[di Giancarlo Caselli • 23.06.04] L'indipendenza della magistratura, di tutte le magistrature, è un punto cardine della Costituzione repubblicana (art. 101: i giudici sono soggetti soltanto alla legge; art. 108: la legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e del pubblico ministero presso di esse)...

GIANCARLO CASELLI: «CHI FERMA LA GIUSTIZIA»


L’indipendenza della magistratura
, di tutte le magistrature, è un punto cardine della Costituzione repubblicana (art. 101: i giudici sono soggetti soltanto alla legge; art. 108: la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e del pubblico ministero presso di esse). La mancata o insufficiente applicazione di questi princìpi apre la via ad abusi d’ogni tipo. Persino a fatti vergognosi. Uso scientemente questa parola dopo aver letto “L’armadio della vergogna“, uno sconvolgente libro di Franco Giustolisi (edito da “Nutrimenti”, pag. 303, euro 18). A leggerlo vien quasi da piangere, di dolore e di rabbia, perché vi è documentato «il capitolo più infame dell’Italia postfascista e, insieme, il più ignorato». La storia di una tremenda ingiustizia.

Tra il 1943 e il 1945 nazisti e fascisti, SS e repubblichini di Salò fecero decine di migliaia di vittime, uccidendo «gente senz’armi, civili in fuga dalla guerra». «Per lo più donne, vecchi, bambini. Piccoli ancora in fasce. Altri mai nati. Li cavarono dal ventre delle madri con le loro baionette e ne fecero bersaglio delle loro armi». Lunghissimo l”elenco dei luoghi, dal Sud al Nord d’Italia, che evocano queste barbarie. «Non furono rappresaglie e, anche se le fecero passare per tali, la loro esatta definizione è: omicidi». Finita la guerra, i fascicoli delle prime indagini su quegli eccidi furono concentrati a Roma, nella sede della Procura generale militare. Fino al giugno 1947 sembrò che le cose andassero nel verso giusto e le direttive impartite dal Procuratore generale dell”epoca erano univoche e precise. Poi, di colpo, tutto fu insabbiato.

Per cinquant”anni non ci furono né istruttorie né processi. I fascicoli nei quali erano annotati i nomi delle vittime e degli assassini responsabili di tante stragi furono nascosti in un vecchio armadio, «rifilato in un vano recondito. nascosto e poco frequentato», «alla fine di un corridoio defilato» della Procura, «protetto da un cancello con tanto di lucchetto», con «le ante chiuse a chiave, rivolte verso il muro». L’armadio della vergogna. Vi rimasero chiusi – per cinquant”anni – ben 695 fascicoli, in 415 dei quali «erano riportati i nomi dei colpevoli».

Chi ordinò l”insabbiamento? Fu certamente il potere politico ad imporre il silenzio e l”oblio. La guerra fredda e la ragion di stato lo esigevano: per facilitare il riarmo della Germania Ovest e il suo inserimento nel nuovo sistema di alleanze politico-militari, che viceversa sarebbero stati a lungo tarpati dalle «enormi palate di fango rappresentate dalle stragi contro i civili». A decretare il «macro e macabro occultamento» fu probabilmente il governo in carica dal 31 maggio 1947 al 12 maggio 1948. Ad eseguirlo furono vari Procuratori generali militari, tra cui lo stesso – di nomina governativa – che in un primo momento aveva mostrato di voler agire correttamente. Con un «tentativo maldestro di coprire in parte l”enorme magagna» fu apposto sui vari fascicoli – nel 1960 – un timbro di «archiviazione provvisoria»: un «istituto sconosciuto in ogni angolo del mondo e creato per l”occasione, come alibi assurdo e fragilissimo». A riprova che in un paese democratico l”indipendenza della magistratura (soltanto nel dicembre 1988 sarà data attuazione anche per la magistratura militare all”art.108 Costituzione, istituendo il Consiglio della Magistratura militare, omologo in divisa del Csm) è assolutamente irrinunziabile: se non si vuole che possano trovar spazio le peggiori nefandezze di un potere politico non assoggettato ad alcun controllo di legalità, e anzi capace di controllare e condizionare esso stesso il concreto esercizio della funzione giudiziaria.

Passano gli anni, un bravo Procuratore militare, Antonino Intelisano, quasi per caso scopre, nel 1994, quel che per anni era stato sepolto nell’armadio della vergogna. Finalmente, l’armadio si apre ed i vari fascicoli vengono inviati alle Procure militari territorialmente competenti (Bari, Napoli, Padova, Verona, Torino e soprattutto La Spezia). Scoppia lo scandalo. Il Cmm apre un”inchiesta che si conclude nel 1999. Giustolisi e pochi altri ingaggiano una battaglia lunga e difficile (con iniziali resistenze anche a sinistra, dove «ci furono personaggi assai autorevoli che consigliavano di procedere con cautela e di abbassare i toni»). Alla fine, dopo oltre tre anni di articoli, lettere, interventi, incontri, manifestazioni, dibattiti e petizioni si ottiene – nel 2003 – l”istituzione di una «Commissione parlamentare d”inchiesta sulle cause dell”occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti», presieduta da Flavio Tanzilli, deputato Udc.

Intanto, dal vecchio armadio della vergogna, oltre ai fascicoli «dimenticati da Dio e dagli uomini», esce un grande registro sul quale erano stati annotati con burocratica diligenza gli estremi di ogni fascicolo. E «fa un certo effetto (annota Giustolisi, che nel suo libro riproduce alcuni fogli – davvero impressionanti – di questo registro degli orrori) vedere nella stessa pagina gli anni delle stragi (1943-1944-1945) e gli anni dell”avvio, oltre mezzo secolo dopo, di quella che oggi possiamo definire giustizia negata (1994-1995-1996)».

Giustizia negata anche perché è ovvio che se si fossero svolte indagini a ridosso dei fatti sarebbe stato facile individuare se non tutti, quasi tutti gli assassini. Mezzo secolo dopo l’impresa è fatica inutile. E rappresenta senza dubbio un”eccezione praticamente irripetibile quanto verificatosi in questi giorni (cfr. “La Repubblica” 1.6.04, pag. 24): la confessione di un nazista «pentito», Ludwig Goering, che il 12 agosto 1944, a Sant”Anna di Stazzema (vicino a Lucca) partecipò alla strage con cui i tedeschi massacrarono 560 civili. Una carneficina fra le più feroci, per la quale è ancora in corso un processo al Tribunale Militare di La Spezia. La stessa cui Giustolisi dedica la copertina del suo libro: un allegro girotondo di bambini di Sant’Anna che festeggiano la fine dell”anno scolastico; saranno tutti uccisi dalle SS poche settimane dopo, in quel terribile 12 agosto del ”44, con ferocia criminale cui l”armadio della vergogna ha garantito sessant”anni di turpe impunità.

Il dilagare di ingiustizie e impunità incontra un argine robusto se l’indipendenza della magistratura scritta nella Costituzione è presidiata da garanzie effettive e concrete, a partire dal funzionamento di un solido organo di autogoverno. La dimostrazione che la difesa della Costituzione e dell”indipendenza della magistratura – oggi di estrema attualità, a fronte del discusso disegno di riforma dell”ordinamento giudiziario sostenuto dalla maggioranza – non corrisponde all”interesse corporativo di una casta di funzionari privilegiati quali sarebbero (come vuol far credere una pubblicistica «embedded») i giudici italiani. È invece una difesa indispensabile per evitare – nell’interesse di tutti i cittadini, proprio tutti – che lo stravolgimento della Costituzione, imbrigliando la magistratura (a partire da quella ordinaria) apra nuovi varchi a gravi ingiustizie, anche terribili. Come accadeva nel tempo passato: il tempo degli armadi della vergogna.


Articolo segnalato da Michele Turazza
Fonte: http://www.unita.it