[di François Misser (Nigrizia) • 04.06.02] La cooperazione europea con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Acp) rischia a fine d'anno di arenarsi. Lo ha rivelato Poul Nielson, il commissario allo sviluppo, in occasione dell'ultimo consiglio dei ministri tenutosi a Bruxelles il 30 maggio scorso. Affinché l'accordo firmato a Cotonou nel giugno del 2000 possa entrare in vigore a gennaio del 2003, ha spiegato Nielson nel corso di una conferenza stampa, bisogna che sia ratificato entro la fine dell'anno. In caso contrario, l'aiuto a numerosi paesi s'interromperà...

COOPERAZIONE: ITALIA ULTIMA DELLA CLASSE

La questione riguarda 13,5 miliardi e mezzo di euro assegnati al nono Fondo europeo dello sviluppo (Fed) per il periodo 2002-07, ai quali si aggiungono 9 miliardi di fondi non utilizzati durante le Convenzioni precedenti, di cui la più grossa parte è stata riversata nel nono Fed. Paradossalmente saranno penalizzati proprio gli stati che hanno utilizzato meglio i fondi messi a disposizione (Botswana, Namibia e Camerun). La questione riguarda non tanto i paesi Acp, che in 55 su 77 hanno ratificato l’accordo, quanto quelli europei, visto che la procedura richiede che la totalità degli Stati membri ratifichi l’accordo… Ora, alla fine di maggio, si è ancora lontani dall’obiettivo. Solo sette Stati lo hanno ratificato, sei ne avevano annunciato l’intenzione, ma due, il Belgio e l’Italia, a Bruxelles si sono ritrovati incapaci di fornire la garanzia che i rispettivi parlamenti possano assolvere il compito. Eddy Boutmans, segretario belga alla cooperazione, ha fatto capire che il ritardo è dovuto alla straordinaria complessità del sistema federale di questo paese, che richiede che ogni accordo internazionale riceva l’avallo del senato, della camera dei rappresentanti e delle cinque assemblee regionali e comunitarie. Ha spiegato comunque che il governo federale spera di far adottare il progetto prossimamente. L’atteggiamento dell’Italia, che non ha questo tipo di problemi, è invece considerato dai suoi partner più disinvolto. La delegazione italiana guidata del direttore generale alla cooperazione allo sviluppo del ministero degli affari esteri, Giandomenico Magliano, ha semplicemente indicato che la questione è di competenza del parlamento, senza fornire altre spiegazioni. “La situazione comincia a diventare problematica. C’è veramente il pericolo che la cooperazione si areni. Sarebbe un vero disastro, sia sul piano diplomatico che per l’immagine dell’Europa e per il drammatico rallentamento degli aiuti”, ha affermato il commissario Nielson, che ha esortato i due Stati ritardatari a risolvere le loro difficoltà. Peraltro, Nielson insiste sul fatto che l’incertezza potrebbe avere degli effetti negativi sulle previsioni del budget dei paesi in via di sviluppo che contano sull’aiuto europeo per programmare le loro spese nei vari campi: salute, strade, educazione, sviluppo rurale, eccetera… Anche le procedure di gare d’appalto per l’esecuzione dei progetti potrebbero essere paralizzate. Infine, gli interventi della Banca europea per gli investimenti – amministratrice per conto dell’Ue di circa 2,2 miliardi di euro che possono essere assegnati a progetti d’infrastrutture (acqua, elettricità, telecomunicazioni, eccetera) o al finanziamento di crediti alle piccole e medie industrie – saranno anch’essi bloccati se l’accordo di Cotonou non sarà ratificato. Da buon diplomatico, costretto a un dovere di riserva verso gli stati membri dell’Unione, Nielson ha affermato di non voler credere che la lentezza italiana ad adempiere i suoi doveri sia dovuta a un atteggiamento deliberato. Alla crisi aperta dall’Italia e dal Belgio, si aggiungono per i paesi dell’Acp altre ombre che offuscano il futuro della cooperazione europea allo sviluppo. Su iniziativa della Spagna, c’è la proposta di sopprimere il Consiglio dei ministri allo sviluppo e di lasciare deliberare su questi temi il Consiglio dei ministri degli affari esteri, già sovraccarico e con preoccupazioni ben diverse. “Una tale riforma nuocerà alla cooperazione allo sviluppo poiché la sottometterà agli imperativi della politica estera. Gli obiettivi specifici della cooperazione europea allo sviluppo (la lotta per sradicare la povertà nel mondo) rischiano di essere indeboliti. Una tale decisione, presa senza un dibattito democratico preliminare, rischia di costituire un cattivo segnale per i partner Acp e del terzo mondo in generale”, protesta da parte sua Eddy Boutmans. Sarà ascoltato? Niente è meno sicuro. Gli Stati europei hanno messo la cooperazione sempre più nelle mani dei ministri degli affari esteri. Inoltre, due Stati, la Spagna e il Regno Unito, vogliono legare la concessione dell’aiuto all’impegno da parte dei beneficiari, di riprendersi gli immigrati clandestini e i richiedenti asilo le cui richieste sono state rigettate. Non è tutto: in settembre iniziano le negoziazioni per gli accordi di partenariato e di libero scambio tra l’Ue e i paesi Acp. L’Europa fa attualmente una forte pressione affinché gli Stati Acp negozino come entità regionali omogenee. Vorrebbe dire che un paese come l’isola Maurizio, che riceve attualmente aiuti in quanto Commissione dell’Oceano Indiano – ma che appartiene ad altre entità regionali come il Comesa (Mercato comune dell’Africa orientale e dell’Africa australe) o la Sadc (Comunità dello sviluppo dell’Africa australe) – dovrà negoziare gli accordi di cooperazione e di commercio in seno alla stessa organizzazione. Ciò può sembrare razionale. Ma dal punto di vista europeo, presenta anche un vantaggio: poter brandire la carota dell’aiuto per ottenere dei vantaggi commerciali, un libero accesso per la flotta di pesca, ecc… Tali trattative sono avvenute con il Marocco e il Sudafrica: hanno negoziato degli accordi d’associazione e di libero scambio con l’Unione europea che, come contropartita, ha tentato di ottenere dei diritti di pesca per le sue navi. Trattative molto più difficili se l’entità con la quale si discute dell’aiuto non ha esattamente la stessa composizione di quella presso la quale si cercano delle aperture commerciali. Non è escluso che questo genere di situazione provochi delle tensioni di tipo diplomatico. Il Congo-Kinshasa o l’Angola, sono sia membri della Sadc che della Comunità economica degli stati dell’Africa centrale. Il fatto di essere obbligati a una scelta può creare delle tensioni tra gli Stati Acp. Qualcuno potrà interpretare le scelte del vicino come un gesto di sfiducia.