[di GIULIETTO CHIESA • 20.03.04] Nei dintorni del Palazzo di Vetro è in corso - resa più affannosa dai recenti sviluppi spagnoli - la madre di tutte le battaglie diplomatiche dell'amministrazione Usa. L'obiettivo è quello di verniciare di blu l'impresa irachena, cioè dotarsi di uno straccio di legittimazione a posteriori dell'aggressione di un anno fa, fatta senza e contro qualsivoglia autorizzazione da parte del consiglio di sicurezza dell'Onu...

IRAQ/ONU. UNA MANO DI BLU SULLA GUERRA

Nei dintorni del Palazzo di Vetro è in corso – resa più affannosa dai recenti sviluppi spagnoli – la madre di tutte le battaglie diplomatiche dell’amministrazione Usa. L’obiettivo è quello di verniciare di blu l’impresa irachena, cioè dotarsi di uno straccio di legittimazione a posteriori dell’aggressione di un anno fa, fatta senza e contro qualsivoglia autorizzazione da parte del consiglio di sicurezza dell’Onu.

Non si sentono i gemiti delle blandizie o delle minacce con cui Washington sta cercando di ottenere il risultato, ma li si può immaginare: sappiamo che i servizi britannici, su richiesta Usa, spiarono Kofi Annan e (almeno) sei ambasciatori prima del voto mancato che avrebbe dovuto autorizzare l’intervento americano. Non è detto che Bush e Powell riescano nel loro intento, variamente violentando l’Onu e costringendolo a fungere da copertura retrodatada all’aggressione, ma non è escluso. In tal caso possiamo essere certi fin d’ora, con l’aria bipartisan che tira nelle propaggini di destra del centro sinistra, che da Fassino a Berlusconi, passando per Rutelli, si dirà che il problema è chiuso e che bisogna restare in Iraq. Così aiutando la destra a smarcarsi parzialmente dagli Usa annacquando le sue responsabilità. Ma come spiegare l’evidenza a questa
sinistra ossimorica che va al soccorso della destra?

Occorre quindi prepararsi fin d’ora a fissare le coordinate di giudizio. Poiché tutto indica che Washington sta costruendo un “compromesso” che prevede un “trasferimento” dei poteri a una Onu senza alcun potere, con le truppe d’occupazione invariate sul campo, per giunta sotto comando americano e britannico, con gli appalti controllati dagli Usa, con la formazione dell’esercito e della polizia in mani americane e – dulcis in fundo – con un’autorità di governo interamente composta secondo criteri americani e non eletta da nessuno se non dal Dipartimento di stato e dal Pentagono. Cioè non esiste il minimo segno che Bush & company intendano mollare la presa e rinunciare ai colossali interessi economici acquisiti con la guerra e, soprattutto, al controllo del territorio. Quella che si prepara è una commedia tutta da ridere, che lascerebbe le cose come stanno, ma avvolte in una bandiera azzurra.

Occorre dire fin d’ora che, a questo tipo di “legittimazione”, tutta la sinistra decente, e tutta l’Italia democratica che si è battuta contro la guerra, non daranno alcun credito e appoggio. Ma va sfatato anche il mito del 30 giugno. Questa data è un bluff. E’ stata fissata da Washington secondo calcoli elettorali americani. Non c’è alla sua base né una volontà di cambio di rotta, né una reale valutazione delle forze in campo. Il 30 giugno le cose – se non saranno peggiorate – saranno come oggi: occupazione senza prospettive, stillicidio di morti in Iraq, dilagare del terrorismo dovunque.

Un governo italiano che rispettasse la volontà popolare dovrebbe impegnare la sua diplomazia per sottrarre l’Onu a pressioni indebite, sviluppando una vasta iniziativa internazionale in questa direzione e annunciando il ritiro delle proprie truppe. Infatti un qualunque intervento dell’Onu in Iraq, perché abbia una minima possibilità di riuscita, richiede e postula il ritiro delle truppe di occupazione e la loro sostituzione con una forza di pace vera, cioè che escluda dal comando non solo gli anglo-americani, ma anche tutti coloro, Italia inclusa, che hanno prima avallato e poi partecipato all’aggressione militare. Va detto subito, dunque, che per noi, per l’Italia, l’avventura irachena è comunque finita. Dichiararlo fin d’ora significa aiutare l’Onu e aiutare la pace. In caso contrario, quali che siano le argomentazioni, si lavora per la guerra.

GIULIETTO CHIESA