«Si profila da parte del Governo un vero e proprio attacco alla Campagna di pressione alle “Banche Armate“» – cosi Giorgio Beretta, uno degli esponenti della Campagna, commenta la nota della recente Relazione ministeriale sull’export di armi.
Per superare il problema degli istituti bancari nazionali di essere catalogati fra le cosiddette “banche armate”, “il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale” – riporta la Relazione. «Quale sia questa “soluzione” non è dato di sapere – aggiunge Beretta – ma dal tono del discorso della Relazione e dalle recenti lamentele del comparto armiero c’è da scommettere che non sarà nella direzione della trasparenza.
Il comparto industriale-militare lamenta “notevoli difficoltà operative” con gli istituti bancari nazionali, ma le banche italiane assumono tuttora la quasi totalità delle operazioni, come dimostrano i dati della stessa Relazione» – conclude Beretta.
Una nota della Relazione a pag. 18/19 concerne, infatti, direttamente la Campagna di pressione alle banche armate. La Relazione segnala, infatti, tra le problematiche di “alta rilevanza” trattate a livello interministeriale “quella relativa all’atteggiamento assunto da buona parte degli istituti bancari nazionali” nell’ambito della loro politica di “responsabilità sociale d’impresa”.
“Tali istituti, – prosegue la Relazione – pur di non essere catalogati fra le cosiddette “banche armate”, hanno deciso di non effettuare più, o quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l’importazione o l’esportazione di materiali d’armamento“. Ciò avrebbe comportato per l’industria “notevoli difficoltà operative, tanto da costringerle ad operare con banche non residenti in Italia, con la conseguenza – continua la Relazione – di rendere più gravoso e a volte impossibile il controllo finanziario” delle operazioni normate dalla 185/90.
Pertanto “il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha recentemente prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale” – conclude la Relazione.
«C’era da aspettarselo – riprende Beretta. Dopo le lamentele del comparto armiero registrate nell’articolo di Gianni Dragoni dal titolo “La difesa disarmata delle banche” apparso lo scorso 5 marzo su “Il Sole 24 ore” (riportato qui sotto) non poteva essere altrimenti».
L’offensiva è capitanata da due personaggi di primo piano: Pier Francesco Guarguaglini, presidente di Finmeccanica, e da Piero Gussalli Beretta. Entrambi lamentano di essere costretti a rivolgersi a gruppi bancari stranieri. «Una gran balla!» – sbotta Beretta (che ovviamente con l’omonimo di Gardone Valtrompia non ha legami di parentela). «Basta guardare i dati della Relazione di quest’anno.
Oltre all’incremento notevole delle transazioni bancarie, che nel 2004 hanno raggiunto la nuova cifra record di 1.317 di euro – due banche italiane da sole ricoprono, infatti, quasi il 60% delle autorizzazioni: si tratta di Banca di Roma (che si aggiudica autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 395 milioni di euro) e Gruppo bancario San Paolo Imi (autorizzazioni per oltre 366 milioni di euro). Banche che sono seguite da altri istituti di credito italiani tra cui Banca Popolare Antoniana Veneta (121 milioni per uno share del 9%) e Banca Nazionale del Lavoro (71 milioni, cioè oltre il 5% del totale). Solo una banca straniera, la Calyon Corporate and Investment Bank, con 120 milioni di euro di autorizzazioni (9% del totale) si aggiudica qualcosa di simile ai maggiori gruppi italiani; ma non va dimenticato che questa banca, nata dalla fusione di due gruppi (Crédit Lyonnais e Crédit Agricole Indosuez), è da tempo l’istituto di riferimento di diversi Paesi arabi. E la somma delle operazioni autorizzate a istituti di credito stranieri non supera il 14%, una percentuale al ribasso rispetto ad alcuni anni fa. In definitiva, le banche italiane rappresentano tuttora l’intermediario privilegiato per l’industria armiera italiana» – conclude Beretta.
Lanciata nel 2000 su iniziativa di tre riviste del mondo pacifista (Mosaico di pace, Nigrizia e Missione Oggi), la Campagna di pressione alle “banche armate” ha inteso fin dal suo inizio perseguire un duplice scopo: da un lato favorire un controllo attivo dei cittadini sulle operazioni di appoggio delle banche al commercio delle armi, dall’altro fornire informazioni per un ripensamento dei criteri di gestione dei propri risparmi.
Grazie alla pressione di cittadini e associazioni, in questi cinque anni il gruppo Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Cassa di Risparmio di Firenze, Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino e recentemente Banca Intesa hanno dichiarato di voler cessare, totalmente o in gran parte, la fornitura dei propri servizi al commercio di armi italiane.
La Relazione 2005 registra un ulteriore e positivo passo di Unicredit (solo l’1,5% delle autorizzazioni quest’anno), l’uscita ormai definitiva di MPS e la bassissima quota di nuove autorizzazioni di Banca Intesa (1,7%).
Preoccupa, invece, una “new-entry”: la Banca Popolare di Milano che si aggiudica 22 commesse per oltre 53 milioni di importi autorizzati, più del 4% del totale. Banca Popolare di Milano è uno dei “sostenitori storici” di Banca Popolare Etica, di cui da anni distribuisce i prodotti. Cosa succede?
Commento di don Sacco all’articolo del Sole 24 Ore
Tabelle della Relazione 2005 (in pdf) (207.77 KB)