[di Antonio De Falco • 21.01.04] The Dreamers - i Sognatori di Bernardo Bertolucci, stimato maestro del cinema mondiale, che a «Venezia 60» ha riscosso critiche piuttosto aspre, attualmente al Borsino dei Top Ten è al secondo posto (ottobre 2003, ndr). Perché tra i cinefili di Venezia e il pubblico nelle sale, vi è un comportamento così difforme? A cosa è dovuto ciò? Forse al ’68, per molti il tempo più rivoluzionario e fecondo della nostra storia, “tradito”, per così dire dal regista che centra il suo obiettivo su tre adolescenti, amanti del cinema (i sognatori) che giocano con il sesso e le loro ingenue attese del domani, mentre per altri,  il '68 è stata l'unica epoca in cui l'idea e l'utopia di cambiare il mondo era globale (senza dimenticare che anche oggi assistiamo a piccole e grandi rivoluzioni in cui si pensa di cambiare il mondo, magari a livello locale)...

CINEMA. SOGNARE IERI E OGGI

The Dreamers – i Sognatori di Bernardo Bertolucci, stimato maestro del cinema mondiale, che a «Venezia 60» ha riscosso critiche piuttosto aspre, attualmente al Borsino dei Top Ten è al secondo posto (ottobre 2003, ndr). Perché tra i cinefili di Venezia e il pubblico nelle sale, vi è un comportamento così difforme?
A cosa è dovuto ciò? Forse al ’68, per molti il tempo più rivoluzionario e fecondo della nostra storia, “tradito”, per così dire dal regista che centra il suo obiettivo su tre adolescenti, amanti del cinema (i sognatori) che giocano con il sesso e le loro ingenue attese del domani, mentre per altri,  il ’68 è stata l’unica epoca in cui l’idea e l’utopia di cambiare il mondo era globale (senza dimenticare che anche oggi assistiamo a piccole e grandi rivoluzioni in cui si pensa di cambiare il mondo, magari a livello locale).

L’INCONTRO CON IL REGISTA

Il titolo del film è suggestivo . Cosa sognano questi «dreamers»? I film che vedono, un altro futuro, diventare adulti? E di questi sogni sono protagonisti attivi o passivi?

Sei sempre attivo quando sogni, anche quando ne diventi vittima. Per i tre ragazzi il grande sogno è il cinema, un sogno che fai al buio però a occhi aperti. Possono salvarsi in qualsiasi situazione perché possiedono questo sogno: attraverso il cinema si sono creati un sistema, un metodo per vivere come vogliono, per trasformare tutto attraverso i film. Per questo si mettono in scena. Ricordate l’inizio? Matthew incontra Isabelle incatenata a un cancello come Giovanna d’Arco, ma lei fa solo finta di essere incatenata. In tutti e tre c’è questo desiderio di mettersi in scena, anche nel modo di vestirsi. I ragazzi di oggi hanno ancora questo piacere, ma se si vogliono vestire in modo bizzarro o trasgressivo c’è un designer che gli dà le cose già fatte, mentre allora se le inventavano da soli.
 
Perché il ’68 suscita giudizi tanto contrastanti?
 
C’è, secondo me, ancora molto vivo nelle persone il tentativo di archiviare quel periodo rivoluzionario come qualcosa di profondamente negativo. E’ un grosso errore questo, un errore storico ed un’insultante ingiustizia.
 
Cos’è che secondo lei rendeva il ’68 così universale?

Quello che è importante nel film e nel romanzo è un ‘dato’ spazio-temporale. Si parla tanto di città ‘post’: post- moderna, post- ideologica, post tutto; siamo consapevoli di vivere ‘dopo’ una grande convulsione. Il momento ricostruito nel  film – marzo- aprile del ’68 – è quello  del ‘pre’. Si cattura,  si coglie qualcosa che  sta per verificarsi, l’alba di un cambiamento indefinibile, e penso che non sia un caso che a Venezia i due principali film italiani presentati siano stati proprio “The Dreamers”  e “Buongiorno, notte”.  Uno che torna all’origine di quell’esperienza straordinaria, agli albori, e l’altro che descrive in qualche modo come quell’esperienza si è conclusa.
 
Perché secondo Lei è stata quella l’ultima grande rivoluzione internazionale?  Perché questo titolo, “I sognatori”? : cosa sognavano questi ragazzi?
 
Come ogni sogno, anche il film contiene un’esperienza vivida, intensa e così difficile da comunicare: il “dopo”, il risveglio. E’ vero: tutti credevamo di aver fallito, che il mondo fosse sempre lo stesso e che nulla era cambiato. I meccanismi che il ’68 ha innescato sono stati molto sottili, quasi impercettibili, non come gli effetti delle grandi catastrofiche rivoluzioni della Russia o della Cina, ad esempio. I valori del ’68 si sono inseriti insidiosamente nella società e si sono fatti strada lentamente, per poi trasformarsi e dare vita a molti movimenti. Il seme di tutto è stato piantato in quell’epoca e ha dato vita al movimento femminista, a quello della liberazione dei gay, al movimento ecologista e, direi, anche all’antiglobalizzazione dei giorni nostri. Sono vari  semi che sono germogliati gradualmente dal ’68 ai giorni nostri.
 
Cosa ha reso quel periodo così profondamente affascinante?
 
Non vorrei sembrare nostalgico ma, obiettivamente, penso che non ci siano stati altri momenti storici pervasi da questa specie di “ambizione eroica”. Io nel ’68 ero già grande, avevo 27 anni, e quindi avevo passato queste emozioni e vissuto quel tipo di avventure estreme già qualche anno prima, ai tempi del mio secondo film prima della rivoluzione. Quando poi è arrivato il ’68, tutti hanno vissuto cose che io avevo personalmente già superato e forse per questo ho potuto esaminarle e viverle con più serenità.
Certe reazioni un po’ sconsiderate, in cui si dice che nel ’68 non c’era nessuna utopia, che l’unica era quella della lotta armata, che in realtà erano ragazzi annoiati di buona famiglia in cerca di emozioni. Non si rendono conto che fanno un’enorme ingiustizia, un immenso errore storico: la libertà che ognuno di noi ha oggi è stata tutta guadagnata dal ’68. L’esplosione del femminismo viene da lì e il femminismo è una delle cose più importanti degli ultimi 30-40 anni! Si sono dimenticati che l’Italia, prima del ’68, era piena di impercettibili autorità: a casa i genitori, a scuola i professori e sopra di loro i presidi. Senza tralasciare il fatto che i poliziotti ti fermavano per strada se baciavi una ragazza. Era un’altra vita. Cominciò a sentirsi allora quel profumo di libertà a cui sembra ci siamo troppo abituati e non siamo più capaci di apprezzare nel suo pieno valore.

Qual è la caratteristica che lei ama di più del suo film e che, secondo Lei, lo rende così acutamente retrò?
 
 “The Dreamers” non è un film “storico”, nel senso in cui uno immagina un cinema che racconta accuratamente la storia di quel periodo. Mi sono chiuso in una macchina del tempo insieme ai miei attori e collaboratori e ho cercato sempre di coniugare il ’68 insieme con il presente. Non ho mai chiesto ai tre ragazzi di camminare come si camminava nel ’68, volevo che loro restassero quello che sono: ragazzi di oggi che si trovano a confrontarsi con i ragazzi descritti nel libro da Gilbert Adair (l’autore del libro e sceneggiatore del film) da cui ho tratto il film. Speravo si creasse un’alchimia tra loro ed era per me la cosa più importante. Non mi interessa più fare film semplicemente “storici”, mi importa sempre e solo che il passato venga messo a confronto con il presente.
 
Come pensa si possa collegare quel periodo alla storia odierna?
 
Il film è molto avaro di scene in esterni ed in quelle poche occasioni in cui si sfugge alla claustrofobia (voluta) dell’appartamento parigino si vede, a sprazzi, nelle strade qualcosa che cresce e che poi esplode nel finale. Quella carica della polizia nelle scene finali che io ho molto esteso con il digitale, avrei voluto allungarla fino ad arrivare ai tempi di Genova 2001. E’ questo il cordone ombelicale esistente tra il presente e il passato che volevo si sentisse nel film.
 
Perché secondo Lei è stata quella l’ultima grande rivoluzione internazionale? 

I valori del ’68 si sono inseriti insidiosamente nella società e si sono fatti strada pian piano per poi trasformarsi e dare vita a molti movimenti. Il seme di tutto è stato piantato in quell’epoca e ha dato vita al movimento femminista, a quello della liberazione dei gay, al movimento ecologista e direi anche all’antiglobalizzazione dei giorni nostri. Sono tutti semi che hanno germogliato lentamente dal ’68 ai giorni nostri. Oggi la libertà è sacra. Ma da dove viene, chi se lo chiede?
 
Cosa l’ha ferita di più nelle critiche piuttosto aspre dopo la prima di Venezia 60?

Questo voler impedire ai giovani di oggi di essere contagiati da un certo spirito del ’68 che c’è nel film. Attaccarlo dicendo che il ’68 non è esistito, che non conta niente, è un tentativo di impedire questo contagio. Uscendo da due proiezioni del mio film a Venezia, un giornalista ha fatto un piccolo sondaggio, e ha scoperto che chi ha tra i 18 e i 30 anni ha amato il film al 100%. Questo mi ha incoraggiato molto: spero che i giovani lo vadano a vedere, è la cosa che mi interessa di più.

Il finale del film, cioè il sasso che irrompe dalla finestra dell’appartamento significa la realtà che irrompe nel sogno dei tre ragazzi?
 
E’ la vita che li sveglia dal sogno, ma allo stesso tempo è proprio lo scambio tra il sogno e la realtà a giocare il ruolo più importante. Il primo si nutre della seconda e la condiziona. Mi sembrava proprio necessario che a quel punto succedesse qualcosa di molto forte. La realtà entra nella stanza e trascina i tre ragazzi per la strada, arriva un messaggio dalla strada che urla “dans la rue! dans la rue!” e loro vanno, vedono e ascoltano. E’ il momento in cui si rompe questa specie di perfezione, questa armonia tra i tre. Il messaggio verso i giovani sta tutto in quello che loro vorranno leggerci.
 
A chi è rivolto “The dreamers”?

A tutti, ma – in particolare – ai giovani. La mia idea è quella di contagiare i giovani con l’idea che è ancora possibile sognare. E’ un’ingiustizia storica il fatto che loro non sappiano nulla o quasi di quegli anni. E’ il mio modo di dire loro che è ancora giusto ribellarsi così come lo era trentacinque anni fa. Del resto non mi sorprende il fatto che sia nelle proiezioni collaterali di Venezia, sia nelle rassegne di Venezia a Roma che Venezia a Milano siano stati soprattutto i giovani e i giovanissimi ad interessarsi del film. Pare, invece, che ci sia un qualche problema con quelli che, invece, quegli anni li hanno vissuti…
Forse per i miei coetanei c’è un po’ l’imbarazzo della nostalgia. Quando scatta una molla del genere qualcuno si dice: “No, il 68 era molto diverso.” 

 
LA STORIA

Parigi 1968. Henri Langlois, direttore della Cinémathèque Française viene licenziato: è l’inizio di una sommossa. Studenti ed intellettuali iniziano una dura battaglia di protesta che sfocerà nel noto maggio francese. In questo contesto Isabelle e Theo, due fratelli gemelli, terribilmente legati affettivamente, spregiudicati e sovversivi delle regole, conoscono l’americano Matthew, educato rigidamente secondo i canoni protestanti, che si unirà a loro, dando inizio ad un’amicizia profonda che sfocerà in un amore a tre, passionale e senza limiti.
Mentre fuori il mondo cambia, i  tre giovani adolescenti si rinchiudono nella loro lussuosa casa e danno il via ad un’iniziazione sessuale, così le inibizioni non esistono più, il pudore lascia subito spazio alle pulsioni di corpi impazienti, pronti ad abbandonare per sempre il tempo della fanciullezza. Ma all’evoluzione delle pulsioni non corrisponde la maturità della mente: i tre sentono le voci per strada, teorizzano ideali rivoluzionari ma non scendono in via, non lottano per difendere quello in cui credono. Solo in un finale provocatorio, i tre giovani scendono in piazza, si uniscono a un corteo di manifestanti e …tirano molotov come se fossero da sempre stati in prima linea. Risulta anche ridicolo mettere in bocca all’americano Matthew parole di indignazione e di pacifismo, come se l’America potesse dare lezioni di pacifismo!!!
Insomma il ’68 c’è, ma le conclusioni che se ne traggono per quanti hanno vissuto quell’epoca in fermento, sono intollerabili. Se è vero che il regista parmense non voleva fare un film storico sul ’68, forse sarebbe stato più opportuno non scegliere questo finale così  arrogante.
Per il resto, la pellicola è  di ottima fattura, dalla regia, agli interni, alla scelta degli attori esordienti, escluso Michael Pitt (Bully di L. Clark). I tre protagonisti reggono bene la loro parte, risultando disinibiti e naturali davanti alla invadente telecamera (sembra quasi un voyeur). Certamente le citazioni, cinematografiche e musicali affascinano maggiormente in questo affresco non completamente riuscito.
Un film sicuramente adatto al nutrito popolo di cinefili: le immagini cult del passato invadono la scena collegando l’amore dei tre ragazzi per la celluloide. Da “Schok Corridor” di Sam Fuller a “La venere bionda” di Sternberg … Chaplin e tanti altri maestri di cinema. Tant’è che in un gioco dei mimi, Isabelle, Theo e Matt decideranno di ripetere la corsa nel Louvre che Anna Karina, Sami Frey e Claude Brasseur correvano in “Bande à part” di Godard. Alla fine, i tre protagonisti non fanno altro che rievocare tutto quello che non sentono o non vedono sullo schermo; una serie di indovinelli cinefili che diventano anche lo spunto per giochi erotici ai quali è impossibile sottrarsi.
Il sesso c’è e si vede nelle sue angolazioni, nulla viene nascosto, ma non è sicuramente l’estrema carnalità a irritare lo spettatore, tutto sommato non c’è nulla di così scandaloso che il mondo del cinema non abbia già immortalato. In questo molti critici hanno visto una vicinanza del film a “Ultimo tango a Parigi”, un film sicuramente estremo nella visione dei rapporti sessuali ma che a differenza di “The Dreamers”, aveva un occhio cupo e pessimista nei confronti della vita e dei rapporti di coppia.
Dopo le immagini dei film, sono sicuramente le canzoni che compongono la colonna sonora ad attirare l’attenzione della platea. Ricca di hit degli anni Sessanta, le immagini viaggiano sulle note di Hendrix, Bob Dylan, The Doors, fino al “Non, je ne regrette rien” di Edith Piaf.
Più che la storia e le immagini di Bertolucci si può dire che è la musica trascinante a condurci indietro nel tempo, a quel 1968 che, forse, avrebbe potuto raccontare di più.
 
 
SCHEDA TECNICA

The Dreamers – Regia: Bernardo Bertolucci; Sceneggiatura: Gilbert Adair; Fotografia: Fabio Cinachetti; Interpreti: Michael Pitt, Eva Green, Louis Garrel, Robin Renucci, Anna Chancellor, Florian Cadiou, Jean-Pierre Leaud; Nazionalità: Italia, 2003; Durata: 1h. 50′

CURIOSITA’

Il romanzo di Adair  ha riportato alla mente di Bertolucci dei ricordi fantastici. «Non mi riferisco tanto agli eventi del’68, alle manifestazioni di piazza e alla violenza, quanto allo spirito dell’epoca». Tanto, per ricordare,  Bertolucci aveva esordito nella poesia e aveva poi scoperto il suo amore per il cinema grazie al cinema francese degli anni 30 e poi ai registi della Nouvelle Vague. Per lui : «Gli anni 60 avevano qualcosa di magico, perché tutti noi “sognavamo” se vogliamo usare questa parola. Fondevamo cinema, politica, musica, jazz, rock’n’roll, sesso, filosofia, droghe e divoravamo tutto».