03.10.07 – Trento – Le radici del sionismo di destra

Mercoledì 3 ottobre 2007, a Trento, alle 17,30, nella Sala dell’Aurora di Palazzo Trentini (Via Manci 27), il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale (CSSEO) organizza l’incontro-dibattito «Le radici del sionismo di destra».
Massimo Giuliani discute con Vincenzo Pinto del suo ultimo libro, Imparare a sparare. Vita di Vladimir Ze’ev Jabotinsky padre del sionismo di destra (UTET). Introduce Fernando Orlandi.

Tra i padri della dottrina sionista Vladimir Ze’ev Jabotinsky forse è il meno noto al grande pubblico. Gli storici ricordano più frequentemente l’ideatore del primo movimento sionista, il giornalista Nathan Birnbaum, o Theodor Herzl, che nel 1897 convocò a Basilea il primo congresso mondiale sionista, o, ancora, i primi dirigenti di rilievo internazionale, come Chaim Weizmann e Ben Gurion. Jabotinsky invece non ha mai goduto di grande fama, forse perché la sua parabola si svolse principalmente tra le due guerre, fino alla morte avvenuta nel 1940, quando la tempesta nazista si stava abbattendo sugli ebrei d’Europa.
Nato nella cosmopolita Odessa nel 1880 in una famiglia di mercanti ebrei laici, si dedicò fin dall’età giovanile allo studio e alla rivendicazione dell’emancipazione del popolo ebraico. Frequentò, da giornalista, gli ambienti culturali svizzeri e poi quelli romani di fine XIX secolo, subendo il fascino di D’Annunzio e maturando nel nostro paese una forma di nazionalismo liberale e progressista. A partire dal 1903, anno del VI congresso sionista, abbracciò defintivamente la causa sionista, ponendosi subito su posizioni intransigentemente contrarie a compromessi assimilazionisti con le popolazioni del resto d’Europa e, tantomeno, all’ipotesi in voga a inizio XX secolo per un insediamento ebraico africano. La patria degli ebrei poteva essere solo Eretz Israel, uno stato ebraico nella terra dei padri. Da edificare senza fare affidamento sulle grandi costruzioni ideologiche, ma basandosi soprattutto sulla determinazione e l’azione. «Non abbiamo nulla di cui scusarci – scriveva Jabotinsky negli anni Dieci. Siamo un popolo come gli altri e non abbiamo alcuna voglia di essere migliori di ciò che siamo… Di piacere o meno alla gente ci è del tutto indifferente… Siamo così come siamo, a noi va bene. Non vorremmo, né vogliamo essere diversi da quello che siamo».
Con lo scoppio della prima guerra mondiale l’asse della politica sionista si spostò decisamente verso il Regno Unito, portando nel 1917 alla dichiarazione Balfour sul focolare ebraico in Palestina. Ma non solo. L’opzione filobritannica, caldeggiata dallo stesso Jabotinsky, condusse anche a un altro risultato pratico: la formazione di una Legione ebraica che nel 1918 partecipò alla liberazione della Palestina dal potere ottomano.
Negli anni successivi Jabotinsky si dedicò instancabilmente a un’opera giornalistica che lo condusse in giro per il mondo come conferenziere, propugnando di fronte alle più influenti comunità ebraiche la costruzione di uno stato in Palestina. Raccolse fondi, scrisse libri, entrò in conflitto con lo stesso esecutivo sionista e i suoi esponenti liberali e laburisti. Motivo degli attriti, una personalità sulfurea e la teorizzazione della cosiddetta dottrina del “muro di ferro”: no alla costituzione di uno stato arabo-ebraico, sì a una supremazia costruita con dosi sempre più massicce di immigrati, sì a una supremazia militare sugli arabi. In pratica, un precursore della destra israeliana, ma con posizioni talvolta sfumate, anche in contraddizione tra loro.
Jabotinsky è considerato il padre della destra sionista, essendo ancora oggi il mentore spirituale del Likud, il raggruppamento politico israeliano di centro-destra. Ma sarebbe riduttivo incasellarlo in una memoria di parte. Jabotinsky è anche e soprattutto il tentativo ancora vivo in larga parte dell’ebraismo mondiale di radicarsi in una terra conservando il marchio storico, originario e primigenio dell’ebraismo: quello di essere il popolo del tempo.

La biografia di Pinto ripercorre le tappe di un ebreo odessita che ha scelto l’Italia come sua patria spirituale, facendo del nostro fine secolo un laboratorio privilegiato per ridisegnare l’identità ebraica alla luce degli sconvolgimenti tellurici rappresentati dai totalitarismi, dall’Olocausto e dalla nascita di Israele.

Vincenzo Pinto, studioso del nazionalismo nell’età contemporanea, ha conseguito due dottorati in materie storico, uno a Torino e l’altro a San Marino. Ha pubblicato diverse opere sul sionismo e sulle influenze nietzschiane sull’ebraismo. Collabora con la Hebrew University di Gerusalemme, dove sta portando a compimento uno studio sulle influenze esercitate dalla rivista Civiltà cattolica nell’elaborazione dell’ebraismo contemporaneo.