«IL LAVORO DI CRESCERE» NELL’IMPEGNO E IN DIFESA DEI DIRITTI DELL’INFANZIA


«Il lavoro di crescere. Diversi punti di vista su sfruttamento, diritti e cittadinanza per costruire una nuova cultura di protagonismo dell’infanzia e adolescenza» è il nuovo libro pubblicato da Cristiano Morsolin, dell’Osservatorio sull’America Latina SELVAS e operatore di reti internazionali per la difesa dei diritti dell’Infanzia e Adolescenza in America Latina, che è stato presentato a Quito (Ecuador) nell’ambito dell’assemblea annuale dell’Ong BICE – Bureau International Catholique de l’Enfance , che dal 24 al 29 novembre 2008 ha riunito una trentina di reti e coordinamenti di tutta l’America Latina.

Nell’occasione l’argentino Norberto Liwski, ex Presidente del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del Fanciullo di Ginevra, ha sottolineato in occasione del 19° anniversario della Convenzione dei diritti del bambino (20 novembre), che «tutto il mondo ha adottato il primo trattato universale dei diritti umani dei bambini. Manca ancora molto nel cammino che si deve compiere soprattutto per andare avanti nella realizzazione effettiva di questi diritti, prima di tutto si deve assumere che la voce, l’opinione e il protagonismo di bambini e adolescenti costituisce una piattaforma imprescindibile per costruire nuove sfide. L’infanzia in America Latina ha bisogno di maggior giustizia sociale e anche di democrazia, così come alla democrazia serve maggior partecipazione infantile».

Il libro «Il lavoro di crescere» (appoggiato da BICE e TDH) raccoglie testimonianze e analisi di adolescenti ed educatori dei settori popolari provenienti da diversi contesti come la realtà afro di Cartagena con FUNSAREP, le adolescenti indigene emigrate a Cali come domestiche, le bande giovanili di Medellin, gli adolescenti contadini di Popayan, i movimenti dei bambini lavoratori organizzati a Bogotà; è uno strumento per dare visibilità alle best practise educative che caratterizzano il Movimento Nazionale di bambini, bambine e Adolescenti promosso dalla Piattaforma di partner di «Terre des Hommes» Germania.

Durante la presentazione a Bogotà del 20 ottobre 2008, nell’ambito del seminario internazionale organizzato dalla Facoltà di Scienze Sociali dell’Università Pedagogica Nazionale coordinata dal prof. Alfonso Torres (tra i massimi esperti di educazione popolare del continente), Manfred Liebel – Coordinatore Europeo dei Masters sui diritti dell’infanzia e docente Università di Berlino, ha sottolineato che «il libro di Morsolin ci offre una panoramica di alta densità su cosa significa essere un bambino lavoratore in una società che obbliga la maggioranza della popolazione a vivere nella povertà, in un clima di paura e intimidazione».

Diana Noboa, segretaria della Comissione Diritti Umani del Senato della Repubblica colombiana ha fatto menzione del «valore speciale di persone come Cristiano Morsolin che studiano i diritti umani dell’infanzia lavoratrice in America Latina collegando diversi punti di vista del mondo accademico con la pratica educativa quotidiana nelle strade, nei centri comunitari, nelle scuole. Speriamo che con l’impulso di questo libro si inizi un cammino per poter creare politiche pubbliche sostenibili e coerenti che consentano, in modo inclusivo e a partire dalla realtà del Paese, di assumere la prospettiva dei bambini/e e adolescenti lavoratori por costruire vite dignitose e in pace. Questo libro offre molte idee per raggiungere una cultura che veda protagonista l’infanzia e adolescenza, per sensibilizzare la società colombiana di fronte a questa realtà sociale di 2.2 milioni di NATs».

Nel dibattito che ne è seguito sono intervenuti vari rappresentanti di movimenti sociali. Ivonne Oviedo, pedagogista, lavora con i bambini della Fundaciòn «Pequeño Trabajador» di Bogotà; lei stessa ha cominciato a lavorare quando aveva sette anni, spiega l’importanza dell’educazione per i NATs e il legame con il commercio giusto. «Il nostro progetto coinvolge trecento bambini lavoratori, una trentina di educatori, ma noi preferiamo chiamarli «accompagnatori», molti dei quali sono stati a loro volta bambini lavoratori, e cinquanta genitori. Circa metà dei nostri bambini vengono da famiglie di sfollati, sia per la povertà che spinge la gente a cercare fortuna in città -le campagne sono sempre più sfruttate per le monocolture e i contadini restano senza terra e senza lavoro- sia a causa del conflitto. Una prima area su cui lavoriamo è quella politica, che consiste nello sviluppo di gruppi di NATs: al momento ce ne sono diciotto, sia a Patio Bonito che in altre località colombiane. Questi gruppi si uniscono, a livello locale, in un movimento che poi diventa regionale fino ad arrivare al Molacnats, Movimiento Latinoamericano y del Caribe de los Niños, Niñas y Adolescentes Trabajadores, e al movimento mondiale. L’altra area su cui lavoriamo è quella pedagogica. La scuola/laboratorio per i NATs, che in gennaio ha compiuto dieci anni di attività, nasce da una necessità sentita sin dall’inizio da alcuni bambini che lavoravano al mercato all’ingrosso di frutta e verdura Corabastos. Al momento nella scuola ci sono centotrenta bambini, ci sono anche dei corsi per i genitori. Poi c’è un servizio di biblioteca, molto importante perché con la lettura attiviamo la fantasia, che è necessaria per arrivare a una critica della realtà, della società attuale. Inoltre stiamo cercando di organizzare una Rete nazionale di educazione popolare, insieme ad altre associazioni che si occupano di educazione. Vorremmo iniziare un cammino per lavorare su politiche educative che tengano in considerazione i settori popolari, che costituiscono poi la maggioranza della popolazione. Infine lavoriamo nell’area produttiva: i bambini realizzano oggetti come biglietti di auguri, presepi natalizi, maschere e altri oggetti di artigianato con materiale riciclato; questi prodotti vengono diffusi in Italia dalla centrale EQUOMERCATO di Cantù». Nel suo ultimo viaggio in Europa Ivonne è stata intervista a Roma da Unicef Italia che ha pubblicato un apposito articolo nell’ultimo numero de «Il Mondo Domani».

Alla presentazione del libro a Bogotà sono intervenuti ben 150 studenti e docenti grazie alla diffusione promossa anche dal Ministero dell’Educazione. Durante la presentazione del libro a Popayan (sud della Colombia) del 22 ottobre, con l’appoggio della rete locale contro l’abuso infantile, Maria del Carmen, 13 anni, rappresentante della Scuola media «Galan» ha presentato il progetto di coltivazione urbana, un grande orto che serve per appoggiare la comunità in un quartiere marginale: «impariamo che il lavoro serve per la formazione umana. Bisogna aprire gli occhi, si vede solo il lavoro forzato, ci sono anche altre condizioni e modi di vedere e di crescere».

Rosa Elena Jacananjoy, indigena «Inga» dell’Istituto di Partecipazione etnica del Municipio di Bogotà, sostiene che per i popoli indigeni «il lavoro infantile è una forma di apprendimento attraverso pratiche culturali che rafforzano l’identità del bambino dentro la comunità, ottenendo un beneficio familiare. I bambini sono guidati nella realizzazione di attività che permettono di generare un ruolo dentro la comunità; le pratiche possono essere legate all’agricoltura, all’artigianato, all’arte e alla medicina».

Sono stati ricevuti messaggi della comunità accademica internazionale: Rene Unda –coordinatore del Master di politiche per l’infanzia dell’Università Politecnica Salesiana di Quito, sostiene che «il lavoro infanticabile di Cristiano Morsolin racconta un processo complesso, normalmente non compreso dalle sfere del potere. Valorizza la possibilità di azione e riflessione affinché la relazione tra infanzia e lavoro trascenda dalla tradizionale visione assistenzialista e si collochi come espressione di una delle problematiche centrali dell’era moderna che riconosce nei movimenti dei bambini e adolescenti lavoratori uno degli attori che irrompono nel decadente ordine del mercato post-capitalista, con possibilità di emancipazione anche per tutti coloro che sono stati esclusi dalla storia dello sviluppo del capitalismo».

Don Luca Pandolfi, docente di antropologia culturale della Pontificia Università Urbaniana di Roma, sostiene infine che «il protagonismo sociale dei movimenti NATs ci invita a cambiare la bussola di orientamento. Spero che questo libro venga presto tradotto in italiano per mettere in discussione il lavoro educativo partendo da cammini concreti di cambiamento e di protagonismo pedagogico».