[GRILLOnews • Settembre 1997] Potrebbe essere "Chi ama l'Africa". Oppure: "L'Africa chiama". Ed ancora: "Chiama l'Africa". Il nocciolo è che comunque si combinino, le due parole scelte per la Campagna nazionale di sensibilizzazione, che all'interno di queste pagine vi presenteremo, restano cariche di significato. E di responsabilità. Cosa sappiamo dell'Africa? Per i mass-media è un continente dove non ci sono i supermercati, le malattie fanno notizia e audience...

CHIAMA L’AFRICA. TAMBURI PARLANTI E TANTA VOGLIA DI RISORGERE

[di Amedeo Tosi]
Potrebbe essere “Chi ama l’Africa”. Oppure: “L’Africa chiama”. Ed ancora: “Chiama l’Africa”. Il nocciolo è che comunque si combinino, le due parole scelte per la Campagna nazionale di sensibilizzazione, che all’interno di queste pagine vi presenteremo, restano cariche di significato. E di responsabilità. Cosa sappiamo dell’Africa? Per i mass-media è un continente dove non ci sono i supermercati, le malattie fanno notizia e audience. I milioni di morti per denutrizione o guerra, pure. Un ammasso di negatività. Non ci dicono che quello con cui abbiamo a che fare è invece un continente molto ricco e vario: di poesia, musica, pittura e arte, di personaggi significativi, di valori, di civiltà, lingue, usanze, danze, tamburi parlanti, di cuori, volti con nomi a cui scrivere e presso i quali far visita. Una Campagna sul continente africano dovrebbe servire proprio a questo: dire ad alta voce, qui nell’est veronese come nel mondo, che esiste anche l’altra faccia dell’Africa. Dire che è arrivato il momento di passare da un patto di natura “coloniale” ad un patto di natura “solidale”. A noi dà fastidio l’aver trattato negli ultimi cinquecento anni gli africani da schiavi, o peggio: esseri inferiori. Dire loro che le patinate relazioni dei mille organismi internazionali del Nord, che li trattano da “inutili”, solo perché non riescono ad entrare nel sistema economico iniquo stabilito ed organizzato dagli stessi sotto le parole d’ordine “opulenza e profitto”, portano avanti una filosofia dal fiato corto. Che prima o dopo (ci) soffocherà. Non dimentichiamoci -ce lo ricorda Eugenio Melandri nel suo articolo che qui ospitiamo- che l’Africa sa organizzarsi e difendersi. Sa resistere di fronte a quanto tentano di imporre i vari “zii paperone”. L’Africa sa sbarcare il lunario: essa chiede un’economia che non si basi sull’avere per avere ancora, ma semplicemente un’economia per vivere. Ecco perché in tanti, oltre 150 organismi della società civile sparsi per l’Italia, compresa la nostra associazione, facciamo una Campagna di informazione e sensibilizzazione: per affermare questi diritti e per ribadire che non intendiamo rivolgerci solo ai buoni sentimenti di tante persone, bensì al loro cervello, affinché imparino ad essere critiche in senso positivo e obiettive nei giudizi. Ci rivolgiamo ai razzisti di casa nostra, al mondo politico ed economico, alle banche che trattengono il denaro di tanti dittatori-onnivori, un denaro accumulato con anni di ingiustizie e soprusi, alle spalle della povera gente. Una Campagna. Anzi due. In questo numero del “GRILLO parlante” troverete cinque pagine che parlano di mondi lontani e vicini. Mondi intrecciati. Concretamente vi chiediamo di firmare gli appelli che chiedono: 1) che il 1998, quinto centenario della colonizzazione in Africa, venga dichiarato “Anno Internazionale di solidarietà con l’Africa”; 2) che venga cancellato il debito estero dei Paesi più poveri. Tutto questo fatelo subito, perché l’Africa sta aspettando da anni, l’Africa sta morendo da anni, ma, te lo assicuriamo, ha tanta voglia di risorgere !

Chiama l’Africa… chi ama l’Africa
[di Claudio Marano, missionario saveriano]

Un gruppo di persone (volontari, cooperanti, missionari) reduci da esperienze in Africa nel 1994 ha attivato un “collegamento” nazionale di gruppi e associazioni impegnati, all’interno della cooperazione, del volontariato, del mondo missionario e della sensibilizzazione, a favore dell’Africa. É nato così il “gruppo Africa”. Il gruppo nel corso di questi anni ha organizzato diverse iniziative: una campagna per la soluzione del problema dei profughi nell’area dei Grandi Laghi, articolata attraverso una campagna di lobby, con l’invio di cartoline al Ministero degli Esteri e la Presidenza della Repubblica; una missione di giornalisti in Rwanda e Burundi; diversi incontri con esponenti politici sia italiani che europei per sollecitare il loro interessamento al dramma dei profughi. Nel febbraio 1996 il gruppo ha organizzato un seminario di due giorni sul tema “Nuova solidarietà con l’Africa”. Il seminario si è svolto a Parma e ha visto la partecipazione di oltre cento persone provenienti da una sessantina di gruppi e associazioni. Il seminario è servito a mettere insieme una strategia globale e una proposta di campagna rivolta all’opinione pubblica italiana per “riaccendere i riflettori sull’Africa”, non soltanto ponendone in luce i problemi, ma anche i valori e le potenzialità, prendendo come referenti il mondo politico, il mondo dell’informazione e tutta l’opinione pubblica del nostro Paese. É nata così la Campagna “Chiama l’Africa”. Essa ha come motivazioni portanti:
1) la constatazione del progressivo disinteresse nei confronti dell’Africa che rischia di essere un continente dimenticato, di cui parlare solo in occasione di grandi tragedie;
2) l’abbandono di regioni interne del continente africano da parte del mondo imprenditoriale e finanziario che le ritengono incapaci di “stare” sul mercato in questo periodo di globalizzazione dell’economia;
3) la necessità di una approfondita e positiva conoscenza del continente africano da parte della pubblica opinione del nostro Paese che si incontra con esso attraverso i crescenti flussi migratori;
4) la necessità d’una conoscenza, soprattutto da parte dei giovani e del mondo della scuola, non frammentaria (troppi soggetti operano in modo non coordinato fra di loro), non parcellizzata (troppo spesso si parla solo di alcune zone, mai del continente intero), non catastrofica (dell’Africa si parla solo in occasione di grandi catastrofi);
5)l’opportunità di rendere presente l’Africa in occasione di alcuni eventi di carattere mondiale come il giubileo del 2000, l’Anno internazionale della povertà, il Summit della FAO;
6) la necessità di supportare a livello di opinione pubblica il rinnovato impegno dell’Italia nella cooperazione allo sviluppo e la scelta del Governo di assumere come una priorità il continente africano.

Africa, tutti ti vorranno
[di Eugenio Melandri, coordinatore della Campagna Nazionale Chiama l’Africa]

Dovremo presto rivedere gli schemi interpretativi della realtà africana: qualcosa si sta infatti muovendo attorno all’Africa come dentro l’Africa. Dopo il muro di Berlino era parso che il continente intero fosse stato messo fra parentesi; tutti si volgevano all’Est e si teorizzava già un mondo orizzontale, da Los Angeles a VladivostocK, escludendo tutto il Sud e in particolare l’Africa. Solo cinque anni fa Clinton aveva vinto le elezioni contro Bush, reduce dalla Guerra del Golfo, dichiarando il disimpegno della politica statunitense, in pratica dicendo all’Europa: “Se vuoi vedertela tu con l’Africa, fa pure. A me non interessa quel continente”. Parallelamente i programmi di aggiustamento strutturale (imposto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, n.d.r.) sembravano fallire ovunque in Africa mentre facevano decollare altre economie, soprattutto nel Sud-Est asiatico. Il continente sembrava inoltre del tutto escluso dalla corsa alla globalizzazione. L’Uruguay Round e la successiva struttura dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) sembravano fatti apposta per escludere le economie più deboli: perdevano infatti di valore le materie prime non petrolifere e la partita si trasferiva sul piano dei servizi e dei sistemi di telecomunicazione, dove l’Africa certo non aveva granchè da dire. Si profilava l’idea di un grande continente di esclusi a cui inviare “la Madre Teresa di turno” o il cooperante o il missionario di turno. Non basta: anche i programmi di svolta democratica negli stati africani sembravano spegnersi, per riaccendersi solo sulla faccia delle grandi tragedie del continente.

Miracoli

Tutto vero. Ma non si teneva conto di un fatto: che prima dei numeri economici, l’Africa è fatta dalle donne e dagli uomini africani, che con fierezza e miracolo quotidiano riescono ogni giorno a vivere ed organizzarsi. Il continente ha continuato a esprimere la sua progettualità con l’autorganizzazione della società civile e, a livello economico, con la nascita di una nuova classe imprenditoriale, retta anche dalla fantasia e dai progetti delle donne, diffusasi nonostante gli imprenditori e gli inciampi della burocrazia e della corruzione. Pochi in questi anni si sono accorti del graduale emergere di una nuova generazione di africani che rifiutano elemosine e rivendicano piuttosto parità sul piano internazionale. Oltre un mese fa la “Global Coalition for Africa” ha organizzato in Costa d’Avorio un forum sul commercio nel continente africano, oggetto di molte ristrettezze. É stato interessante vedere la distanza che separava gli interventi dei paesi donatori e quelli degli africani. I primi a ripetere discorsi di cooperazione pelosa, fatta apposta per creare dipendenze; i secondi a rivendicare non favoritismi ma giustizia. Ho visto un gruppo dirigente non ideologizzato, non “piagnone”, che non chiede regali. Una delle richieste più forti è stata, ad esempio, la possibilità di avere delle rappresentanze dignitose presso quelle istanze internazionali -come l’Organizzazione Mondiale per il Commercio- dove i paesi ricchi, che hanno sedi e personale, possono fare e disfare le carte.

Mercati
Anche i cosiddetti mercati si stanno nuovamente occupando di Africa. Non è più solo una mangiatoia l’Africa: è una regione del mondo dove i giganti si combattono senza esclusione di colpi. Dietro alla tragedia dei Grandi Laghi c’è la scommessa degli Stati Uniti che vogliono creare un polo regionale molto sviluppato sotto la loro completa influenza, dal Sudafrica passando per l’Uganda e per l’ex Zaire ora nelle mani di Kabila, che ha già concluso accordi con multinazionali americane per lo sfruttamento delle risorse minerarie. Importante anche l’entrata di peso in Africa del Giappone. Non a caso a Tokyo sta per svolgersi la seconda conferenza internazionale sull’Africa. Pare che i grandi poli economici abbiano deciso di scommettere di nuovo sul continente, inserendolo nel gioco internazionale. Quando lanciammo la campagna “Chiama l’Africa” avevamo intuito che il continente non poteva andare alla deriva. Non avevamo fatto indagini precise ma avevamo ben presente la vivacità degli uomini e soprattutto delle donne africane, capaci di fare miracoli in condizioni che dire disastrose è dir poco. Insomma l’Africa può. Non può andare alla deriva ed essere marginale un continente abitato da donne così, speranza di un mondo che ha tanto da dare e da dire. Oltretutto un po’ di Africa al femminile nel mondo, in Europa, nell’economia e perfino nella finanza può iniettare umanità e vita, nel tentativo di centrare l’attenzione sugli esseri umani e sui bisogni reali, anzichè sui numeri nei quali contano solo i ricchi. A noi tocca solo liberare il continente dagli impedimenti che gli abbiamo creato.

Tre camion su e giù per lo Stivale
[di Amedeo Tosi]

L’Africa può: è questa la chiave di lettura del percorso dei camion che a partire dal 13 settembre inizieranno a girare per l’Italia. Camion? Sì. Dopo essere scesi nelle piazze d’Italia il 29 giugno per il primo grande appuntamento pubblico della Campagna “Chiama l’Africa”, durante il quale sono state raccolte diverse firme in calce all’appello, tre camion gireranno in lungo e in largo lo Stivale. Partendo da Firenze e arrivando a Roma l’8 dicembre del prossimo anno. Camion che rappresenteranno l’evento centrale di comunicazione della Campagna. Camion come contenitori di cultura e varia umanità, camion attrezzati per produrre un evento composito che stimoli la curiosità, la ricerca, la voglia di conoscere. Camion come informazione e spettacolo, camion come momento interculturale. Contenitori attrezzati per raccogliere un pubblico vario, con percorsi obbligati che attraversano il continente africano nella storia e nella geografia, nella politica e nell’economia. Un viaggio di conoscenza in cui l’Africa si presenta in prima persona. Un evento che vuole essere il centro di altre iniziative da svolgersi sul territorio, nelle scuole come nei centri di cultura religiosa e laica. Ognuno dei tre bilici assolve a compiti precisi. Il primo è introduttivo, il secondo riporta specularmente realtà positive e negative del continente, il terzo è una banca dati e un’elencazione di possibili progetti. Alla sera, la piazza diverrà luogo di conoscenza della realtà africana con l’uso di un grande sistema di multivisione (suoni e immagini) che continuerà per tutta la notte. Si tratta di un’occasione unica di conoscenza soprattutto per i bambini e i giovani. Il “GRILLO” verrà aggiornato periodicamente dagli organizzatori sulle mete di sosta della “carovana dei Tir”. Le scuole a cui interessa programmare e poi organizzare una gita scolastica in visita ai camion, quando percorreranno le strade venete per far sosta nelle piazze delle nostre città, possono rivolgersi alla Redazione

Quel boomerang del debito estero nelle mani dei pirati del profitto
[di Amedeo Tosi]

“Il Nord ha dimenticato il Sud -che ospita i quattro quinti dell’umanità- e non elabora più alcuna prospettiva su come un quinto dell’umanità debba vivere con gli altri quattro quinti”. Non sono parole dette al vento da qualche improvvisato analista di politiche sociali, ma la dura, da digerire, quanto schietta, realtà delineata da Susan George, una dei maggiori esperti internazionali di problematiche Nord/Sud. Una affermazione che per gli uomini di buona volontà dovrebbe comunque suonare come una sfida verso cui impegnare le proprie energie. A darci il buon esempio è la Conferenza degli istituti missionari presenti in Italia, che ha fatto proprio l’appello del Papa – “Per il giubileo del 2000 liberiamo i paesi poveri dai debiti”- sottoscrivendo un documento (vedi pagg. 13 e 14) elaborato dalle Suore Bianche (Missionarie di Nostra Signora d’Africa), che chiede ad alta voce la cancellazione del debito estero, responsabile non secondario del mancato sviluppo, attribuito ai 41 Paesi più poveri del mondo.

I debiti del Sud
Il discorso sul debito estero difficilmente più essere riassunto in poche righe. Comunque tentiamo. Nel rapporto tra Nord e Sud il debito è sempre esistito. Il Nord ha sempre avuto interesse a prestare soldi al Sud per avere indietro delle ordinazioni. I governi del Sud del mondo hanno sempre accettato di indebitarsi per avere del denaro da usare nei modi più disparati. Tuttavia, solo dopo il 1973 il debito ha cominciato ad assumere dimensioni di rilievo. Ad esempio, mentre nel 1970 il Sud ottenne nuovi prestiti per un valore di 16 miliardi di dollari, nel 1980 ne ricevette per 64 miliardi di dollari. A questo aumento contribuirono un po’ tutte le fonti finanziarie, ma le banche private, dette anche banche commerciali, ebbero un ruolo preponderante. Nel corso degli anni ’70 i prestiti bancari aumentarono al ritmo del 28% all’anno, facendo passare in secondo ordine il ruolo dei prestiti di fonte pubblica.
Petrolio & affari d’oro per le banche commerciali
Con l’impennata del prezzo del petrolio a partire dal 1973, le banche commerciali del Nord videro arrivare dagli emiri arabi grandi depositi di denaro, pronti da reinvestire in prestiti. A chi? Ma al Sud, sempre alla ricerca di soldi da incanalare nelle più svariate direzioni. Prestiti che con il passare degli anni, visti gli ottimi affari con gli emirati, diventarono anche a lungo termine per il finanziamento di progetti faraonici di dubbia convenienza economica. In realtà le banche prestavano soldi alla leggera, senza fare studi sulle reali possibilità di restituzione dei governi. Le banche viaggiavano con la certezza che “tanto i paesi non spariscono!”. Se chiare sono le ragioni che hanno spinto le banche a offrire capitali al Sud, viene da chiedersi perché i governi del Sud hanno accettato di indebitarsi così pesantemente.

Il perchè del debito
Anche se la situazione varia da Paese a Paese, schematicamente si può dire che i governanti del Sud sono stati animati da due scopi contrapposti: da un lato avviare i loro paesi sulla strada della crescita industriale e dall’altro ottenere dei vantaggi personali, sia finanziando i bilanci pubblici perennemente in deficit, perché gestiti in maniera disonesta, sia acquistando armi, sia rubando. In effetti buona parte dei soldi prestati sono finiti nelle tasche dei governanti e degli imprenditori del Sud, o meglio sui loro conti all’estero aperti presso le stesse banche che effettuavano i prestiti. Ma anche le spese fatte per rafforzare la struttura economica dei loro paesi sono miseramente fallite, soprattutto perché si basavano su una concezione pericolosa ed errata dello sviluppo. L’offerta di denaro durò per quasi un decennio e raggiunse il suo apice nel 1980, a seguito della nuova impennata del prezzo dell’ “oro nero”.

Le due facce della medaglia
Il debito ha due facce: una di festa, quando si riceve il denaro; una di lutto, dal momento in cui bisogna cominciare a restituirlo. I governi del Sud si indebitarono pensando più che altro alla festa e si spinsero oltre la loro capacità di restituzione. Così venne il tempo in cui smisero di pagare con regolarità ed entrarono nella trappola mortale del debito che alimenta se stesso. Infatti ogni volta gli interessi maturati e non pagati vengono incorporati nel debito stesso, provocando un ulteriore aumento degli interessi, in una spirale senza fine. Alla fine del 1992 il debito accumulato dal Sud del mondo ammontava a 1500 miliardi di dollari. A ciò si potrebbero aggiungere molteplici esempi (come quello dei tassi d’interesse, ndr.) che fanno capire l’entità di uno scandalo che ha visto arricchire banche, imprese finanziarie e non, speculatori, governanti corrotti, e che vede oggi i popoli chiamati alla restituzione al prezzo di un durissimo sacrificio. La parola d’ordine del Fondo Monetario Internazionale è “tirare la cinghia!”, ma per i popoli immersi da sempre nella miseria ciò significa scendere al limite dell’esistenza. Tale politica, naturalmente, si estende a tutti gli ambiti, compresi i bilanci pubblici e poiché contano più i carri armati della gente, ad essere tagliati sono proprio i bilanci dell’istruzione, della sanità, della previdenza sociale.

I boomerang del debito
I poveri del Sud pagano il debito con la morte, ma Susan George ci mette in guardia: “Il debito si sta ritorcendo anche contro di noi, abitanti del Nord del mondo”. La George elenca sei effetti negativi che chiama “boomerang del debito”:
1) danni ambientali di dimensione planetaria: i paesi del Sud, nel tentativo di ottenere sempre più risorse da esportare, permettono la distruzione delle loro foreste e l’uso intensivo di fertilizzanti e pesticidi che avvelenano suoli, fiumi e mari;
2) invasione di droghe: molti paesi, stretti nella morsa dei bassi prezzi dei prodotti di esportazione tradizionali (cacao, caffè, cotone, ecc.) e della necessità di avere valuta straniera, accettano che si espanda la produzione e l’esportazione di droghe come cocaina, oppio e marjuana;
3) perdita di posti di lavoro: un Sud costretto a tirare la cinghia, fa meno ordinazioni al Nord con inevitabile ripercussione sull’occupazione;
4) crescita dell’immigrazione: quanto più diventa difficile trovare un’occupazione e quanto più diventa grave la situazione economica del Sud del mondo, tanta più gente emigrerà verso il Nord;
5) perdite fiscali: molte banche approfittano della difficoltà di pagamento del Sud per far risultare più bassi i loro profitti. In molti Paesi, infatti, la legge consente di far risultare come perdite i prestiti di difficile rientro. In questo modo le banche dichiarano meno profitti e pagano meno tasse a discapito di tutta la collettività;
6) attentato alla pace planetaria: il debito provoca disagio e rivolte in tutto il Sud che prima o poi finiranno per coinvolgere anche il Nord (giova ricordare che Saddam Hussein invase il Kuwait proprio perché non riceveva l’aiuto sperato per i debiti contratti per fare la guerra all’Iran).


Dossier pubblicato sul numero di settembre/ottobre 1997 de «il GRILLO parlante»