LIBRI. «DOV’È LA VITTORIA?» DI ENRICO PEYRETTI

«Dov’è la vittoria» è una piccola antologia aperta sulla miseria e la fallacia del vincere; è una raccolta di testi, note, pensieri, sulla vacuità della vittoria in guerra e nei rapporti quotidiani violenti o imperiosi.
 
Perché attaccare la vittoria? C’è forse un amore del perdere, dell’esser vittime? O si pensa solo ad una vittoria nel mondo spirituale futuro, consegnando alla violenza la vittoria in questo mondo? Denunciando l’inganno della vittoria, si vuole proporre una ragione e un diritto senza forza? No. La nonviolenza è forza. La forza costruisce, la violenza distrugge.
 
Nell’opinione dominante, viziata dall’ideologia della violenza, il guadagno del vincitore è il danno del vinto. Nel pensiero e nella strategia della forza nonviolenta, il guadagno è condiviso, magari minore, ma senza danni. E maggiore soprattutto la qualità umana, la soddisfazione, se non la felicità comune. La gestione dei conflitti con la forza umana dei mezzi costruttivi è l’alternativa alla guerra, sia pubblica che privata. Qui si intende smascherare l’inganno e l’illusione della vittoria: tentativo non superfluo, perché nei nostri anni l’idolatria mortale della guerra è tornata con arroganza a guidare i potenti e folli detentori di leve omicide. Chiamano vittoria, quando non precipitano invece nello stesso abisso che hanno aperto, quella che è la massima sconfitta umana: essere nemici, gli uni contro gli altri, perciò senza gli altri, dunque meno umani che mai.
 
 
L’Autore
 
Enrico Peyretti (1935) ha insegnato nei licei Storia e Filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, il mensile torinese “il foglio” (www.ilfoglio.org), che esce da allora regolarmente; è ricercatore per la pace nel Centro Studi “Domenico Sereno Regis” di Torino (via Garibaldi 13 – 10122 Torino), socio dell’IPRI (Italian Peace Research Institute), membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi, e dell’analogo comitato della rivista Satyagraha, edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; ha pubblicato, in questo campo, alcuni volumi: La politica è pace (Assisi, Cittadella Editrice, 1998); Per perdere la guerra (Torino, Beppe Grande editore, 1999) e numerosi articoli su riviste e volumi collettivi; ha tradotto “Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace” di Jean-Marie Muller (Pisa, Edizioni Plus, 2004). È membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione.

 
Dalla Prefazione di Matteo Soccio a:
Enrico Peyretti «Dov’è la vittoria?»

(Il Segno dei Gabrielli editori, 2005)
 
Peyretti interroga sul tema della ‘vittoria’ militare le voci della saggezza, dall’antichità ad oggi. Nella sua antologia sono raccolte citazioni, sentenze, pensieri, aforismi, affermazioni occasionali, testi di autori come Buddha, Lao-Tzu, Asoka, Maometto, Montaigne, Kant, Erasmo, Voltaire, Tommaso Moro, Tolstoj, Manzoni, Simone Weil, Benedetto XV, Brecht, Capitini, Hannah Arendt, Jean-Marie Muller e altri ancora, tra cui sapienti sconosciuti e personaggi ancora viventi. I testi, scelti con cura, di chi prima di lui aveva pensato e osato esprimere opinioni dissonanti rispetto al coro della cultura dominante, aiutano Peyretti a sviluppare una propria riflessione caustica e demistificante sull’argomento. Si tratta di una vera e propria dichiarazione di obiezione di coscienza culturale che va a leggere sul piedistallo della dea Vittoria le parole incise nel lato nascosto e rese invisibili ai più dalla menzogna, dalla propaganda, dal conformismo: violenza, distruzione, sangue, morte, ingiustizia, sopraffazione.
 
«C’è una sola vittoria – sostiene Peyretti -: vincere il mito del vincere, per entrare in più ampie possibilità della vita». Come dice Christa Wolf: «tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere». È un principio brutale quello che viene applicato nei conflitti armati: vincere a qualsiasi prezzo. Significa che la vita non è importante, la morte non è importante, solo vincere è importante. Ma le ragioni della vita possono demolire qualsiasi sofistica e ingannevole argomentazione a sostegno dell’utilità e convenienza della guerra. Le parti possono avere un interesse comune: vivere. È qui il guadagno secondo i saggi chiamati da Peyretti a sostegno della sua tesi.
 
Ma il modello militare, il mito militarista della vittoria si è insinuato anche nella vita civile, dove l’ideologia del vincere insegna ai giovani non ad avere relazioni di ascolto, cooperazione, accettazione del diverso, scambio fraterno, ma a imporsi assumendo, in tutti i rapporti umani e sociali, comportamenti come la rivalità, la competizione, l’uso della forza. Questa cultura non è moralmente sostenibile. Nella nostra società si è condannati a vincere. Bisogna essere sempre sopra gli altri, prevalere, primeggiare. Chi non emerge, non ha successo è un perdente. Questo rompe la convivenza, la possibilità di sane relazioni. È più facile scontrarsi che incontrarsi, dividersi piuttosto che cooperare, solidarizzare, fraternizzare, rispondere ai bisogni gli uni degli altri, amare. È più facile essere nemici che amici.
 
Nello stesso linguaggio che usiamo c’è il seme della guerra. Dobbiamo, come dice Peyretti, cercare di «disintossicarlo nel nostro parlare, che sempre è un pensare secondo la pace o secondo la guerra, secondo la giustizia o secondo l’oppressione».
 
Qual è allora la vera vittoria? Oggi, dopo tante guerre, crimini, danni materiali e spirituali incalcolabili, prodotti dal modo di pensare “militare”, sta avanzando una cultura di pace. Se realizzeremo progetti di pace, se riusciremo ad imporre il rispetto del diritto internazionale dei diritti umani, se adotteremo mezzi coerenti con i nostri fini morali, allora avremo la vittoria più vera, perché saremo tutti vincitori e nessuno vinto.
 
Come diceva Buddha: «non si tratta di vincere mille nemici, ma di vincere se stessi, in se stessi». Questa rivoluzione culturale si chiama nonviolenza. Compito della nonviolenza non è vincere ma con-vincere. Questa forza ci porta ad un livello superiore di razionalità. Usciamo finalmente dalla lunga notte di follia e ritroviamo la comune umanità (l’essere uomini) che ci affratella. Qui il guadagno è sicuramente condiviso. Per questo Aldo Capitini diceva: «la nonviolenza fa bene a chi la fa e a chi la riceve». Possiamo arrivare fino al paradosso enunciato da Padre Ernesto Balducci: «per la nonviolenza la sconfitta è una vittoria […] e la morte, incontrata sul cammino della verità e della nonviolenza, è la vittoria suprema dell’uomo».
 
«DOV’È LA VITTORIA?»
di Enrico Peyretti
[2005, Il Segno dei Gabrielli Editori, pagg. 112, 10 euro]

 
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