[di MARIA DE FALCO MAROTTA • 23.03.03] Quando Younis Tawfik scrisse questi versi, partecipando al Bunker della poesia durante la 49.ma Esposizione internazionale d’arte, «Platea dell’umanità» (Venezia 2001), non avrebbe mai pensato di diventare tanto popolare con la TV, per via del suo ultimo libro: «L’Iraq di Saddam», accortamente pubblicizzato dalla Bompiani il 14 marzo 2003, con una diretta video, appositamente dedicata alle scuole, durante la quale lo scrittore ha risposto alle numerosissime domande degli studenti e di quanti si sono collegati, curiosi di sapere, a viva voce e da uno che è scappato dal regime, cosa ne pensasse del conflitto in corso.

INTERVISTA A YOUNIS TAWFIK, AUTORE DEL LIBRO «L’IRAQ DI SADDAM»

«IN QUESTO POSTO / SOTTO UNA TENDA NERA / SARA’ LA MORTE DELLA POESIA» (YOUNIS TAWFIK) 

Quando Younis Tawfik scrisse questi versi, partecipando al Bunker della poesia durante la 49.ma Esposizione internazionale d’arte, «Platea dell’umanità» (Venezia 2001), non avrebbe mai pensato di diventare tanto popolare con la TV, per via del suo ultimo libro: «L’Iraq di Saddam», accortamente pubblicizzato dalla Bompiani il 14 marzo 2003, con una diretta video, appositamente dedicata alle scuole, durante la quale lo scrittore ha risposto alle numerosissime domande degli studenti e di quanti si sono collegati, curiosi di sapere, a viva voce e da uno che è scappato dal regime, cosa ne pensasse del conflitto in corso. Saddam, posto sotto accusa, sta tenendo in scacco il mondo con una guerra aborrita da quasi tutti i popoli. Anche il suo nostalgico appello (che riportiamo in parte) per salvaguardare quelle terre care al suo cuore, ma anche a quanti pensano che i Siti archeologici hanno un valore eterno per la cultura umana) ha battuto contro l’arroganza guerresca di due, tra i peggiori antidemocratici del nostro tempo (Saddam &  Bush. Basta vedere come hanno trattato il Papa e tantissimi intellettuali illustri) Younis, il poeta (la poesia è la sua vera anima, quella che l’ha spinto lontano dall’Iraq dove si era installato Saddam) è nato nel 1957 a Mosul (Ninive), che è stata una delle prime ad essere bombardata in Iraq. Trasferitosi  nel 1979 in Italia dove si è laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Torino, dirige la collana «Abadir» Culture dell’Africa e del Medio Oriente della casa editrice Ananke. Presidente del Centro Culturale italo-arabo «Dar al Hikma» (Casa della sapienza), collabora con parecchi  quotidiani italiani e insegna Lingua e Letteratura Araba presso l’Università di Genova. E’ un uomo fervido di idee, ricco di apertura interculturale, caratteristica questa, abbastanza comune nei fuoriusciti iracheni.
 
Perché scrive?
Per sentirmi vivo, per esorcizzare la nostalgia e per non morire. Nel mio libro «L’Iraq di Saddam», racconto la storia del mio  paese, dal remoto passato fino ai tempi recenti, intrecciando letteratura, storia, poesia. Questo testo l’ho dedicato a mio figlio, scrivendogli: “Caro figlio, il destino ci ha inflitto una disgrazia dopo l’altra e la nostra povera patria non ha mai vissuto un momento di pace. Sembra che il diavolo ci abbia sputato sopra, che l’ira di Dio vi sia riservata come la tormenta in pieno inverno e che la morte le scorra dentro le viscere come la lava”.
 
Però lei vive da molto tempo nel nostro Paese. Come si trova?

Dal 1979 risiedo a Torino. Essendomi laureato in lettere, svolgo l’attività di giornalista, conferenziere e insegnante di lingua e cultura araba dedicandomi, in particolare, alla divulgazione della letteratura araba.
 
Come vede l’Italia? Si sente un italiano?
Nel mio libro “La straniera” narro la mia partenza dall’Iraq, all’insediarsi di Saddam al governo; il mio  arrivo a Torino, nel 1985, dove decisi di fondare subito un’associazione italo- araba e dove , da due decenni conduco un’intensa attività di letterato, giornalista, docente universitario e animatore culturale. In un primo tempo, l’associazione ha avuto una sede diversa, però con i miei amici abbiamo trovato uno spazio a Porta Palazzo: un luogo dove, fino a dieci anni fa, vi era un bagno pubblico, da anni in disuso. Presentato il progetto al Comune, grazie all’aiuto di una Cooperativa, abbiamo ottenuto i fondi per iniziare i lavori di ristrutturazione di quello che oggi è diventato il Dar Al Hikma, centro di benessere per il corpo, la mente e non solo. A Torino ho trovato un posto che mi fa sentire come nella mia  terra d’origine, senza rimpianti e timori.
 
Lei ha creato questo centro che ha il nome bellissimo di «Casa della sapienza», con uno scopo ben preciso e cioè l’integrazione tra le varie culture. Ci crede realmente?
Il centro di Porta Palazzo, è un punto di partenza dal quale iniziare una integrazione tra la nostra cultura e quella occidentale, per favorire il dialogo tra civiltà diverse e creare momenti di incontro. Il Califfo al-Ma’mûn, (813 al 833 d.C.)  realizzò a Bagdad Bayt  Dâr al-Hikma- (Casa della sapienza), una sorta di accademia dove si svolse una attività molto intensa di traduzioni dal greco, dal latino, dal siriaco e da altre lingue, con il suo impulso, si  diede il via allo sviluppo degli studi filosofici, scientifici e medici. Il Centro culturale DAR AL HIKMA (http://www.hamam-torino.it/)  non si propone alcuna finalità di propaganda politica o di proselitismo religioso, per tale motivo credo sarà possibile un’integrazione tra le culture.. E’ necessaria, però, la rilettura profonda ed efficace del concetto di identità, visto non tanto come categoria assoluta e legata a radici storiche, ma come prodotto di rapporti di forza, talvolta subiti oppure, in qualche caso, negoziati per fini politici. In Italia c’è una tradizione antica di rapporti con la cultura araba. Nessuna guerra li potrà cancellare.

 
Idea
Quei fogli sparsi / spero che volino / nello spazio della parola. / Forse è un’idea. / In questo posto / sotto una tenda nera / sarà la morte della poesia. / Forse è un’idea. / Cerco la luce a tentoni / nell’oscurità del giorno / e libero nella mia mente / una farfalla di carta. / Forse è un’idea. (Younis Tawfik, Bunker della poesia,  49.ma Esposizione internazionale, d’arte, Venezia 2001)
 
Lettera aperta ai veggenti della guerra
Vi scongiuro di non farlo! / Non tagliate l’albero che un giorno mi ha visto / nascere, crescere sotto i suoi folti rami e giocare / intorno al suo robusto tronco. / Quel vecchio cedro che mi proteggeva generosamente / dai raggi del caldissimo sole d’estate, / e che in inverno suscitava in me rassicuranti / emozioni insieme a un inspiegabile terrore delle
ombre. / Non distruggete quell’antica casa in fondo al vicolo, / che un giorno mi ha accolto / sotto il suo tetto e mi ha dato calore e gioia. / Non date fuoco ai miei libri, ai miei vecchi / quaderni e alle bozze delle mie poesie, / abbandonati nella piccola libreria scavata nel muro. / Non cancellate la mia memoria. / Vi supplico di non farlo! (Younis Tawfik, prefazione a: L’Iraq di Saddam, Bompiani, 2003).