In questi giorni si sta combattendo un’autentica “crociata mediatica” in difesa del crocifisso: uomini politici ed uomini di Chiesa, credenti e non (compresi coloro che – in tema di immigrazione -mettono sullo stesso piano “merci” ed “esseri umani”) si ritrovano unanimemente uniti nel dire “No!” alla sentenza del Tribunale dell’Aquila che impone la rimozione del Crocifisso da un’aula scolastica del paesino di Ofena (cronaca di questi giorni).
La questione posta in essere non è certamente di poco conto: essa può avere ripercussioni importantissime in uno Stato – quello Italiano – che si dichiara ad un tempo “laico” e profondamente “cristiano” nelle sue radici storico – culturali. E così un contenuto di carattere eminentemente religioso (si discute, infatti, del Crocifisso e del suo significato più profondo) diventa oggetto di dibattito politico, così come già avvenne ai tempi di Costantino nel 313 quando l’imperatore assunse il Crocifisso (“In hoc signo vinces”) ad emblema e vessillo delle proprie battaglie.
Tutti “a spada tratta” , dunque, in nome ed in difesa del crocifisso – simbolo per eccellenza della fede cristiana -, ciascuno portando motivazioni validissime alla propria causa e facendo ricorso persino a riferimenti di legge.
E così lo “scontro” politico – religioso sta assumendo toni ed atteggiamenti come da “insurrezione”: sentimenti di risentimento e di indignazione si stanno accendendo negli animi della nostra gente contro gli “invasori” che pretendono di imporrete le “loro” regole sulle “nostre”. “Ma per fortuna – viene detto – siamo noi la maggioranza!”. E così il destino del Crocifisso – ancora una volta – è posto nelle mani di una maggioranza che – si teme e si sussurra – potrebbe però cambiare fra non molto tempo.
In mezzo a tanto clamore e a tanto discutere, mi sono posto una domanda molto semplice: Che cosa direbbe Gesù? Quale atteggiamento assumerebbe Egli e quali indicazioni darebbe a tutti coloro che ad ogni costo lo vorrebbero reintegrare al suo posto, e cioè su quel muro?
E così si sono fatte strada nelle mia mente alcune parole “scomode” che Gesù pronunciò rivolgendole a coloro che desideravano seguirlo e che lo stavano ascoltando attentamente: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6, 27-28). E per non essere vago o frainteso Gesù esemplifica concretamente ciò che intende affermare e chiedere a coloro che gli stanno più appresso: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica” (Lc 6, 29) . “E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due” (Mt 5, 41). Parole, queste, che sono spesso disattese, non prese in seria considerazione e per nulla messe in pratica proprio da molti tra coloro che si professano cristiani, ma che sono, in verità, l’esatta descrizione di come Gesù ha risposto all’ingiuria perpetrata nei suoi confronti, un vero programma di vita per sé e per coloro che in Lui avrebbero creduto: “Maltrattato si lasciò maltrattare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione ed ingiusta sentenza fu tolto di mezzo” (Is 53, 7-8).
E ripensando a tutti coloro che prendono oggi le difese del Crocifisso, mi sono ritornate alla mente le severe parole pronunciate da Gesù nei confronti di Pietro “Lungi da me, Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 9, 33). Di fronte al tentativo di Pietro di distogliere Gesù dal suo tenace intento di salire a Gerusalemme, là dove lo attendevano gli eventi della Passione, Gesù prende la Parola. E’ chiaro ed è certo che Pietro con tutto se stesso si oppose alla passione che attendeva il Figlio dell’uomo. La sua genuina intenzione era quella di prendere le difese di Gesù. Ma è Gesù in persona che – pronunciando Parola – rimprovera severamente Pietro per la sua incapacità di riconoscere e vivere il misterioso disegno di amore di Dio per gli uomini che deve compiersi affinché loro possano essere davvero salvati. Ed è proprio nel drammatico racconto dell’arresto di Gesù – avvenuto nell’orto degli ulivi – che si raggiunge l’apice di questo infausto tentativo di difendere Gesù: lì si è arrivati persino ad utilizzare la forza e la violenza, che altro non sanno produrre se non ulteriori tensioni e spargimento di sangue, ieri come oggi: “Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio” (Mt 26, 51). Tentativo di difesa della persona di Gesù che Gesù stesso condanna “Rimetti la spada nel fodero … Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di Angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?” (Mt 26, 52-54).
Non dobbiamo dimenticare poi che la tentazione di porre se stesso in salvo raggiunge lo stesso Gesù “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice” (Mt 26, 39); tentazione che Gesù supera attraverso il pieno affidamento di sé nelle mani del Padre “Però, non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26, 39); affidamento pieno e definitivo che si compie per Gesù stendendo le proprie braccia sulla croce “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46).
Ecco perché in questo tentativo di difendere il Crocifisso – oltre agli interessi biechi di tipo elettoralistico ed alla profonda non conoscenza biblica (“Ignoratio scripturae, ignoratio Christi est”) – scorgo drammaticamente presente e palpabile, nell’inconscio dei cristiani, il viscerale timore di una possibile futura persecuzione, nonché lo scaramantico tentativo di allontanarla dalla propria vita: la paura della persecuzione anima i pensieri, le parole ed i gesti di molte persone che si dicono cristiani, i quali, però, si sono certamente dimenticati che è proprio Gesù Colui che dichiara “beati” quanti sono nella persecuzione “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Mt 5, 11-12). E’ ciò è così vero ed attuale oggi che con S. Paolo potremmo dire “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8, 21-39). E’ da ricordare – per inciso – che il contesto storico di persecuzione in cui scriveva S. Paolo è per certi aspetti diverso dal contesto storico italiano odierno. Ecco perché diversi mi sembrano i linguaggi ed i riferimenti messi in campo: nel contesto di persecuzione in cui scriveva Paolo il linguaggio rimanda all’esperienza di amore tra Cristo e la sua Chiesa; in un contesto “concordatario” il rimando viene fatto alle leggi dello Stato che dovrebbero tutelare significati e diritti acquisiti per tradizione.
Ritengo, pertanto, che nei confronti del Crocifisso si debba avere il massimo rispetto e la massima considerazione per la fede che diciamo di professare in Cristo, nostro Signore: il Crocifisso non va brandito come una spada, né va posto sullo scudo di un’armatura, né tanto meno deve essere piantato a terra o issato su un muro come il segno di una conquista avvenuta, ma come ha ben detto il Papa – nel saluto ai pellegrini italiani durante l’udienza di mercoledì 29 ottobre scorso – il Crocifisso va compreso, perché esso è “simbolo di conforto e di speranza, sorgente di luce per gli uomini di tutti i tempi”, che non può certamente essere imposto o difeso per legge, bensì unicamente accolto e testimoniato agli altri con la propria vita. Dalla croce, infatti, il Crocifisso ci consegna unicamente la missione del perdono attraverso la richiesta di un di un incondizionato perdono “ Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34), e ci dona lo stesso Spirito di Dio (Gv 19, 30) per mezzo del quale siamo resi capaci di avere in noi gli stessi sentimenti che furono del Cristo crocifisso: “Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me…E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù” (Rm 15, 3.5).
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