[di Ettore Masina • 22.07.03] Mi è toccato vedere, nei miei viaggi, come le siccità sfigurino il volto della Terra, lo trasformino in un'orrenda vecchiezza, fatta di rughe profonde e di ispidi peli. Ho visto alberi scheletriti e bestiame tremante; bambini che potevano considerarsi fortunati se il seno delle madri riusciva ancora a dissetarli e sfamarli...

ETTORE MASINA: SICCITA’

Mi è toccato vedere, nei miei viaggi, come le siccità sfigurino il volto della Terra, lo trasformino in un’orrenda vecchiezza, fatta di rughe profonde e di ispidi peli. Ho visto alberi scheletriti e bestiame tremante; bambini che potevano considerarsi fortunati se il seno delle madri riusciva ancora a dissetarli e sfamarli. Tutto questo mi è toccato vedere in Africa, in Asia, in America Latina. In Europa, no, naturalmente, e dopo quei viaggi mi capitava di spiegare agli italiani che mi concedevano attenzione, che in immense aree del pianeta, un uomo (una donna, un bambino) hanno a loro disposizione per  bere, lavarsi e cucinare, tanta acqua quanta noi ne sprechiamo tenendo il rubinetto aperto mentre. ci laviamo i denti. Mi ricordo il profondo senso di incredulità con cui ascoltai, una dozzina d’anni fa, un ingegnere che lavorava per la Banca Islamica, mentre mi raccontava di un grandioso progetto di riforestazione dell’Africa Settentrionale, dal Fezzan al canale di Suez. Il Sahara sarebbe tornato a verdeggiare come nei tempi antichissimi, ma l’Italia , nel giro di una generazione, si sarebbe desertificata sino alla Toscana. Il progetto, giurava l’ingegnere, era stato abbandonato per quel senso di compassione e di responsabilità che permea la fede dell’Islam.
 
Stivale a secco
Non siamo ancora a questo, grazie al Cielo, ma i nostri telegiornali sono diventati angosciosi bollettini della crescente siccità. Per un quarto del loro tempo (in un giornale “scritto” equivarrebbe a circa 15 pagine) ci mostrano letti di fiumi in secca, pannocchie abortite, vigne desolate e centrali idroelettriche in crisi di funzionamento. Un tam tam quotidiano batte il ritmo della desolazione. In parte si tratta di furberia dei direttori delle reti berlusconiane, RAI e Mediaset. E’ in atto nei partiti di maggioranza una  interminabile Notte dei Lunghi Coltelli: meglio parlare d’altro. Del resto, sono mesi e mesi  che i telegiornali invece di “aprire” con la politica, come ogni altro quotidiano, ricorrono alla cronaca: mai abbiamo avuto tanti particolari su incidenti stradali e uxoricidî come da quando l’industria italiana è in crisi, l’Amico Bush e l’Amico Blair vengono sbugiardati e la pax  americana in Iraq si è trasformata in una macabra emorragia di soldati. Tuttavia è un fatto: la siccità c’è, eccome!, e già si comincia a parlare di tropicalizzazione dell’Italia, e si torna a parlare di riscaldamento generalizzato dell’atmosfera con conseguente scioglimento dei ghiacci polari ed altri terribili disastri. Per secoli l’uomo ha cercato di vivere in simbiosi con la natura, poi di trasformarla localmente per ricavarne frutti più abbondanti e, infine, di dominarla completamente in nome dello sviluppo. Ma adesso accade che “natura” diventi un concetto astratto, quasi folkloristico: la Madre Terra viene violentata, ferita e avvelenata dalle realtà artificiali create dall’uomo, dai rifiuti delle industrie, dalla rapacità del Mercato. La siccità di quest’anno ci avverte. “Siete in pericolo”.
 
Pericoli solari
E tuttavia è un fatto: ad ascoltare i discorsi della gente, quell’allarme non suona come un invito a interessarsi della cosa. E’ un rumore sgradevole, come può essere il chiasso di un gruppo di giovani, in una strada, a notte fonda. Ricordo anni fa quando, sull’esempio di quanto avviene all’estero, il Servizio Meteorologico cominciò a pubblicare l’indicazione delle ore di ogni giornata in cui l’esposizione al sole sarebbe stata pericolosa, a causa del buco dell’ozono. Si dovette smettere a furor di popolo: “Ma lasciateci vivere tranquilli almeno nel periodo delle ferie! Ma non rovinateci anche le vacanze!”. Non dubito che fra i lettori di questa LETTERA ce ne sarà qualcuno che mi accuserà di sadismo. Un personaggio indimenticabile, creato dal grande scrittore brasiliano João Guimaraes Rosa, è Michilìm, un bambino del sertão, il “quadrilatero della fame”. Egli vive una sua vita irreale a causa di una grave miopia. Un giorno un venditore ambulante gli regala un paio di occhiali. Michilìm, per la prima volta, vede la verità: dura, difficile, anzi drammatica. Michilìm è costretto a crescere. Il Michilìm-pubblico italiano gli occhiali, dopo la prima occhiata, preferisce gettarli.
 
Privatizzazione degli acquedotti
A colpirmi per il loro fatalismo sono soprattutto i genitori di bambini piccoli. Amantissimi dei loro figli, attentissimi a che non si trovino mai in pericolo, non vogliono pensare (neppure sapere) che, secondo i competenti, se non si dà vita a un grande movimento collettivo internazionale a difesa della natura, quei loro piccoli fra trent’anni si troveranno coinvolti in guerre per il possesso dei beni ambientali. Guerre del genere sono già in atto, per esempio nel Medio Oriente, ove una delle ragioni per le quali Israele non cede sugli insediamenti è per non restituire le acque rapinate ai palestinesi. Ma il WTO, velenosa organizzazione politica del Mercato, sta cercando di imporre la privatizzazione di tutti gli acquedotti. Saranno le grandi imprese multinazionali a decidere prezzi ed erogazioni del più primordiale dei beni naturali? Esse sono già al lavoro, con il nostro tacito consenso, anche nel nostro paese. Compriamo da loro l’acqua delle fonti italiane e la paghiamo come la benzina.
 
40%
Sarebbe forse tollerabile un qualche deterioramento dell’ambiente, un più crudele sfruttamento della natura, se questo servisse a dare pane e speranze a quei miliardi di persone che sembrano destinate ad essere una razza a parte. Ma la verità è che i disastri ambientali non sono la conseguenza del tentativo di moltiplicare i frutti della Terra per un miglioramento di vita dell’umanità, sono gli effetti degli stessi sistemi di sfruttamento che si abbattono sui popoli del Sud. Lo sanno bene gli indios della Bolivia che hanno lottato contro il governo che, per primo, aveva venduto le fonti a una multinazionale. Condannati alla sete, alla sporcizia e alle malattie, sono riusciti per il momento a riavere la poca acqua che gli arriva. Ma in questa lotta hanno avuto repressioni poliziesche, feriti e persino morti. In Italia abbiamo un sistema idrico tanto obsoleto da disperdere il 40 per 100 delle acque canalizzate. Ci sarebbe bisogno di un grande piano di lavori ma il cavaliere di Arcore preferisce vagheggiare l’inutile e pericoloso ponte sullo Stretto. Le proteste fioche, sono soltanto delle categorie volta a volta colpite. Il problema sembra non avere ingresso nelle nostre case.