[don Vitaliano Della Sala • 25.12.04] Carissime sorelle e fratelli della mia parrocchia virtuale, anche quest´anno il nostro presepe è "strano", particolare, ma significativamente raccoglie una provocazione quasi profetica che ci viene dalla cronaca delle ultime settimane: l´autoriduzione o la spesa sociale...

DON VITALIANO DELLA SALA: «È NATALE?»

Carissime sorelle e fratelli della mia parrocchia virtuale (www.donvitaliano.it), anche quest´anno il nostro presepe è “strano”, particolare, ma significativamente raccoglie una provocazione quasi profetica che ci viene dalla cronaca delle ultime settimane: l´autoriduzione o la spesa sociale. Un gesto che, lo si condivida o meno, comunque costituisce lo spunto per una riflessione seria sul carovita, sulla precarietà, sulle ingiustizie dell’economia, dei mercati e del profitto egoistico, sulle mille disuguaglianze sociali ed economiche, sproporzionate tra persona e persona e tra nazione e nazione. Il nostro presepe come il primo presepe di San Francesco a Greccio, anche il nostro fa incarnare Gesù nelle contraddizioni dell’oggi. Il nostro presepe racconta di povertà (e come potrebbe raccontare altro!); parla di noi e dell’impoverimento che colpisce tutti, ma soprattutto i più poveri, colpisce i nostri acquisti e il nostro consumo; è un presepe che parla, ancora una volta, degli effetti nefasti della globalizzazione dei mercati e del neoliberismo sfrenato, che assomiglia sempre più ad un ingranaggio folle capace di stritolare e umiliare le nostre esistenze. Parla di quanto stia diventando “caro” vivere. Per descrivere i costi della vita ci sono i dati e le statistiche più o meno ufficiali redatte dell’Istat, dalle associazioni dei commercianti e da quelle dei consumatori, ma la migliore statistica la compiliamo noi stessi quando facciamo la spesa nei negozi e al supermercato. La povertà comincia a toccarci da vicino. Per carità, nulla di paragonabile alla povertà che si vivono addosso i cittadini del sud del mondo e dei tanti sud del nostro nord e delle nostre opulente metropoli, ma anche noi cominciamo a fare una certa esperienza di povertà.

Una certa esperienza di povertà. I poveri da sempre ci hanno insegnato che quando non possiedi nulla, prendere, appropriarsi, espropriare, “rubare”, non è un reato né un peccato, ma è un diritto. Anche Giuseppe a Betlemme dovette espropriare ed occupare una stalla per permettere a Maria di partorire Gesù, perché per loro, troppo poveri, “non c´era posto negli alberghi”. Qualche anno dopo Gesù, cresciuto, avrebbe giustificato e difeso i suoi discepoli che “rubavano” spighe nei campi per sfamarsi. Siamo veramente certi che invece oggi Gesù condannerebbe chi “ruba” per sopravvivere? Sicuramente denuncerebbe con forza altri ladri, già ricchi, che rubano per arricchirsi di più, che speculano sulle disgrazie degli altri, che succhiano la vita ai poveri, e che non sono incriminati da nessun tribunale. Siamo veramente certi che Gesù non difenderebbe chi si arrangia per campare e chi si ribella a una vita di stenti?
 
E non giustificherebbe chi provocatoriamente e simbolicamente “prende” dagli scaffali stracolmi dei supermercati per denunciare l´ingiustizia della povertà, l´aumento sproporzionato dei prezzi, per rivendicare una redistribuzione equa delle risorse, per chiedere prezzi più accessibili?

Come sempre Gesù continua a nascere per essere coinvolto fino in fondo con le contraddizioni che stiamo vivendo. E nel nostro presepe accanto ai Santi pastori e ai Santi angeli, c´è un nuovo personaggio, “San Precario”. Ecco perché Gesù quest’anno nasce spingendo uno dei tanti carrelli della “spesa sociale”: quella simbolica dei disobbedienti e quella reale dei troppi poveri, che senza clamore, lontano dalle telecamere dei telegiornali e da quelle a circuito chiuso dei supermercati, “rubano” per sopravvivere dignitosamente. Da che parte stare “Non date mai ai poveri ciò che è vostro; semplicemente restituite loro ciò che gli appartiene e che gli avete rubato. Perché ciò di cui vi siete appropriati fu dato da Dio per l’uso comune di tutti. La terra è stata data a tutti, non solo ai ricchi”. Con queste parole sconvolgenti di Sant´Ambrogio, raccolte da papa Paolo VI nell’enciclica Populorum Progressio del 1967, la Chiesa sceglieva chiaramente da che parte stare: dalla parte dei poveri. Mi sono confrontato a lungo con i documenti del Magistero della Chiesa, con un insegnamento che non tentenna nell’affermare l’assoluta priorità per il cristiano di farsi prossimo a chi non ha prossimo. Accettare fino in fondo il Vangelo di Nostro Signore e l´insegnamento della Chiesa ci deve portare a denunciare fermamente l´imperante ondata di egoismo che schiaccia inesorabilmente i poveri e ci deve far andare controcorrente rispetto al dilagante perbenismo ipocrita da benpensanti; ci deve porre, inoltre, di fronte ad un dissidio inconciliabile: l´impossibilità di rispettare le leggi dello Stato innalzate come muro ad arginare la massa dei poveri e dei disperati che preme per ottenere una vita più dignitosa.

Il natale degli eretici. In fondo è un ritorno alle origini del cristianesimo, a quella notte di Natale di duemila anni fa, notte che riviviamo ogni anno, quando Dio stesso scelse di stare dalla parte dei poveri, degli esclusi, degli scarti della storia e della società. I poveri pastori, considerati delinquenti ed eretici dai benpensanti di allora – come scrive padre Alberto Maggi nel suo bel libro “Nostra signora degli eretici” – furono i primi a ricevere lo scoop divino: Dio, l’Infinito, l’Ineffabile, l’Inafferrabile, l’Altissimo, il Perfettissimo, il Santissimo, il Totalmente Altro … aveva scelto di nascere tra gli uomini e anziché in un palazzo reale – udite, udite! – aveva preferito nascere in una stalla. A quel tempo ai pastori non viene riconosciuto nessun diritto, nemmeno quello di pentirsi dei peccati; sanno che quando arriverà il Messia li castigherà per primi, li sterminerà senza appello. Per questo l´angelo che annuncia loro l´avvenuta nascita del Messia, ha dovuto prendere delle precauzioni: “Non abbiate paura (Luca 2, 10), questo Messia non ha niente a che vedere con quello che vi aspettate e temete! Non mette paura; andate a vedere: non è un giudice in trono, ma un bambino, nato sulla paglia, proprio come voi… tra le bestie! E sono andati. E hanno visto. Una speranza anche per loro, i paria di Israele” (A. Maggi). Il bambinello straccione Dio sceglie di nascere straccione tra gli straccioni! Ma che il Bambino Straccione di Betlemme, figlio di straccioni, sia anche il figlio di Dio urta contro la nostra “sensibilità” e contro la nostra troppo unilaterale idea di Dio. In fondo, è più comodo considerarci a “immagine e somiglianza” di un dio potente che del Dio Straccione, e forse proprio per questo facciamo tanta fatica a vedere Dio nel povero, nell’emarginato, nel diverso, nell’escluso, nel “ladro” per necessità. Ma siamo noi i veri ladri: abbiamo “rubato” Natale al povero Cristo e ai tanti, troppi, povericristi, e lo abbiamo trasformato in una festa consumistica di luci e di abbuffate, escludendo i veri protagonisti, i poveri. Senza ipocrisia dovremmo ammettere che ci manca il coraggio di restituire Natale a Gesù Cristo e ai poveri. A quei poveri che non sanno più o non sanno ancora che Natale appartiene a loro: al bambino africano o irakeno che vediamo in televisione, stremato dalla fame e dalla guerra e a sua madre che lo guarda morire; alla schiava bambina costretta alla prostituzione; al malato terminale di Aids privato della dignità della sua malattia; al disoccupato e al precario che tenta il suicidio; al tossicodipendente che vede eroina e solo quella nel suo domani; al malato di mente, al portatore di handicap, al detenuto, al migrante, al barbone, al pensionato, all’operaio, all’impiegato che, col suo stipendio, stenta ad “arrivare alla fine del mese”. Dovremmo trovare il coraggio di restituire il Natale che abbiamo rubato, espropriato ai poveri e che, per tanti versi, non ci appartiene più. Il caro vita e la precarietà, pur restando tra le ingiustizie a cui dobbiamo ribellarci, ci aiutano a vivere il Natale più poveramente e, in un certo senso, ci costringono a condividerlo con i poveri ai quali il Natale appartiene. Se con i poveri riusciremo a condividere anche i nostri carrelli della spesa, acquistata o espropriata, allora sarà veramente Festa per tutti. E quindi… buon Natale!

DON VITALIANO DELLA SALA