città aperta e dell’Associazione Culturale “Per un futuro migliore” che raccoglie gli appartenenti della Comunità Islamica che si è aperta agli altri immigrati. L’arrivo al Centro Beata Giovanna è stato accolto dalle musiche di Renzo Vigagni e le poesie di Alberto Sighele a cui è seguito la lettura di un testo sull’immigrazione “Siamo tutti clandestini” di Erri de Luca. A conclusione della fiaccolata si è tenuta la testimonianza di p. Alex Zanotelli che ha rilanciato la partecipazione alle iniziative contro la guerra, tra cui la campagna “Pace da tutti i balconi” e “Io scelgo la nonviolenza”. A quest’ultima proposta, promossa da Rete di Lilliput, hanno aderito più di 300 persone sottoscrivendo una lettera che verrà spedita al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, con la quale si dichiara di dissociarsi dalla politica economica e militare dell’Italia e per la difesa dell’art.11 che ripudia lo strumento della guerra come risoluzione dei conflitti internazionali. Più di trecento persone hanno atteso la mezzanotte con le danze popolari per la pace con l’Associazione Danzare la Pace, tè e biscotti per tutti. (Comitato delle Associazioni per la Pace).

EPIFANIA 2003 – I MISSIONARI COMBONIANI PUGLIESI, PER PROTESTA CONTRO LA GUERRA NON HANNO CELEBRATO IL RITO RELIGIOSO NEL GIORNO DELL’EPIFANIA
Padre Michele Stragapede, comboniano, è uno degli organizzatori della giornata di protesta contro la guerra che culminerà nella non celebrazione della messa il 6 gennaio, il giorno dell’Epifania. Lo abbiamo intervistato per conoscere le motivazioni che stanno dietro questa clamorosa forma di dissenso. Padre Stragapede, la Chiesa cattolica si è già espressa esplicitamente contro la guerra. Intendete, con questa vostra iniziativa, fare un salto di qualità su questa tematica e scuotere chi invece stenta a prendere posizione? Noi veniamo spesso da paesi che sono in guerra, e abbiamo potuto toccare con mano quanta sofferenza un determinato stile di vita ci procura o procura a questi poveri. Il grosso disagio che si avverte riguarda il fatto che siamo costretti ad accettare, attraverso un sistema di mezzi di comunicazione che sono tutti manovrati, “arruolati” ha detto qualcuno su Le monde diplomatique, che la guerra sia inevitabile. E su questo devo dire che la Chiesa non ha fatto ancora corpo unico insieme con il Papa nel dire “no” alla guerra, che la guerra è l’anticreazione, che la guerra è la rinnegazione più grande che si possa fare dell’esistenza di Dio. Il nostro disagio dunque qual è? Dopo aver visto, toccato con mano e aver vissuto nella povertà più assoluta, nella sofferenza che questo sistema genera, torniamo qui e dobbiamo cantare ancora la volta “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” senza neanche mettere in dubbio che forse non riusciamo a dire più “pace in terra agli uomini che Dio ama”? A me viene di pensare che se non c’è pace in terra vuol dire che Dio non ci ama, ma questo è un assurdo. Come intendete rispondere ad un interrogativo così drammatico, soprattutto per un credente? Che cosa fare perché questo amore di Dio torni a risplendere sugli uomini? Costruiamo la pace. Se non facciamo questi annunci di liberazione ai poveri, così come avevano fatto gli angeli che hanno indicato Gesù Bambino, escluso dalla città del benessere, da Betlemme, e che si è fatto pane e si è lasciato deporre nella mangiatoia; se noi non diciamo ai poveri dove c’è il pane, coniugando la giustizia, vuol dire che ci stiamo prendendo in giro. E le nostre messe sono dei sacrilegi. Noi possiamo celebrare solo quando siamo operatori di pace perché la pace è il primo dono di Gesù il risorto e non possiamo minimamente consentirci di accettare una mentalità di guerra anche nel caso che l’Onu dovesse decidere in questa direzione. Come va costruita una mentalità diversa da quella prevalente, che vede il conflitto come inevitabile? Bisogna cambiare il nostro stile di vita, essere più solidali, più sobri, globalizzare la solidarietà. Bisogna guardare gli uomini e le donne del nostro tempo con la stessa dignità e gli stessi diritti che abbiamo noi. Se i diritti loro non ce li hanno così come ce li abbiamo noi, restiamo un popolo di privilegiati. Abbiamo così cominciato a riflettere su questa realtà, dapprima con il Giubileo degli oppressi, che ci ha visto in cammino con la scuola di pace Don Tonino Bello di Molfetta, con Pax Christi e altri soggetti, e ora anche con altre realtà come il Coordinamento contro la guerra di Bari, formato da 38 associazioni e molte parrocchie. Avete denunciato anche la militarizzazione della Puglia? Sì, e dobbiamo ringraziare Sandro Marescotti di PeaceLink, perché ci ha fornito una base essenziale di riflessione, un dossier dal quale si evince che la Puglia è un avamposto militare che esporta guerra e genera morte. Un luogo nuclearizzato fin dagli anni ’60, quando esistevano postazioni nucleari, mentre ora l’Enea vuole trasformare le Murgie in una discarica di smaltimento delle scorie nucleari. Un’offesa al nostro territorio. Don Tonino parlava di Puglia come arca di pace e non arco di guerra e come sintesi delle diverse culture. Noi pugliesi siamo un razza “bastarda” e dovremmo essere fieri di accogliere gli altri. E invece siamo gli aguzzini dei nostri fratelli e speculiamo sulla loro pelle.

VERONA – L’ONOREVOLE VALPIANA ED IL CONSIGLIERE FASOLI IN VISITA AL CARCERE DI MONTORIO
La deputata TIZIANA VALPIANA e il Consigliere comunale FIORENZO FASOLI di Rifondazione Comunista mercoledì 1 gennaio 2003 si sono recati nella casa circondariale di Montorio (Verona) per fare visita ai detenuti e alle detenute e portare loro gli auguri per il nuovo anno, con la speranza che si possa finalmente giungere al provvedimento di clemenza tanto atteso fuori e dentro le carceri e che il 2003 sia l’anno in cui l’insostenibile situazione carceraria italiana trovi maggior attenzione e soluzioni di civiltà. «Nel carcere di Montorio abbiamo trovato una speranza e una situazione di tensione molto alta in attesa dei promessi provvedimenti di clemenza –ha dichiarato la deputata Valpiana- e sarebbe imperdonabile che il Parlamento, dopo troppe promesse, non assumesse al più presto decisioni che, venendo incontro alle situazioni di molte persone, permetta un ridimensionamento del numero dei detenuti per poter affrontare i reali problemi del carcere, oggi impossibili date le condizioni di sovraffollamento. La casa circondariale di Montorio, costruita per ospitare 400 detenuti, oggi ospita 503 uomini e 42 donne, una situazione, seppur relativamente migliore rispetto ad altri momenti, insostenibile per permettere condizioni accettabili di convivenza, resa ancor più drammatica dal sottodimensionamento del personale di custodia, costretto a turni inaccettabili. In queste condizioni non è pensabile alcun trattamento rieducativo e il carcere perde la sua principale funzione di recupero e reintegrazione nel tessuto sociale di chi ha sbagliato». «Il punto dolente –ha continuato il consigliere comunale Fasoli- è la mancanza di lavoro dentro e fuori dal carcere: senza un’educazione alla legalità e le risorse sufficienti per vivere con dignità, nessuna pena può portare a un risultato positivo. Una città come Verona non può ignorare i troppi detenuti che solo con il lavoro possono costruirsi un futuro migliore durante e dopo l’espiazione della pena. La nuova amministrazione comunale, gli imprenditori e le forze produttive della città devono affrontare al più presto questo problema. Mi auguro che il fatto di avere finalmente un direttore, dopo una troppo lunga situazione di precariato, possa permettere di avviare un progetto globale per il carcere». «Mi impegnerò in Parlamento, assieme a tutta Rifondazione Comunista, per arrivare al più presto a una misura di indulto –ha concluso Valpiana- ma poi l’impegno legislativo per migliorare le condizioni di vivibilità per tutti i carcerati dovrà continuare. La visita odierna è stata l’occasione per testimoniare a detenuti, detenute e personale tutto il forte e determinato impegno sulla situazione carceraria e la volontà, iniziando proprio con la visita a un carcere l’attività politica del nuovo anno, di non dimenticare i bisogni e i diritti dei più deboli, lavorando per interventi sociali necessari prima e fuori dal carcere, per politiche di accoglienza e di prevenzione, contro le politiche sicuritarie e repressive che acuiscono, ingigantiscono e rendono irrisolvibili i problemi».