[a cura del Team De Falco-Marotta • 01.10.03] «Sei un dio! Sei un diooo!», ha urlato allo schermo un suo fan al termine della proiezione di «Zatoichi». E, forse, se non avessimo un concetto diverso della divinità, l’avremmo gridato anche noi, mentre veniva voglia di ballare in sala proseguendo lo scatenato tip-tap (con antichi ritmi giapponesi, afro-cubani, tarantella…) che conclude il film...

INCONTRO CON IL REGISTA TAKESHI KITANO: TRA SAMURAI, RISATE E BALLI

«Sei un dio! Sei un diooo!», ha urlato allo schermo un suo fan al termine della proiezione di «Zatoichi». E, forse, se non avessimo un concetto diverso della divinità, l’avremmo gridato anche noi, mentre veniva voglia di ballare in sala proseguendo lo scatenato tip-tap (con antichi ritmi giapponesi, afro-cubani, tarantella…) che conclude il film. Bellissimo, allegro, fantastico, un vero godimento per chi cerca un cinema impegnato ma distensivo, ottimista, ben fotografato, insomma, un’opera d’autore, ma anche capace di coinvolgere e rallegrare gli spiriti perennemente afflitti dei nostri contemporanei. Takeshi Kitano («Sonatine», «Hana-bi», «Brother» , «Dolls») in Zatoichi (Premio Speciale per la regia, Leone d’Argento, Venezia 60) ha cambiato genere: un film in costume sui samurai ma fatto a suo modo. Tanta violenza, assolutamente stilizzata e tutt’altro che impressionante e, insieme, una serie di sketch da commedia slapstick (botte in testa e scivoloni, per comprenderci) che hanno fatto piegare in due dalle risate la platea. Per questo esordio in un film in costume, Kitano ha scelto di non utilizzare una sua sceneggiatura, cosa che non faceva da Violent Cop, una delle sue prime opere, ma la possibilità di servirsi di questo personaggio cardine del dramma storico giapponese, reinventandolo con quello che ormai si può definire lo “stile Kitano” fatto di ritmi, colori e musiche che miscelano il moderno con le radici del passato: un’occasione eccezionale.
 
La storia
Giappone, XIX secolo. Zatoichi è un eroe feudale, maestro d’armi senza pari, un vagabondo errante che si fa passare per un massaggiatore cieco. Il suo camminare lo porta in un villaggio dove è in corso una faida tra i Ginzo e le famiglie rivali. Sono numerosi i personaggi che, casualmente, si trovano a convergere in questo borgo che diventa una sorta di OK corral nipponico. Il ronin Hattori (Tadanobu Asano , bravissimo e premiato anche per la sua sofferta interpretazione in “The Last Life in the Universe”, “Controcorrente”, il concorso parallelo a “Venezia 60”), le due geishe Okinu (Yuko Daike / Hana-bi) e Osei (Daigoro Tachibana), in caccia dei criminali che hanno trucidato la loro famiglia, e, ovviamente, per punirli. In questo teatro nipponico, dai risvolti risolutamente pirandelliani, nessuno è ciò che sembra e soltanto la resa dei conti finale svelerà la verità.
Nel complesso, una pellicola geniale con momenti da cineteca come il tip- tap finale  o i contadini che sembrano usciti direttamente dal palco degli Stomp sulle musiche di Keiichi Suzuki, diverso talento visionario degno di Kitano, che non rinuncia a spettacolarizzare i cadaveri con fontane di sangue e arti sparpagliati un po’ ovunque.
 
L’incontro con il regista

Come mai la sua scelta di girare un film sui samurai, non è voler seguire la moda di Hoollywood?
«Non mi interessa quel che fanno gli altri, specie ad Hollywood. Non mi riguardano le tendenze del mercato cinematografico, sono almeno quattro anni che lavoro a questo progetto. Zatoichi non è un film che dominerà il box office, anche se spero che il pubblico di Tarantino e Cruise andrà a vederlo. Film di samurai ce ne sono tanti e hanno tutti uno stile ben definito. Cambiare non è così facile, ma ho cercato di variare secondo il mio personale modo. Non è detto che la tradizione sia sempre il meglio. Zatoichi» riprende la figura di un massaggiatore cieco (masseur Ichi, Zato Ichi) assai celebre in Giappne grazie a una serie tv e a molti film girati tra i Sessanta e gli Ottanta».

Perché ha i capelli biondi e la spada portata in un bastone (fodero) rosso sangue?
«Non sarebbe stato molto “cool” se Zatoichi avesse usato un colore neutro, avrebbe reso tutto troppo concreto. Invece il mio personaggio deve rimanere “fantastico”».

Zatoichi, giunge in una cittadina per liberarla dai potenti: vuole alludere all’intervento degli USA in Iraq?
«Il film racconta la storia di una piccola comunità dominata da un gangster oppressivo. Malgrado ciò la gente riesce comunque a tirare avanti. L’arrivo di Zatoichi, samurai e massaggiatore cieco, porta scompiglio: uccide i dominatori per ridare la libertà a persone che, però, non sono in grado di farne buon uso e la cui vita in qualche modo peggiora. Insomma, qualcosa di simile a quanto è successo dopo l’intervento americano in Iraq: prima si viveva male e il popolo odiava il regime ma adesso si ritrova in un paese distrutto e vittima di violenze ed attentati».

Nel film c’è una scena di combattimento sotto la pioggia ispirata ai ‘Sette Samurai’ di Kurosawa, un omaggio al grande regista giapponese?
«Si, il combattimento sotto la pioggia doveva essere un omaggio a Kurosawa. Ho chiesto a sua figlia, la costumista del mio film, un parere sulla scena, ma lei ha detto che in quella scena non ci vedeva nulla dei film del padre . Allora ho voluto riprovarci con la scena del ciccione aspirante samurai, che corre intorno alla casa con la lancia. La figlia di Kurosawa, anche stavolta, mi ha detto che non ci ero riuscito. Insomma, avrei voluto fare un omaggio al Maestro ma non ce l’ho proprio fatta (invece si, perché tutti hanno pensato ai Sette Samurai!)».

C’è tanta violenza, il film è una strage, con decine di morti sbudellati a colpi di katana e spruzzi di sangue, volutamente eccessivi e fumettistici, che inondano lo schermo…
«ll rosso del sangue è fondamentale. Sul set abbiamo usato sacchetti con liquido colorato, ma per avere il giusto effetto abbiamo poi ritoccato il tutto con la grafica digitale (e così anche Beat Takeshi ammette di essere ricorso al computer per la prima volta nella carriera!)».

Il film in certi momenti si trasforma in un musical, con contadini e operai al lavoro che diventano i bizzarri percussionisti del tema musicale portante: è estremamente coinvolgente.
«Temevo che il tip- tap finale non risultasse comprensibile, per cui ho inserito scene musicali nel corso del film, con un ritmo sempre crescente che sfocia nella festa finale».

Perché il tip- tap?
«Anche se sembra molto occidentale, esistono balli con gli zoccoli tradizionali anche in Giappone, nel teatro Kabuki per esempio. Il tip tap non è tratto dai vecchi musical ma è la ricostruzione di un tipico dramma giapponese dell’epoca. Avevano tutti lo stesso identico finale: i contadini ,gli artigiani e i commercianti si trovavano ad una festa e ballavano e cantavano. Era un clichè, un’happy-end. Volevo cambiare questo clichè ma in un modo tutto mio. Ho pensato che mostrare attori ballare e cantare danze tradizionali non fosse interessante perciò ho mescolato generi tradizionali diversi: musiche giapponesi, coreane e tip tap giapponese, insieme a musiche occidentali».

E cosa ci dice delle continue e travolgenti scene umoristiche, come quella della presenza di una pistola al centro di quel forsennato duello?
«Penso che anche voi siate d’accordo che non posso continuare a fare solo massacri nei miei film».
 
Curiosità
Vi è  una pellicola americana che, seppur in maniera parziale, ha già sfruttato questo personaggio, si tratta di Furia Cieca di Philip Noyce con il replicante Rutger Hauer.
<?xml:namespace prefix = o />

Biografia
Ultimo figlio di una famiglia che viveva nei bassifondi di Tokio, Takeshi Kitano è nato il 18 gennaio 1947. Suo padre, Kikujiro, era un pittore specializzato in decorazioni e lacche, e si prestava per servizi alla yakuza( la crudele mafia giapponese). La madre, Saki, era una donna energica che cercava di crescere i figli nella rettitudine e di mandarli a scuola, nonostante la povertà e la difficile situazione del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale. Nel 1956 la famiglia è la prima ad avere la televisione, nella loro strada, e la casa di Takeshi diventa un luogo d’incontro per gli abitanti del quartiere. Kitano è uno studente dotato, ma dopo tre anni, malgrado le proteste dei genitori, abbandona le scuole superiori. Nel 1972 lavora come cameriere in un caffè, dove incontra Kiyoshi Kaneko con il quale creerà un “manzai”, un duo comico, chiamato “The two beats”. Il nome che Kitano usa ancora quando lavora come attore, Beat Takeshi, viene dal “manzai”. I due comici cominciano a lavorare in locali di strip-tease alla moda e sono particolarmente apprezzati dagli studenti e dalle giovani generazioni, che amano il loro stile rapido e irriverente. Nel 1974 un produttore televisivo assiste al loro spettacolo e subito li scrittura. La consacrazione arriverà due anni più tardi, quando la coppia comica sarà premiata dalla NHK, la più grande rete cablata del Giappone. Il regista Nagisa Oshima è il primo a “scoprire” Takeshi  nelle sue potenzialità che lo condurranno  in breve,  a diventare famoso in una serie televisiva di successo.(tuttora conduce un programma televisivo). Nel 1983 interpreta il suo primo ruolo drammatico nel film di Nagisa Oshima Furyo, accanto a David Bowie e Ryuichi Sakamoto. Nel 1989, dirige il suo primo film, Violent Cop. Il 2 agosto 1994, ubriaco fradicio, si schianta contro un muro con la sua moto. Dopo mesi di ricovero in una clinica specializzata in fratture del cranio, Takeshi smette di bere e si dedica anima e corpo alla pittura. Il lato destro della sua faccia resterà paralizzato e gli occhiali scuri gli servono per nascondere i segni dell’incidente. Diventando, poi, una caratteristica della sua speciale immagine.
 
FILMOGRAFIA – «Zatôichi» (regista, sceneggiatore, attore, montaggio) Takeshi KitanO, 2003; «Dolls» (sceneggiatore, regista, montaggio) Takeshi Kitano, 2002; «Brother» (montaggio, regista, attore, sceneggiatore) Takeshi Kitano, 2000; «Tabù – Gohatto» (attore) Nagisa Oshima, 2000; «L’estate di Kikujiro» (regista) Takeshi Kitano  1999; «Tokyo Eyes» (Gli occhi di Tokio) (attore) Jean-Pierre Limosin, 1998; «Hana-Bi» (regista) Takeshi Kitano, 1997; Sonatine (montaggio, attore, regista) Takeshi Kitano  1993; «Violent Cop» (regista) Takeshi Kitano, 1989.