[Autori Vari • 15.12.03] Una notizia buona c'è, a proposito delle elezioni presidenziali in Guatemala del 9 novembre scorso: Efraín Ríos Montt, l'ex dittatore genocida al potere tra il 1982 e il 1983, non ce l'ha fatta a superare il primo turno. Non gli è stato sufficiente centrare l'impresa di farsi iscrivere come candidato alle elezioni presidenziali, malgrado l'espresso divieto costituzionale, dopo aver collocato suoi fedelissimi nei posti chiave del Tribunale Supremo...

ELEZIONI. AL GUATEMALA NON RESTA CHE SCEGLIERE TRA DUE MALI

Una notizia buona c’è, a proposito delle elezioni presidenziali in Guatemala del 9 novembre scorso: Efraín Ríos Montt, l’ex dittatore genocida al potere tra il 1982 e il 1983, non ce l’ha fatta a superare il primo turno. Non gli è stato sufficiente centrare l’impresa di farsi iscrivere come candidato alle elezioni presidenziali, malgrado l’espresso divieto costituzionale, dopo aver collocato suoi fedelissimi nei posti chiave del Tribunale Supremo. Non gli è stata sufficiente neppure la campagna di minacce, intimidazioni e violenze scatenata dal suo partito, il Fronte Repubblicano Guatemalteco (Frg), attualmente al governo (quasi tremila le persone assassinate nei primi nove mesi dell’anno, con un aumento dei crimini del 163% rispetto all’anno precedente). Perché, malgrado i forti timori di disordini, la popolazione si è recata massicciamente alle urne per votare contro l’ex genocida. E l’ha potuto fare – sicuramente anche grazie al vero e proprio esercito di osservatori nazionali e internazionali incaricati di vigilare sul processo elettorale – senza le temute violenze da parte degli ex membri delle pattuglie di autodifesa civile, disciplinatamente allineati al governo, che in cambio aveva promesso loro (a loro, non alle vittime) un risarcimento per i servizi prestati all’epoca della guerra civile (durante la quale parteciparono direttamente a massacri e violazioni dei diritti umani). Qui, tuttavia, per il popolo guatemalteco finiscono le buone notizie. Perché al ballottaggio, il prossimo 28 dicembre, andranno comunque due esponenti della destra: Oscar Berger del Gana, Grande Alleanza Nazionale, rappresentante dell’oligarchia e Álvaro Colom della Une, Unità nazionale della speranza, variegata ed ambigua coalizione tra le cui componenti si può cogliere anche quella sociademocratica. La vera sfida delle elezioni era, insomma, tutta interna al grande capitale: quella, cioè, tra la tradizionale oligarchia rappresentata dal Gana (ma presente anche nella Une), ultimamente estromessa dal potere politico, e i settori emergenti legati all’Frg, arricchitisi in maniera illecita attraverso il narcotraffico, il riciclaggio di denaro e il crimine organizzato. Il paradosso, dunque, come afferma Marcelo Colussi dell’Argenpress, è che l’oligarchia tradizionale aveva come avversario non la ex guerriglia o qualche altra formazione politica dalle preoccupazioni più o meno vagamente sociali, ma “il capo dell’esercito che anni fa, in mezzo a una sanguinaria guerra anti-sovversiva, aveva vegliato sulle sue proprietà”. Un avversario che, per l’occasione, aveva condotto “in questa campagna un discorso populista basato sulla ‘difesa dei poveri’ contro ‘la prepotenza dei ricchi'”.  Per quanto sconfitto, Ríos Montt manterrà tuttavia un considerevole numero di deputati e di municipi e potrà sempre giocare la carta dell’accordo politico, a cui, secondo diversi osservatori, Colom potrebbe piegarsi. Quanto all’unico partito di sinistra, la ex guerriglia dell’Urng (Unione rivoluzionaria nazionale guatemalteca, trasformatasi in partito dopo la firma degli accordi di pace nel 1996), non è andato oltre un misero, deludente 1%, certamente anche a causa di un sistema elettorale fatto su misura per le forze di destra. Per quanto sia importante, dunque, che la popolazione guatemalteca sia corsa in massa a votare per impedire a un ex genocida di diventare presidente, per quanto netto sia stato il suo no all’impunità e alla corruzione che hanno caratterizzato il governo dell’Frg, resta il fatto che nessuna delle due forze che disputeranno il ballottaggio ha a cuore il compimento degli Accordi di pace, mai così traditi come negli ultimi anni (malgrado i ripetuti appelli della Chiesa cattolica guidata dal card. Rodolfo Quezada Toruño e delle forze sociali e popolari). E che nessuno dei due candidati alla presidenza penserà minimamente a cambiare quella struttura economica che fa del Guatemala uno dei Paesi con maggiore disparità nella distribuzione del reddito e con peggiori indici sociali. Viva soddisfazione è stata espressa dagli Stati Uniti, che, trovandosi di fronte due candidati ugualmente graditi, si sono potuti permettere, una volta tanto, di mostrare grande rispetto per la sovranità nazionale: “la decisione su chi sarà il prossimo presidente del Guatemala – ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Richard Boucher – spetta naturalmente al popolo guatemalteco”. (da Adista n° 82 del 22.11.03 – www.adista.it )
 
 
PADRE CLEMENTE: «Questo Paese è stato devastato dalla guerra civile e tutti ora vogliono solo dimenticare. Ma la memoria è medicina per il futuro».
Il sacerdote d’origine maya: «La gente ha ancora troppa paura del passato»

di Emanuele Rebuffini (AVVENIRE) 09.11.03
 
È stata una campagna elettorale difficile, che ha visto il ritorno sulla scena dell’ex-dittatore Efrain Ríos Montt, il candidato del Frg, il Fronte repubblicano guatemalteco, ovvero il partito governativo. Ríos Montt partecipò al colpo di Stato del 1982 ed è considerato il principale responsabile della feroce repressione conosciuta come “operazione terra bruciata”, volta a cancellare le popolazioni maya e la loro stessa cultura. Padre Clemente Peneleu Navichoc è parroco a Sacapulas, nel Quichè, ed è uno dei pochi sacerdoti cattolici maya. «Ríos Montt è un genocida e un etnocida – spiega -. Fu lui a creare le Pac (Pattuglie di autodifesa civile). Per le persone più anziane, però, rappresenta colui che ha salvato il Guatemala dal comunismo, cercando di mettere ordine e armando il popolo affinché potesse difendersi. Per molti è un “salvatore”. La gente non sa nulla del suo passato di golpista, non sa neppure che cosa sia un colpo di Stato. E poi non dimentichiamo che Ríos Montt è predicatore di una setta fondamentalista, abilissimo a tenere comizi, dove afferma di essere stato mandato da Dio e distribuisce cibo e sementi». Il Guatemala sembra dunque correre il rischio di non chiudere i conti con il proprio passato. «Faccio un esempio – prosegue padre Clemente -. Il 16 ottobre in un pueblo dove ero stato parroco, San Pedro Jocopilas, hanno iniziato le esumazioni dei resti delle vittime della guerra civile. Fino a quel momento gli abitanti non ne volevano sapere, avevano paura di sapere. È come una piaga, che non può guarire se la lasci imputridire. Ho il privilegio di essere parroco in un luogo che è stato luogo di martirio: sull’altare dove celebro la messa sono state torturate e assassinate delle persone. La terra del Guatemala è un luogo sacro per il sangue dei martiri». Padre Clemente sottolinea, però, il segno di una grande speranza: «Noi sacerdoti indigeni – conclude – abbiamo sempre recitato la preghiera maya prima della messa, salutando i quattro punti cardinali e ringraziando il cuore del cielo e della madre terra. Solo che prima lo facevamo senza farci vedere dalla gente, oggi, invece, non abbiamo più alcun timore: tra fede cattolica e spiritualità maya non c’è contraddizione, perché per la gente Cristo è maya e si è sacrificato per loro». 
 

GUATEMALA. TESTIMONIANZA DI UNA GIORNATA ELETTORALE
 
(Nebaj, Guatemala. 9 novembre 2003) Sono da poco passate le 5 del mattino, è ancora buio e sta piovendo. I seggi dovrebbero aprire fra poco piu’ di un’ora, ma le persone in fila davanti alle 33 “mesas de votaciones” sono gia’ tantissime. E continuano ad arrivare in paese camion stracarichi di gente. I camion li pagano i partiti che cosi possono trasportare affiliati vecchi e dell’ultima ora fino ai centri di votazione, ricordando a tutti, durante il tragitto, per chi dovranno votare. Le mesas sono disposte un po’ ovunque. La maggioranza nella piazza centrale, al riparo sotto improvvisate tettoie di lamiera; i piu’ fortunati all’interno del salone comunale. Le persone in coda, però, sono ancora tutte sotto la pioggia: chi si ripara con teli di plastica, chi con cappelli, ma la maggior parte se ne sta li ferma a prendersi l’acqua. Ci sono pochissimi ombrelli. Le code sono serratissime, tanto che le persone sono letteralmente una appiccicata all’altra. Un’impresa passarci attraverso per raggiungere i vari centri di votazione e controllare le operazioni di apertura dei seggi. Le persone a cui chiedo il permesso di passare mi guardano di traverso e gli si legge negli occhi il timore di perdere il posto faticosamente conquistato, spostandosi. Da parte mia la paura e’ che togliendo un componente da quello che sembra essere un’unico, lungo corpo, tutti gli altri cadano a terra, come tessere di un domino. Intanto alla luce delle pile si controlla che gli scatoloni arrivati dagli uffici del Tribunale Supremo Elettorale (TSE) contengano tutto il materiale necessario. Piu’ di tutto sembra preoccupare la presenza e il funzionamento del famoso inchiostro indelebile con cui si dovra’ segnare il dito dei votanti. Un’ora, poco piu’, ed iniziano ad aprire i primi seggi. Scelgo la mesa n. 23 e mi metto ad osservare, dato che sono qui per questo. Il primo della fila si avvicina al tavolo, documenti alla mano e sorriso vittorioso stampato in viso. Il segratario prende i documenti, li controlla, controlla il registro…ricontrolla i documenti e di nuovo il registro. Inizia a parlottare con il presidente del seggio, si avvicinano i delegati di partito… Chiedo cosa stia succedendo e mi rispondono un po’ imbarazzati che nonostante i documenti del signore sembrino in regola, il suo nome non compare nel registro. “deve esserci stato un errore” aggiunge il segretario e riconsegna i documenti al proprietario, che nel frattempo aveva perso il sorriso, invitandolo a recarsi presso gli uffici locali del TSE, riscriversi, e ritornare in coda per votare. Di che scoraggiarsi dopo ore di fila sotto la pioggia. Il poveretto si allontana senza una parola, troppo afflitto per replicare qualsiasi cosa. Due, tre, quattro… Sui primi 15 votanti la storia si ripete per 7. Faccio un giro fra i tavoli e mi rendo conto che il problema e’ generale; in tutti, chi piu’ chi meno, sta succedendo la stessa cosa. Inizia a serpeggiare un po’ di, comprensibile, malumore e a circolare una serie varia e diversificata di spiegazioni dell’accaduto.  In realta’ nessuno, nemmeno i rappresentanti del TSE sa spiegare il perche’ del problema e chiunque cerca di suggerire verita’ e soluzioni. Sempre con la stessa modalita’, passando di bocca in bocca, (mi sorprende sempre la velocita’ di circolazione delle notizie) verso le 9 arriva la notizia che a Chajul e’ successo qualcosa di grave. Disordini, feriti, morti, la PNC (Policia Nacional Civil)… Come in un telefono senza fili la notizia si accresce di nuovi particolari a ogni passaggio. Decido di andare negli uffici di Minugua (la missione Onu per il Guatemala) per capirci qualcosa. Un incidente e una negligenza da parte della PNC: 2 morti. (una terza persona morira’ piu’ tardi in ospedale). Due donne sono rimaste travolte e schiacciate dalla folla che cercava di entrare in uno dei due centri di votazione. La polizia non aveva previsto e pensato di organizzare l’accesso dall’unica porta d’ingresso, limitandosi ad aprire imporvvisamente il portone. Le persone che si trovavano in cima alla fila, praticamente attaccate al portone erano cadute a terra e il resto della folla gli era passato sopra. Quando arrivo sul posto, verso le 10, un poliziotto commenta l’accaduto dicendo che le due signore erano vecchie, e non avrebbero dovuto andare a votare. Una di loro aveva 45 anni, l’altra circa 60. Non c’e’ traccia della tragedia. La scena che mi si presenta davanti agli occhi e la stessa lasciata a Nebaj, con l’unica differenza che qui le donne e gli uomini sono disposti su file differenti. Salta subito agli occhi la stragrande maggioranza di presenze maschili. Anche il malumore e’ lo stesso di Nebaj ed e’ dovuto agli errori nei registri dei votanti. Se ogni tanto un coro di voci sembra farsi piu’ minaccioso ed alza la voce e’ solo per gridare “Cola! Cola!” quando qualcuno cerca di fare il furbo e passare davanti agli altri. Rimango perplessa. Come se fosse normale morire cosi; come se fosse normale uscire al mattino per andare a votare e finire schiacciata dalla folla delle persone che come te, sono li per quello. “Morta nell’esercizio del diritto di voto”. Nel corso della giornata il panorama non cambia molto nei tre comuni del cosiddetto triangolo Ixil, la zona che mi e’ stata “assegnata” per la mia osservazione elettorale. Tutto si svolge lentamente, con una lentezza che io trovo esasperante ma che la folla sembra saper sopportare molto meglio di me. Ci sono incidenti, qua e la’, soprattutto fra simpatizzanti di partiti rivali. A Cotzal, passando davanti alla sede del Frg (Frente Repubblicano Guatemalteco) vengo insultata per rappresentare la Fondazione Menchu’, che notoriamente non ha buoni rapporti con il partito ufficiale. Ricevo varie segnalazioni di irregolarita’: rappresentanti del Frg che distribuiscono soldi in cambio di voti; persone decedute che appaiono nei registri; la presidentessa di un seggio che distribuisce ad alcuni votanti 2 schede per il voto presidenziale invece che una… Passo, chiedo, per quanto possibile controllo, ma alla fine l’unico strumento che possiedo per valutare la fondatezza o meno delle segnalazioni ricevute e’ la faccia piu’ o meno contenta che mi fanno quando mi vedono apparire, quando entro ai seggi. E non posso certo farla passare per una forma di valutazione o giudizio infallibile! Alle 18, orario previsto per la chiusura dei seggi, la gente in attesa e’ ancora tanta e i rappresentanti del TSE decidono di continuare almeno fino a smaltire le cose gia’ esistenti. Ancora un’ora, per alcune mesas due. Per lo spoglio dei voti e’ stata richiesta la mia presenza a Chajul, dove si temono disordine nella notte. Quando arrivo il piazzale antistante i centri di voto e’ ormai deserto e lo scenario, al buio, sotto la pioggia, mi sembra quasi surreale. Il piazzale e ‘ pieno di oggetti: cappelli (sombreros bianchi, da uomo), resti di cibi vari, gli immancabili sacchetti di plastica con cui avvolgono e contengono tutto da queste parti. E scarpe, tantissime scarpe di gomma, quelle che usano le donne delle comunita’ rurali e che a me ricordano quelle delle bambole della mia infanzia. Potrebbe sembrare l’immagine di un dopo festa, come dopo un concerto. Non fosse che no riesco a dimenticarmi che li, quella stessa mattina, hanno perso la vita tre persone.
Lo operazioni di spoglio dei voti si svolgono con lo stesso ritmo lento di quelle di voto, ma in modo regolare e tranquillo. Si comincia dal conteggio dei voti per il sindaco, il risultato sicuramente piu’ atteso nei comuni. Verso l’una del mattino a Chajul viene comunicata la vittoria del candidato del Frg. Gli avversari, dell’alleanza Gana, ricevono la notizia manifestando delusione, ma senza atti violenti. In albergo, davanti alla televisione, vengo a conoscenza di quanto accaduto nel resto del paese. L’affluenza alle urne e’ stata massiccia, almeno per un paese abituato al forte astensionismo.  Il problema degli errori nei registri si ‘e presentato a livello nazionale. In alcune parti del paese, pero’, la gente doveva essere un po’ meno paziente che in altre, e ha reagito dando fuoco alle urne. Altre urne sono state bruciate, ma, pare, per scongiurare una vittoria non gradita. Un rappresentate del partito della Une (Unidad Nacional de la Esperanza) e’ stato assassinato. Il generale Rios Montt e’ stato accolto da fischi e insulti mentre si recava a votare. Berger, invece, ha ricevuto abbracci e richieste di autografo. Il TSE non riesce ancora a fornire una spiegazione plausibile alla numerosa presenza di errori, ma tutti minimizzano l’accaduto, sottolineando che si e’ trattato semplicemente di errori di organizzazione. Tutti, in effetti, sembrano aver voglia di lodare piu’ che di recriminare. La paura che queste votazioni potessero scatenare chissa’ quali probemi, paura suffragata da una campagna elettorale problematica e violenta,  e’ stata tanta e tale che ora tutto viene coperto da un velo di ottimismo incontenibile. Una fiesta civica quella do oggi, ripetono tutti, sorridendo.

A una settimana dalle votazioni i toni esaltati si sono andati smorzando, via via che arrivavano le notizie anche dalle parti piu’ remote del paese. In molti luoghi i risultati sono stati contestati, denunciate frodi e irregolarita’. In circa una decina di comuni il TSE ha deciso che si ripetera’ il voto. Tutto sommato, pero’, l’atmosfera rimane di ottimismo. Il generale Efraim Rios Montt, l’ex dittatore accusato di genocidio, non e’ riuscito ad andare al ballottaggio (fino a pochi giorni prima delle votazioni affermava convinto, o tentando di convincere, che avrebbe vinto alla “primera vuelta”). Da lui ancora nessuna dichiarazione.  Ci si chiede chi appoggera’ il suo partito  per il  ballottagio. Ma, soprattutto, ci si chiede come si comporera’ lui ora che perdera’ l’immunita’.
Per il resto la campagna elettorale e’ ripresa per i due contendenti rimasti, Berger e Colom. Ora che si sono liberati dall’ombra, a volte comoda, del vecchio generale, sbandierata come l’emblema di tutti i mali (come se fosse difficile sparare a zero su un ex dittatore genocida, e un governo notoriamente corrotto) hanno cominciato ad insultarsi fra loro. Non mi pronuncio personalmente sui due candidati rimasti, ma voglio riportare il commento di un signore, conosciuto in autobus al ritorno da Nebaj. “Ho votato Berger”, mi spiegava convinto, “perche’ e’ cosi ricco che di sicuro non avra’ bisogno di rubarsi anche i soldi dello Stato”. (Fabiana Maffeis, Osservatrice elettorale internazionale per la Fondazione Rigoberta Menchu’)