[di Jean Ziegler - Traduzione di Cristiana Calducci • 27.11.03] "La catastrofe umanitaria che si sta profilando nei territori palestinesi occupati, a causa delle misure militari incredibilmente dure imposte dalla forza occupante israeliana dallo scoppio della seconda intifada nel settembre 2000, deve essere arginata. E’ inammissibile che le misure militari volte a proteggere la popolazione israeliana siano imposte in modo tale da mettere in pericolo la sicurezza alimentare dell’intera popolazione palestinese. Come ha osservato Amnesty International, non è ammissibile castigare l’intera popolazione per le azioni di alcuni dei suoi membri". Nuovi Mondi Media pubblica in esclusiva la traduzione del drammatico rapporto di Jean Ziegler, sociologo svizzero e osservatore dell’ONU per il diritto al cibo, dopo la sua missione nei territori palestinesi occupati per conto delle Nazioni Unite...

JEAN ZIEGLER (ONU): «LA PALESTINA SULL’ORLO DI UNA CATASTROFE UMANITARIA»

“La catastrofe umanitaria che si sta profilando nei territori palestinesi occupati, a causa delle misure militari incredibilmente dure imposte dalla forza occupante israeliana dallo scoppio della seconda intifada nel settembre 2000, deve essere arginata. E’ inammissibile che le misure militari volte a proteggere la popolazione israeliana siano imposte in modo tale da mettere in pericolo la sicurezza alimentare dell’intera popolazione palestinese. Come ha osservato Amnesty International, non è ammissibile castigare l’intera popolazione per le azioni di alcuni dei suoi membri”.
Nuovi Mondi Media pubblica in esclusiva la traduzione del drammatico rapporto di Jean Ziegler, sociologo svizzero e osservatore dell’ONU per il diritto al cibo, dopo la sua missione nei territori palestinesi occupati per conto delle Nazioni Unite.

Indice generale
Introduzione
 
1. Panoramica su malnutrizione e precariato alimentare nei territori palestinesi occupati.
A. Sull’orlo di una catastrofe umanitaria B. Cause della crisi alimentare
 
2. Il contesto legale che controlla il diritto al cibo nei territori palestinesi occupati
A. Stato della legge internazionale nei territori palestinesi occupati
B. Obblighi delle autorità israeliane
C. Obblighi delle autorità palestinesi
D. Altre leggi fondamentali e istituzioni che controllano la situazione
 
3. Principali rilevazioni e impegni sulla realizzazione del diritto al cibo
A. La crisi umanitaria e il diritto al cibo
B. Violazioni del diritto al ciboConclusioni e suggerimenti
 
INTRODUZIONE
 
Jean Ziegler ha compiuto una missione nei territori palestinesi occupati dal 3 al 13 luglio 2003. Per la prima volta il governo israeliano ha ricevuto ufficialmente una missione di un osservatore delle Nazioni Unite, accolto in una lettera di benvenuto datata 23 maggio 2003. La missione è avvenuta in un periodo di speranza, durante il quale le negoziazioni sulla Roadmap stavano facendo progressi e continuava il cessate il fuoco. Quello della Roadmap – un piano per la pace – è un processo in cui l’ONU ha ricoperto un ruolo vitale in quanto membro del “Quartetto” e rispetto al quale il rappresentante del Segretariato Generale delle Nazioni Unite in particolare, Terje Larsen, mantiene la promessa di porre fine alle terribili sofferenze sia degli israeliani sia dei palestinesi. L’osservatore esprime la sua profonda solidarietà e compassione per tutte le vittime uccise e ferite, israeliane e palestinesi; la popolazione civile dei due paesi in guerra subisce una tragedia orribile: gli israeliani vivono sotto la minaccia degli attacchi suicidi dei kamikaze palestinesi ma anche i palestinesi vivono nel terrore, dato che le donne e i bambini vengono uccisi frequentemente nelle case o nelle strade affollate per mano delle operazioni militari israeliane che mirano ai leader palestinesi. Dall’inizio della seconda intifada – nel settembre 2000 – sono stati uccisi 820 israeliani e 2.518 palestinesi, tra cui molte donne e bambini innocenti.[1] Migliaia di altri civili innocenti, israeliani e palestinesi, sono rimasti gravemente feriti.  
Questa missione è stata intrapresa in risposta alla comparsa di una catastrofe umanitaria nei territori palestinesi occupati. Tra i palestinesi, in seguito alle misure di sicurezza imposte nei territori occupati dalle potenze militari occupanti, si sta verificando una crescente crisi alimentare e un rapido aumento dei livelli di malnutrizione. Gli obiettivi della missione erano volti a comprendere meglio le motivazioni legate alla crisi alimentare nei territori, una crisi apparentemente assurda in una terra così fertile e popolata da gente con un’antica tradizione agricola e commerciale. Lo scopo della missione consisteva nell’analisi del rapido peggioramento dei livelli di malnutrizione tra i palestinesi dal punto di vista del diritto al cibo, con l’obiettivo finale di portare consigli positivi nella speranza di migliorare la situazione. Non rientrava nei punti prefissati esaminare la malnutrizione in Israele. Anche se la malnutrizione esiste tra gli israeliani più poveri, attualmente non è a livelli critici e potrebbe essere risolta se ai poveri venissero indirizzate delle risorse adeguate.[2] D’altronde, nei territori palestinesi, la fame e la malnutrizione sono state causate dalle attuali misure imposte.  
L’osservatore è stato ricevuto dagli ufficiali del Governo Israeliano a Tel Aviv e a Gerusalemme: ha incontrato il Deputato del Direttore Generale del Ministero degli Affari Esteri e gli ufficiali del Ministero della Difesa che amministrano i territori palestinesi occupati, compreso il Deputato Coordinatore delle Attività Civili nella Striscia di Gaza e nella Sponda Occidentale, il sig. Camil Abu Rukun e altri ufficiali dell’amministrazione civile; infine, il Maggiore Michael Bendavid, Capo della Sezione Internazionale e dei Corpi Generali degli Avvocati Militari. Ziegler è stato ricevuto anche dal sig. Yossef C. Dreizin, Direttore della Divisione di Pianificazione dell’Acqua della Commissione Idrica; inoltre, ha avuto la possibilità di conoscere anche gli illustri leader del partito dell’opposizione, nonché membri del parlamento israeliano, il Knesset. In ogni caso, nonostante lo svolgimento di questi incontri, all’osservatore non è stato concesso nessun permesso speciale che garantisse i suo liberi spostamenti all’interno della Sponda Occidentale e della Striscia di Gaza ed egli stesso si è ritrovato trattenuto più volte ai checkpoint militari, nonostante il coordinamento preventivo di tutto il viaggio. Al checkpoint di Qualqilya, un soldato israeliano ha mirato deliberatamente con la propria arma verso un punto molto vicino al veicolo di Ziegler; fortunatamente il soldato non ha sparato, ma l’osservatore ha notato che questo tipo di incidenti avvengono fin troppo spesso e non risparmiano il corpo diplomatico dell’ONU. Ziegler è stato ricevuto dall’autorità nazionale palestinese sulla Sponda Occidentale e sulla Striscia di Gaza; ha avuto l’onore di essere ricevuto dal Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yassir Arafat, dal Negoziatore Capo Palestinese, il sig. Erekat, così come dai più importanti ministri, compreso il ministro della Salute e dell’Agricoltura. Ha incontrato anche i rappresentati del Ministero del Lavoro, l’Autorità Palestinese dell’Acqua e l’Unità Negoziatrice dell’Organismo di Libertà Palestinese, oltre agli illustri membri del Concilio Legislativo Palestinese. La missione ha incontrato anche il dottor Zaid Zeedani, Direttore della Commissione Palestinese Indipendente per i Diritti dei Cittadini. Nelle varie zone della Sponda Occidentale e della Striscia di Gaza, la missione è stata ricevuta dai i vertici delle autorità locali, i sindaci dei villaggi e delle cittadine, dagli unionisti e dagli accademici. A Gerusalemme, Ziegler ha apprezzato molto i colloqui con Michael Keating all’Unsco e con i rappresentati superiori di Unwra, Fao, Wfp, Ocha, Unicef, Unfpa Unscoord e della Banca Mondiale per l’aiuto dimostrato; in particolare, l’Ufficio dell’Alto Commissario dei Diritti Umani di Ginevra, e l’ufficio sul campo dell’Ufficio dell’Alto Commissario dei Diritti Umani per l’efficienza e la competenza nel sostegno dimostrato verso la missione; l’osservatore vorrebbe ringraziare il Commissario Generale, il sig. Peter Hansen dell’Unwra, per avergli concesso un incontro a Ginevra; vorrebbe anche esprimere la sua gratitudine al dottor Ernst Iten, l’ambasciatore svizzero in Israele, e al sig. Jean Jacques Joris, il rappresentante svizzero dell’Autorità Palestinese. Jean Ziegler è riconoscente anche a tutte le organizzazioni non governative israeliane e palestinesi incontrate a Gerusalemme, a Ramallah, a Gaza e a Tel Aviv; estende la sua gratitudine in particolare al sig. Michel Dufour, il delegato Capo dell’ICRC a Gerusalemme. L’osservatore elogia l’opera coraggiosa e ardita di tutte queste organizzazioni, compresa l’Azione contro la Fame, l’ Oxfam, il Care International, Save The Children e Terre des Hommes che lavorano per sanare la crisi nei territori palestinesi occupati; egli ha conosciuto anche le organizzazioni israeliane e palestinesi, comprendenti il LAW (Società Palestinese per la Protezione dei Diritti Umani), la Commissione Pubblica contro la Tortura, Rabbini e Medici per i diritti umani, e la Coalizione Internazionale per l’Habitat, il Gruppo per l’Acqua Palestinese, il PARC, l’Istituto della Ricerca Apllicata (ARIJ). Ha incontrato importanti intellettuali, come Michael Warshawski, i cui testi hanno contribuito a illuminare l’opinione pubblica in Israele e in Francia; Ziegler ha conosciuto anche l’organizzazione israeliana B’Tselem che lotta per i diritti umani dei palestinesi, l’Istituto Mandela che controlla le condizioni dei detenuti e gli avvocati israeliani che rappresentano la Corte di Giustizia palestinese in Israele. Sono queste organizzazioni non governative a portare la speranza. E’ soprattutto grazie al loro operato che sono stati costruiti ponti vitali tra israeliani e palestinesi in un momento in cui queste due società sono totalmente separate dal reciproco fraintendimento e, talvolta, dall’odio. Nell’attuale clima di fraintendimento, sono questi organismi a giocare un ruolo decisivo nel processo di comprensione tra le parti. L’équipe della missione ha viaggiato nella Sponda Occidentale e nella Striscia di Gaza, le zone che assieme formano “i Territori Palestinesi Occupati”, sotto amministrazione militare israeliana dal 1967: racchiudono un’aerea di 5.800 chilometri quadrati in cui vivono oltre tre milioni e mezzo di palestinesi. La Striscia di Gaza stessa è uno dei luoghi più affollati sulla terra, con la più alta densità di popolazione: 1 milione e trecentomila persone sono stipate in un’aerea di 360 chilometri quadrati. Più dell’83% dei palestinesi che vivono della Striscia di Gaza sono alloggiati nei campi per i rifugiati. Nella Striscia di Gaza la missione ha visitato Beit Hanoun, Jabalia, Khan Younis e l’area di confine di Rafah. Nella Sponda Occidentale, la missione ha visitato Gerusalemme, Betlemme, Ramallah, Gerico e altre località viaggiando ampiamente nel territorio, comprese le comunità di Qalquilya e di Tulkarem, dove al momento è stata costruita la “Barriera di Sicurezza”, o “Muro Separatorio”. La missione ha visitato anche la prigione di Meggido, un carcere israeliano che ospita i detenuti palestinesi, nel nord di Israele, e una prigione palestinese che ospita detenuti palestinesi, a Gerico. L’osservatore esprime la sua gratitudine alle varie agenzie delle Nazioni Unite e alle ONG che hanno organizzato per lui queste visite sul campo, accompagnandolo. Durante queste visite, Ziegler ha avuto la possibilità di parlare con una gran varietà di persone, compresi i contadini palestinesi – uomini e donne – i mercanti e i trasportatori, gli accademici e gente comune che vive nei Territori Occupati.
 
La situazione in queste zone è in evoluzione e può cambiare molto velocemente. Il presente rapporto è relativo solo al periodo in cui l’équipe della missione ha visitato i Territori, ma cerca di identificare le zone che preoccupano e quelle che generano speranza, che continueranno a essere monitorate dalle stesse persone.  

1. MALNUTRIZIONE E PRECARIATO ALIMENTARE NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI

Sull’orlo di una catastrofe umanitaria
I territori palestinesi occupati sono sull’orlo di una catastrofe umanitaria a causa delle misure militari incredibilmente dure imposte dalla forza occupante israeliana dallo scoppio della seconda intifada, nel settembre 2000. I livelli di malnutrizione tra i palestinesi sono peggiorati velocemente da quando sono state imposte tali misure militari. Uno studio finanziato dagli Stati Uniti riporta che i “territori palestinesi, e in particolare la Striscia di Gaza, si trovano di fronte a una forte emergenza umanitaria dovuta a una grave malnutrizione”.[3] La malnutrizione registrata a Gaza ora è equivalente ai livelli rintracciati nei paesi subsahariani: una situazione assurda, dato che la Palestina in passato era un paese con discrete entrate economiche. Secondo le statistiche del PCBS, oggi oltre il 22% dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione (il 9,3% soffre di malnutrizione acuta e il 13,2% di malnutrizione cronica), rispetto al 7,6% del 2.000 (in cui l’1,4% soffriva di malnutrizione acuta mentre il 6,2% di malnutrizione cronica).[4] Il 15,6% circa dei bambini sotto i cinque anni soffre di anemia acuta,[5] che per molti avrà ripercussioni permanenti sullo sviluppo psicofisico. Il consumo di cibo è diminuito di oltre il 30% pro capite.[6] E’ stata ampiamente registrata la carenza di cibo, soprattutto di quello proteico;[7] più della metà delle famiglie palestinesi ora consuma un solo pasto al giorno;[8] molti palestinesi coi quali l’osservatore ha parlato, hanno dichiarato di tentare a sopravvivere a pane e tè. L’economia è quasi collassata e il numero dei poverissimi è triplicato. Il 60% circa dei palestinesi vive ora in estrema povertà (il 75% a Gaza, il 50% nella Sponda Occidentale). Il prodotto interno lordo pro capite è precipitato di quasi la metà rispetto a due anni fa.[9] Anche quando il cibo è disponibile, molti palestinesi non sono in grado di comprarlo per le proprie famiglie. Più del 50% dei palestinesi è stato costretto a indebitarsi per comprare cibo e molti altri, in preda alla disperazione, vendono tutto ciò che possiedono.[10] Oltre il 50% dei palestinesi ora è completamente dipendente dagli aiuti alimentari, tuttavia, come per molte delle organizzazioni umanitarie incontrate dalla missione, l’ingresso e gli spostamenti nei territori palestinesi per i supporti alimentari viene spesso respinto e i veicoli sono costretti a tornare indietro. Per l’ONU e per le ONG l’accesso umanitario spesso è ostacolato. Nel maggio 2003, per esempio, una delegazione dell’UNSCO è stata bloccata a Gaza per 5 giorni e le forze occupanti le hanno impedito di partire. Il fatto che i palestinesi non ricevano abbastanza cibo, attraverso gli aiuti o meno, è dimostrato dal rapido peggioramento dei livelli di malnutrizione.

Cause della crisi alimentare
(i) Chiusure e limitazione degli spostamenti
Una limitazione senza precedenti degli spostamenti dei palestinesi all’interno dei territori occupati li sta privando non solo della loro libertà di movimento, ma anche del diritto al cibo. La vasta imposizione dei coprifuoco, delle chiusure stradali, dei sistemi di permessi, dei checkpoint di sicurezza e dello “spalla a spalla” per lo scarico di merci dei camion imposto dalle forze militari occupanti, stanno producendo una crisi umanitaria. Uno studio finanziato dagli USAID sostiene che “l’attacco dell’intifada del settembre 2000 e le conseguenti incursioni militari israeliane, le chiusure e il coprifuoco, hanno devastato l’economia palestinese, nonché minato quei sistemi su cui si basa la popolazione civile palestinese per i bisogni elementari, compresi il cibo e la salute.”[11] La Banca Mondiale ha osservato che la “la vera causa imputabile per la crisi economica palestinese è la chiusura”.[12] Le limitazioni agli spostamenti significano che l’economia è quasi collassata e che molti palestinesi non sono in grado di nutrirsi da soli: non possono andare a lavorare, o coltivare i loro campi, o andare a comprare il cibo. Per molti, questa incapacità di nutrire le proprie famiglie sta portando a una perdita della dignità umana e a una disperazione totale, che passa spesso attraverso l’arroganza e l’umiliazione ai checkpoint, quando gli abitanti provano a recarsi al lavoro o a comprare del cibo.[13] Come scrive Avraham Burg, l’illustre ex voce del Knesset e ora membro del Partito laburista Knesset, “è difficile comprendere l’esperienza umiliante vissuta dall’arabo disprezzato, costretto a strisciare per ore lungo le strade dissestate e assediate che gli sono state cedute”[14]. Le chiusure impediscono gli spostamenti non solo tra le zone palestinesi e Israele, ma anche entro i territori palestinesi. Le strade sono chiuse tra quasi tutti i villaggi e le cittadine, tramite i checkpoint equipaggiati di soldati o attraverso barriere fisiche come blocchi di cemento e trincee profonde. La maggior parte dei viaggi che avrebbero richiesto qualche minuto ora richiedono diverse ore o giorni, anche per raggiungere il villaggio più vicino. L’osservatore ha notato che è quasi sempre possibile allungare il percorso attraverso le montagne per chi è in forma e per chi è un buon camminatore, ma non per chi è anziano, debole, affamato o ammalato, il che rende sospetta la giustificazione delle chiusure come una misura di sicurezza efficace. I movimenti di merci sono controllati attraverso un sistema di “spalla a spalla” che richiede a tutti i camion di scaricare le merci su un lato del checkpoint per poi ricaricarle su un altro camion parcheggiato nel lato opposto del checkpoint. Considerato il numero di checkpoint che chiudono le strade lungo tutta la Sponda Occidentale e a Gaza, ciò aumenta terribilmente il costo dei trasporti alimentari e della produzione agricola.[15] In certi casi, il passaggio degli alimenti e della produzione agricola viene respinto per giorni ai checkpoint senza alcuna spiegazione. In vari checkpoint sulla Sponda Occidentale, l’osservatore ha visto camion di frutta e legumi marcire sotto il sole. Ogni palestinese deve ottenere il permesso di viaggio per qualsiasi distanza lunga o per poter lavorare in Israele. Più di 100.000 lavori di palestinesi in Israele sono stati persi dallo scoppio dell’intifada, quando i permessi sono stati revocati. Ma ai palestinesi è richiesto anche di fare domanda per il permesso di viaggio da una cittadina della Sponda Occidentale all’altra, e spesso i permessi sono negati senza una vera spiegazione.[16] I coprifuoco, a volte, sono imposti per giorni tenendo la gente di intere località dentro casa sotto arresto domiciliare virtuale.[17] Queste misure rendono la vita quasi insopportabile e minacciano seriamente la sicurezza alimentare di tutti i palestinesi. Molte ONG (israeliane, palestinesi e internazionali) suggeriscono che queste misure militari non stiano servendo la causa della sicurezza, bensì sono state imposte come forme di punizione collettiva; l’obiettivo di queste norme non sono i soggetti particolari che potrebbero rappresentare una minaccia, ma piuttosto mettere a rischio la sicurezza alimentare della maggior parte della popolazione palestinese. Durante la permanenza di Ziegler, le forze occupanti hanno eliminato pochissime chiusure e checkpoint. Sebbene l’esercito si fosse ritirato da alcune località palestinesi, nella maggior parte dei casi i carri armati si sono spostati semplicemente alle periferie delle città. Per esempio, l’osservatore ha visitato Betlemme in un momento in cui i militari si erano trasferiti fuori dalla città, cedendo il controllo alla polizia palestinese; tuttavia, anche in questo periodo di ritirata, gli abitanti di Betlemme avevano l’impressione di vivere in una prigione, circondata da carri armati ritiratisi solo alle porte della città.[18] A un checkpoint armato, al veicolo stesso dell’osservatore in uscita da Betlemme è stato impedito di passare: gli è stato ordinato di fare inversione e di usare un’altra strada. La scarsità d’acqua è un problema serio tanto quanto quello della mancanza di cibo. Con il sistema dei checkpoint e delle chiusure, le cisterne d’acqua non possono sempre raggiungere i villaggi oppure, in maniera del tutto arbitraria, non gli è concesso di attraversare i checkpoint, lasciando le comunità senz’acqua per giorni.[19] La situazione è molto più grave per le circa 280 comunità rurali dei territori occupati che non hanno accesso ai pozzi o all’acqua corrente ma che sono del tutto dipendenti dall’acqua inviata dalle cisterne municipali e private. Il prezzo di questa acqua è cresciuto fino all’80% dal settembre 2000, in seguito all’aumento dei costi di trasporto dovuti alle chiusure, mentre la qualità dell’acqua messa nelle cisterne non incontra più gli standard dell’acqua potabile WHO.[20] I rapporti sui disagi generati dall’acqua continuano a crescere a seguito della distruzione delle risorse idriche e dell’aumentata dipendenza sulla scarsa qualità delle risorse idriche.[21]
(ii) Distruzione, espropriazione e confisca del territorio palestinese
Dallo scoppio della seconda intifada si è verificato un numero senza precedenti di distruzione e confisca del territorio palestinese, dell’acqua, delle infrastrutture e di altre risorse, oltre alla continua crescita degli insediamenti nei territori palestinesi che sta anche privando molti palestinesi del diritto al cibo. La distruzione delle aziende agricole e di ampie strisce di campi agricoli, comprese quelle degli ulivi e degli agrumi e dei pozzi per l’irrigazione, ha contribuito al collasso dell’agricoltura. Nella Striscia di Gaza, l’osservatore ha assistito alla distruzione devastante dell’infrastruttura agricola, alla demolizione di edifici agricoli e, a Beit Hanoun di campi con centinaia di alberi di olivo e di agrumi rasi al suolo, poco dopo un’incursione dell’esercito. Ziegler ha assistito alla demolizione di case e di mezzi di sussistenza a Khan Younis e a Rafah; ha visto i bulldozer delle forze occupanti ancora all’opera a Rafah, nel luogo in cui Rachel Corrie, l’attivista americana pacifista, è stata uccisa nel marzo 2003 da un bulldozer corazzato mentre stava cercando di evitare la demolizione di una casa palestinese.[22] Allo stesso modo continuano anche l’espropriazione e la confisca di vaste fasce del territorio palestinese agricolo e delle fonti di acqua. Il territorio è stato confiscato, per esempio, per la costruzione del “recinto di sicurezza”/”muro dell’apartheid”[23] lungo la Sponda Occidentale dei territori palestinesi (vedi sotto); è stato confiscato anche all’interno di Gerusalemme per costruire un muro nuovo che taglia a metà centri come Abu Dis e Sawahreh. Gideon Levy scrive che il muro che spacca a metà Abu Dis equivale a un “abuso collettivo che non ha alcuna relazione col suo scopo dichiarato”. Nel muro non è stato costruito nessun cancello, ma la polizia al confine permette alla gente di scavalcarlo se in grado, tuttavia chi ci prova è umiliato non appena lo fa. “Un’intera cittadina scavalca il muro per andare a scuola, per recarsi dal fruttivendolo, e al lavoro: giorno dopo giorno, sera dopo sera: giovani, anziani, donne e bambini”.[24] La cittadina di Sawahreh non è ancora tagliata a metà. Il 14 agosto 50.000 palestinesi hanno ricevuto l’ordine di espropriazione dal Ministero Israeliano per la Difesa, che gli ha imposto di lasciare le proprie case sulla base di una legge del 1949 che autorizza le “evacuazioni territoriali in caso di emergenza”. Gli abitanti sono informati del fatto che possono ottenere un risarcimento, ma pochi palestinesi possono permettersi di impegnare degli avvocati per ottenere l’indennizzo.[25] La terra è stata confiscata anche per l’estensione degli insediamenti, la costruzione delle strade riservate ai coloni, e per l’edificazione di cinte di sicurezza del territorio attorno agli insediamenti. Il 21 maggio 2003, per esempio, il Ministro dell’Urbanistica ha pubblicizzato una gara d’appalto per la costruzione di 502 nuovi appartamenti nel Maale Adumim, il grande insediamento che si estende da Gerusalemme est fino alla zona di Gerico, tagliando in due la Sponda Occidentale.[26] La forza occupante sta gradualmente assumendo un controllo sempre maggiore su un numero sempre più vasto di territori palestinesi, confinando i palestinesi in zone sempre più piccole, “seguendo la mappa pianificata di insediamento, e della costruzione di una strada tangenziale, il cui ruolo è assicurare il controllo costante di Israele, sia direttamente sul territorio confiscato dichiarato ‘territorio statale’ sia indirettamente, accerchiando quasi ogni singola comunità palestinese attraverso gli insediamenti, o le ‘zone di tiro’, o le basi di addestramento militare”.[27] Le strade riservate ai coloni tagliano i territori palestinesi dividendo la zona e fungendo da ulteriore chiusura che impedisce lo spostamento degli abitanti legittimi. Molte ONG, israeliane, palestinesi e internazionali, sostengono che la confisca in corso del territorio palestinese equivalga a una lenta espropriazione del popolo palestinese.
(iii) La strategia del “modello Bantu”
Per molti intellettuali israeliani e palestinesi, così come per i commentatori internazionali, la politica della confisca del territorio è ispirata a una strategia sottostante di isolamento graduale delle comunità palestinesi in “zone Bantu” separate. Michael Warschawski ha indicato una politica consapevole che segue il “modello Bantu” per la Palestina.[28] Un commentatore israeliano più anziano, Akiv Eldar, ha scritto qualcosa sull’uso esplicito del concetto di “zona Bantu” da parte del Primo Ministro Sharon, il quale una volta “spiegò come finalmente il modello Bantu rappresentasse la soluzione più appropriata al conflitto”.[29] Il termine “zona Bantu” si riferisce storicamente a delle zone territoriali separate e individuate come luoghi di origine per la gente di colore, imposto dallo stato di apartheid in Sudafrica. L’utilizzo del modello Bantu, in effetti, taglierebbe fuori la Palestina dal suo territorio e dalle sue risorse idriche, fornirebbe bacini di manodopera a basso costo a Israele, priverebbe il futuro stato palestinese di qualsiasi base territoriale coerente con i confini internazionali, e impedirebbe la costruzione di una Nazione palestinese dotata di qualsiasi reale sovranità e in grado di assicurare il diritto al cibo alla propria gente. La costruzione del recinto di sicurezza o muro dell’apartheid, è vista come una manifestazione concreta di tale “modello Bantu”, come lo sono l’estensione e la costruzione di nuovi insediamenti e delle strade per i coloni, che tagliano la Sponda Occidentale e la Striscia di Gaza in unità territoriali a malapena vicine. Osservando le mappe dettagliate della direzione attuale e futura dei recinti di sicurezza o muri dell’apartheid e degli insediamenti, che sono state fornite all’osservatore dalle autorità palestinesi e israeliane, così come dalle ONG, diventa evidente che la strategia del modello Bantu è già in corso. Ciò minaccia la possibilità di creare uno stato palestinese viabile e con un’economia funzionante in grado di nutrire la sua gente. Secondo Jeff Halper, Coordinatore della Commissione Israeliana contro la Demolizione delle Case, la Roadmap offre un barlume di speranza perché fa esplicitamente riferimento alla “fine dell’occupazione” nei territori. In ogni caso, giunge anche in un momento “in cui Israele sta dando il tocco finale alla sua campagna lunga 35 anni di rendere l’occupazione irreversibile”.[30]
(iv) Ostacolare gli aiuti umanitari
Il governo israeliano ha l’obbligo, dettato da una legge internazionale, di assicurare la sopravvivenza della popolazione occupata e di fornire assistenza quando necessario. Ciononostante, al momento, sono l’ONU e le altre agenzie internazionali e non governative a compiere degli sforzi per provvedere agli aiuti alimentari per i palestinesi. All’epoca della missione, nel luglio 2003, l’UNWRA fornisce cibo a 1,2 su 1,5 milione di palestinesi rifugiati a Gaza. L’ICR fornisce cibo a 50.000 famiglie (circa 650.000 persone), dopo avere esteso eccezionalmente il suo programma alimentare fino al dicembre 2003. Nonostante questi tentativi di provvedere agli aiuti alimentari e di fornire altra assistenza, molte organizzazioni dichiarano che l’accesso umanitario spesso è limitato o negato dall’amministrazione occupante attraverso i checkpoint, le chiusure, e il sistema spalla contro spalla degli scarichi dei camion. Nell’agosto 2002, la visita di Catherine Bertini, come Inviato Personale Umanitario del Segretariato Generale, doveva assicurare un impegno specifico da parte del governo israeliano nel facilitare l’accesso agli aiuti umanitari. Tuttavia, molte organizzazioni internazionali e di supporto locale hanno informato l’osservatore che sebbene ciò sia emerso in alcuni piccoli miglioramenti negli accessi umanitari, gli impegni presi con la Bertini sono ancora lungi dall’essere pienamente rispettati. Mentre l’accesso per gli aiuti umanitari alimentari va migliorato nel brevissimo termine, sul lungo termine gli aiuti alimentari non rappresentano la risposta alla crisi. L’osservatore è d’accordo con Catherine Bertini, sul fatto che l’attuale crisi umanitaria è interamente artificiale.[31] Le carenze di cibo e di acqua non hanno niente a che fare con la siccità, le inondazioni o altri disastri naturali. Prima della crisi attuale, i territori palestinesi avevano terre fertili e possedevano un’economia piuttosto attiva, che esportava migliaia di tonnellate di olive, frutta e legumi in Israele, in Europa e nei paesi del Golfo. L’attuale crisi artificiale è il risultato di misure rigide che impediscono gli spostamenti delle persone e delle merci e che hanno portato l’economia e l’agricoltura palestinesi sull’orlo del tracollo. La crisi umanitaria, quindi, potrebbe essere velocemente alleviata se venissero subito facilitati i movimenti delle persone e delle merci.  

III IL CONTESTO LEGALE CHE CONTROLLA IL DIRITTO AL CIBO NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI
L’attuale crisi umanitaria nei territori occupati è una conseguenza di chiare violazioni del diritto al cibo. Il governo di Israele, secondo i diritti umani internazionali e la legge umanitaria, nella sua occupazione dei territori palestinesi ha la responsabilità di assicurare il diritto al cibo alla popolazione palestinese e ha l’obbligo di evitare la violazione di tale diritto. Secondo la legge internazionale, lo stabilimento di insediamenti nei territori occupati è vietato, in quanto simbolo della punizione collettiva per la popolazione civile.
La presente sezione definisce il diritto al cibo, e introduce il contesto legale che controlla il diritto al cibo nei territori occupati, compresi gli obblighi della forza occupante israeliana.
Il diritto al cibo è innanzitutto il diritto di essere in grado di nutrirsi attraverso l’accesso fisico ed economico al cibo. Il diritto al cibo è stato pienamente definito nel Commento Generale 12 della Commissione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. Ispirato da questo Commento, Ziegler riassume il diritto al cibo come “il diritto di avere accesso regolare, libero e permanente – diretto o tramite acquisti finanziari – al cibo, sufficiente quantitativamente e qualitativamente, corrispondente alle tradizioni culturali della gente al quale il consumo appartiene e che assicuri una vita fisica e mentale, individuale e collettiva appagante e dignitosa, priva di paure”. (E/CN.4/2001/53). Il diritto al cibo include la disponibilità di acqua potabile e acqua per l’irrigazione necessaria alla sussistenza della produzione agricola (A/567210; E/CN.4/2003/54). Come delineato dal Commento Generale 12, il diritto al cibo comporta tre diversi livelli di obblighi: quelli di rispettare, proteggere e soddisfare il diritto al cibo.

A. Stato della legge internazionale dei territori palestinesi occupati
Secondo la legge internazionale, la Sponda Occidentale, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza sono definiti come “Territori Occupati”, mentre Israele è la “Potenza Occupante”. Ciò è stato confermato dal Concilio di Sicurezza[32] e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I territori sono considerati “occupati” sulla base di un principio fondamentale nel diritto internazionale: l’inammissibilità dell’acquisizione di territori attraverso la guerra. Ciò è stato riconfermato dal Concilio di Sicurezza dalla sua Risoluzione 242 del 22 novembre 1967. Il processo di Oslo non ha cambiato lo stato dei territori occupati, com’è stato sottolineato dal Consiglio di Sicurezza[33], dall’Assemblea Generale, dall’ICRC e dai Partiti Superiori Contraenti nella Quarta Convenzione di Ginevra. Il diritto internazionale applicabile ai territori palestinesi occupati include sia la legge umanitaria sia la legge sui diritti umani, nonostante ciò sia contestato dal governo israeliano. Israele contesta l’applicazione (de jure) della Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione delle Persone Civili nel periodo di guerra (ma è d’accordo tuttavia ad applicare le sue clausole umanitarie de facto); contesta anche l’applicazione della legge internazionale sui diritti umanitari nei territori palestinesi occupati. In ogni caso, la maggior parte dei corpi delle Nazioni Unite, compreso l’illustre osservatore sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati, il professor John Dugard[34], hanno concordato che la legge umanitaria internazionale e la legge sui diritti umani siano entrambe applicabili. In termini di legge umanitaria, il Concilio di Sicurezza, l’Assemblea Generale dell’ICRC, i Partiti Superiori Contraenti alla Convenzione di Ginevra, così come la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani, hanno ripetutamente ribadito che la Convenzione si applica de jure alla situazione dei territori palestinesi occupati. Secondo la Corte Suprema Israeliana,[35] le uniche normative applicabili sono quelle dell’Aja del 1907, che rispettano le leggi e i costumi della guerra sul territorio, di cui gli articoli 42-45 si collegano ai territori occupati, in quanto questi sono parte della legge consuetudinaria internazionale. Comunque anche la Quarta Convenzione di Ginevra costituisce parte della legge consuetudinaria internazionale, come confermato dalla Corte Internazionale di Giustizia[36] e dal Concilio di Sicurezza, e quindi questa legge potrebbe anche essere resa processabile davanti alla Corte Suprema d’Israele. Ciò è valido anche per la Terza Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra.[37] In termini di legge dei diritti umani internazionali, il fatto che ciò sia applicabile è stato ripetuto dal Concilio di Sicurezza, dall’Assemblea Generale, dalla Commissione sui Diritti Umani, dalla Commissione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, dalla Commissione contro la Tortura e dalla Commissione per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale. L’applicabilità della legge dei diritti umani è stata anche confermata dall’Accordo Provvisorio in cui i concili israeliano e palestinese hanno concordato di esercitare i loro poteri e le loro responsabilità “con il dovuto rispetto per le norme internazionalmente accettate, dei principi dei diritti umani, e del governo della legge”. [38] Inoltre, come ha riaffermato più volte l’Assemblea Generale,[39] il popolo palestinese possiede il diritto di autodeterminazione, in virtù del quale dovrebbe essere in grado di disporre liberamente della propria ricchezza e delle risorse naturali, comprese la terra e l’acqua, e non dovrebbe essere privato in nessun caso dei propri mezzi di sussistenza.[40] Il processo di Oslo, che ha dato origine all’emergenza dell’autorità palestinese, e la Roadmap, che mira a creare uno stato palestinese democratico, indipendente e viabile entro il 1 gennaio 2005, rafforzano e confermano questo diritto.

B. Obblighi della forza occupante israeliana.
In qualità di forza occupante, il governo israeliano ha alcuni diritti definiti e alcuni obblighi secondo il diritto umanitario, compresa l’interdizione delle punizioni collettive e della costruzione di insediamenti. Ciò non è stato modificato dal processo di Oslo, come riconfermato dal Consiglio di Sicurezza il 7 ottobre 2000, che invita “Israele, la potenza occupante, a seguire scrupolosamente i suoi obblighi e le sue responsabilità secondo la Quarta Convenzione di Ginevra”.[41] Come ha delineato l’osservatore nelle sue precedenti relazioni, (A/56/210; E/CN. 4/2002/58), molte leggi del diritto umanitario mirano a garantire che la popolazione occupata abbia accesso a cibo e acqua adeguati. Alcune di queste leggi sono di natura preventiva, altre si applicano all’assistenza umanitaria, mentre ulteriori normative provvedono all’accesso al cibo per specifiche categorie di persone, compresi i prigionieri. Il primo obbligo della forza occupante è di rispettare l’ingresso del cibo e dell’acqua potabile per la popolazione palestinese, e il libero accesso alle risorse, comprese la terra e l’acqua per l’irrigazione al fine di produrre e consumare il cibo adeguato. Secondo il diritto umanitario, la proprietà privata non può essere confiscata (articolo 46 delle Normative dell’Aja), le punizioni collettive e l’annessione sono proibite (articolo 33 e 47 della Quarta Convenzione di Ginevra), la requisizione del territorio non può essere richiesta, eccetto per bisogni militari (articolo 52 delle Normative dell’Aja) e qualsiasi distruzione delle cose di proprietà, individuale o collettivamente alle persone private, o allo Stato, o ad altre autorità pubbliche, è proibito dall’art. 53 della Quarta Convenzione di Ginevra, a meno che tale distruzione non sia resa assolutamente necessaria per le operazioni militari. Per la stessa ragione, è proibita l’evacuazione di una data area, eccetto il caso in cui lo richiedano ragioni militari imperative ma, in quella eventualità, bisognerebbe provvedere a una sistemazione adeguata e le rimozioni dovrebbero avvenire in condizioni nutrizionali soddisfacenti (art. 49, paragrafi 2 e 3 della Quarta Convenzione di Ginevra). L’art. 49 (6) della Quarta Convenzione di Ginevra impedisce a Israele di trasferire parti della sua popolazione civile nei territori occupati. La forza occupante, il governo israeliano, ha anche l’obbligo di provvedere a dei rifornimenti (compresi cibo e acqua) se le risorse nei territori si rivelano inadeguate. Secondo il diritto umanitario, la potenza occupante dovrebbe assicurare scorte di cibo e acqua e introdurre prodotti alimentari (art. 55) e nel caso l’intera popolazione non ricevesse scorte adeguate, dovrebbe accogliere progetti di sostegno intercedendo per la popolazione e facilitando tali progetti, che possono essere intrapresi dagli Stati Uniti o da organizzazioni umanitarie imparziali come l’ICRC (art. 59). Nella situazione attuale vari organismi, inclusi le Nazioni Unite e l’ICRC, stanno distribuendo cibo ai palestinesi, ma ciò non riduce in alcun modo gli obblighi di Israele in quanto forza occupante (Articolo 60 Quarta Convenzione di Ginevra). Il diritto umanitario prende in considerazione le necessità militari. La forza occupante ha il diritto di prendere misure – militari o amministrative – per garantire la sicurezza delle sue forze militari e dell’amministrazione civile nei territori occupati, fintanto che le misure prese siano rese assolutamente necessarie per le operazioni militari, non siano proibite, siano equilibrate e non impediscano alla forza occupante di rispettare l’obbligo di garantire agli abitanti dei territori occupati i bisogni elementari. D’altro canto, secondo il diritto umanitario, la forza occupante non possiede automaticamente il diritto di prendere le misure collegate alla sicurezza dei suoi civili che vivono negli insediamenti dei territori occupati perché la costituzione degli insediamenti è di per sé illegale, come delineato dall’articolo 49(6) della Quarta Convenzione di Ginevra. Ciò è stato riaffermato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dall’ICRC e dalle Parti Contraenti Superiori, dalle Convenzioni di Ginevra e dal Concilio di Sicurezza. Lo stato di Israele ha ratificato tutti gli strumenti principali volti alla tutela dei diritti umani che proteggono il diritto al cibo; in particolare la Convenzione Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (art.11), la Convenzione sui Diritti del Bambino (articoli 24,27) e la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne (Articolo 12), senza mostrare riserve riguardo all’applicabilità di tale convenzione nei territori occupati. Dovrebbe essere rispettata anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (articolo 25) che sotto molti aspetti è diventata parte del diritto consuetudinario internazionale. Eppure, il governo israeliano dichiara di non poter essere tenuto in considerazione per gli strumenti dei diritti umani in merito al suo operato all’interno dei territori occupati, in base al presupposto che, quando il diritto umanitario è applicabile, allora la legge dei diritti umani non si applica, e che gli strumenti dei diritti umani non si applicano alle zone non soggette alla sua sovranità territoriale e alla sua giurisdizione.[42] Ziegler ricorda comunque che l’applicabilità della legge umanitaria non preclude l’applicabilità della legge sui diritti umani e che il diritto al cibo, come tutti i diritti umani, si applica durante un periodo di occupazione, cosa che è stata ripetutamente affermata dal Concilio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale. L’osservatore sottolinea che la Commissione sui diritti Economici, Sociali e Culturali, e altre commissioni di esperti, hanno insistito sul fatto che i diritti umani “si applicano a tutti i territori e alle popolazioni che si trovano effettivamente sotto il suo controllo”.[43] L’osservatore ricorda anche che lo Stato è responsabile per l’esercizio della sua autorità al di fuori della sua giurisdizione de jure, compresi i territori occupati, come sostenuto nel 1992 dall’osservatore sulla condizione dei diritti umani in Kuwait sotto occupazione irachena,[44] e recentemente dalla Commissione sui Diritti Umani[45], e che la Convenzione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali non include una clausola sulla limitazione territoriale. E’ riconosciuto che secondo gli Accordi di Oslo, una parte importante delle responsabilità del governo israeliano nei territori è stata trasferita all’autorità palestinese per le questioni amministrative e di sicurezza nella Striscia di Gaza (il 74% della Striscia di Gaza nel marzo 2000) e nella zona A (il 18,2 % dei territori nel marzo 2000). Comunque, la situazione è evoluta dal settembre 2000, con la riacquisizione del controllo di quasi tutti i territori occupati da parte dell’esercito israeliano attorno ed entro le Zone A e B. Non ci sono dubbi, quindi, sugli obblighi del governo israeliano sul diritto al cibo nei territori attualmente occupati. Ziegler sottolinea che la grande maggioranza dei territori occupati è sotto controllo totale – militare e amministrativo – dell’esercito occupante, come dimostrato dal suo accesso (in entrata e in uscita) nelle zone sotto amministrazione palestinese, visitando la Striscia di Gaza, Ramallah, Betlemme, Gerico, Qualkilya, Tulkarem eccetera. Israele, quindi, ha l’obbligo di rispettare, proteggere e di soddisfare il diritto al cibo della popolazione palestinese nei territori occupati senza discriminazione (A/56/210). Questi tre livelli riguardanti l’obbligo di rispettare, proteggere e soddisfare il diritto al cibo sono stati delineati dal Commento Generale 12 della Commissione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. L’obbligo di rispettare il diritto al cibo implica il fatto che Israele non dovrebbe prendere misure che ostacolino gli attuali accessi economici e fisici del cibo e dell’acqua destinati alla popolazione palestinese, o che riduca la disponibilità o la qualità di questo cibo e di questa acqua. L’obbligo di tutelare il diritto al cibo significa che il governo israeliano dovrebbe impedire a terzi, compresi i coloni, di compiere azioni che possano intaccare negativamente l’accesso fisico ed economico al cibo o all’acqua, oppure la disponibilità e la qualità del cibo e dell’acqua. L’obbligo di adempimento significa che il governo israeliano deve prendere delle misure per facilitare l’accesso del cibo e dell’acqua per la popolazione palestinese (rendendola in grado di nutrirsi da sola) e solo in ultima istanza deve distribuire cibo e acqua alla gente che non ha accesso al cibo e all’acqua. In questo caso, i beneficiari dei programmi di aiuti alimentari non dovrebbero mai essere considerati come beneficiari passivi, ma sempre come detentori dei diritti, legittimati a ricevere cibo e acqua adeguati. Infine, il governo di Israele ha l’obbligo, secondo i diritti umani e il diritto umanitario, di provvedere al cibo adeguato e all’acqua per i prigionieri palestinesi. L’osservatore ha anche sottolineato che l’articolo 1 della convenzione prevede che in nessun caso la persona dovrebbe essere privata dei propri mezzi di sussistenza.

C. Obblighi dell’autorità palestinese
L’autorità palestinese, dato che non esiste uno Stato palestinese indipendente, non è parte di nessuno degli strumenti legali che proteggono i diritti umani o il diritto umanitario internazionale. Tuttavia è impegnata, attraverso il processo di Oslo, a rispettare i diritti umanitari internazionali, compreso il diritto al cibo. Secondo l’articolo XIX dell’Accordo Provvisorio Israelo-Palestinese sulla Sponda Occidentale e sulla Striscia di Gaza, le autorità palestinesi concordano sull’esercizio dei loro poteri e delle loro responsabilità “con il dovuto riguardo alle norme internazionalmente accettate, ai principi dei diritti umani e al governo della legge”. Secondo il processo di Oslo, alcune importanti responsabilità per le questioni amministrative e di sicurezza sono state trasferite all’autorità palestinese nelle Zone A e B nel marzo 2000. In queste zone, quindi, l’autorità palestinese ha importanti responsabilità riguardo alle questioni del cibo e dell’acqua. In ogni caso, la situazione è evoluta dal settembre 2000 e oggi la forza occupante ha riconquistato il controllo di una gran parte dei territori palestinesi occupati, compresi quelli all’interno e attorno alle Zone A e B. Inoltre, le forze armate occupanti hanno distrutto molte delle infrastrutture dell’autorità palestinese e ora è difficile per i membri dell’autorità muoversi liberamente nei territori palestinesi occupati. Tutti questi fattori hanno ridotto considerevolmente il controllo dell’autorità palestinese sui territori e la sua capacità di assicurare alla popolazione di queste zone l’accesso di cibo e acqua adeguati; l’autorità palestinese, quindi, oggi non ha l’obbligo di rispettare, proteggere e soddisfare il diritto al cibo per la popolazione palestinese che vive nelle Zone A e B, eccetto i luoghi in cui esercita effettivamente il controllo e nella misura in cui quelle risorse sono disponibili. Per le zone in cui detiene il controllo, l’autorità palestinese sta sviluppando una Strategia di Sicurezza Nazionale per il Cibo, portando a termine diversi programmi sociali, compreso il sostegno a 36.000 famiglie, secondo il Programma dei Casi di Difficoltà Speciale del Ministero degli Affari Sociali. Sebbene l’autorità palestinese sia stata frequentemente accusata di corruzione e incompetenza dai palestinesi così come da altri attori,[46] la Banca Mondiale ritiene che questo programma sia gestito in maniera efficace e che non ci sia virtualmente nessuna perdita di benefici per i non poveri.[47] La Banca Mondiale osserva anche che l’autorità palestinese sta subendo un processo riformista e sostiene che, è stata in grado di garantire i servizi sociali di base, compatibilmente alle difficili circostanze legate alla restrizione sul movimento dei membri e dei ministri dell’autorità palestinese.[48] In ogni caso, Ziegler si è interessato alle numerose lamentele provenienti dai detenuti delle prigioni palestinesi riguardo alle scarse quantità di cibo ricevute, confermate poi dalle ONG. Egli vorrebbe porre l’accento sull’obbligo dell’autorità palestinese di rispettare il diritto al cibo per i prigionieri detenuti, come delineato dagli impegni sottoscritti nell’Accordo Temporaneo e nel Memorandum del Fiume Wye.[49]

D. Altre leggi fondamentali e istituzioni che controllano la situazione
La gamma di leggi che controllano le situazione nei territori palestinesi occupati costituisce un sistema molto complesso. Comprende elementi che derivano dalla legge ottomana, la legge secondo il mandato britannico, la legge giordana nella Sponda Occidentale e la legge egiziana nella Striscia di Gaza, gli ordini militari israeliani – così come leggi palestinesi più recenti – e la legge internazionale.
Secondo i Regolamenti d’Emergenza, istituiti dal governo israeliano nel 1967, il Comandante militare della forza occupante ha la competenza di emettere ordini militari validi per i territori palestinesi occupati. Sfruttando gli ordini militari, la forza occupante ha preso il controllo su migliaia di acri di terra nella Sponda Occidentale e nella Striscia di Gaza, per lo stabilimento degli insediamenti o per le strade tangenziali.
Per assumere il controllo del territorio sono usati i quattro metodi seguenti: (i) dichiarazione e registrazione del territorio come “territorio statale”, (ii) requisizione per bisogni militari, (iii) dichiarazione del territorio come proprietà abbandonata, e (iv) confisca del territorio per i bisogni pubblici. In ogni caso, Ziegler insiste sul fatto che l’intera confisca del territorio per lo stabilimento degli insediamenti nei territori occupati, rappresenta una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, la quale proibisce lo stabilimento degli insediamenti, e ribadisce che ogni confisca della proprietà privata in quei territori rappresenta una violazione delle Direttive dell’Aja. Inoltre, la confisca di qualsiasi proprietà della popolazione palestinese o delle autorità palestinesi costituisce una violazione del diritto del popolo palestinese di disporre liberamente delle proprie risorse naturali e della ricchezza naturale, come stabilisce il diritto all’autodeterminazione. Come ha accertato il Consiglio di Sicurezza nella sua risoluzione 465, “tutte le misure prese da Israele per cambiare il carattere fisico, la composizione demografica, la struttura istituzionale o lo status dei territori palestinesi o di altri territori arabi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme, o di qualsiasi altra parte al riguardo, non possiede validità legale e (…) la politica israeliana e le pratiche delle parti insediatesi della sua popolazione e di nuovi immigrati in quei territori costituiscono una violazione clamorosa della Quarta Convenzione di Ginevra (…) e comportano anche un serio ostacolo per il raggiungimento di una pace estesa, giusta e duratura in Medioriente”.[50] Anche gli Accordi di Oslo sono importanti per comprendere il territorio, l’acqua e gli insediamenti collegati alle questioni dei territori palestinesi occupati. La maggior parte di tali questioni sono trattate nell’Accordo Provvisorio del 1995 e nei suoi Annessi. Secondo l’articolo 40 dell’Annesso III dell’Accordo Provvisorio del 1995, il governo israeliano ha riconosciuto i diritti palestinesi all’acqua nella Sponda Occidentale ed è stata creata una Commissione idrica Congiunta per le questioni legate all’acqua e alle fognature, compresa la tutela delle risorse idriche e dei sistemi di fognature, nonché dello scambio di informazioni. Riguardo alla Striscia di Gaza, le due parti hanno concordato che l’autorità palestinese sia responsabile dell’acqua e del sistema di fogne dei palestinesi e che la compagnia idrica israeliana Mekorot, sia responsabile dei sistemi idrici fornendo l’acqua agli insediamenti e alle zone di installazione militare. L’osservatore ha incontrato molti ufficiali palestinesi che si sono detti delusi perché, dato che le decisioni della Commissione Idrica Congiunta dovrebbero essere ottenute con il consenso, questo accordo significa effettivamente che il governo israeliano ha posto il veto sulla costruzione della maggior parte dei progetti di fognature nella Sponda Occidentale. Gli accordi di Oslo considerano anche la responsabilità del governo israeliano nei confronti degli insediamenti israeliani. Secondo l’articolo XII dell’Accordo Provvisorio: “Israele continuerà ad avere la responsabilità per la sicurezza generale degli israeliani e degli insediamenti, allo scopo di salvaguardare la sicurezza interna e l’ordine pubblico, e avrà tutti i poteri per compiere i passi necessari a incontrare questa responsabilità”. L’osservatore vorrebbe sottolineare che qualsiasi clausola fatta secondo gli Accordi di Oslo non dovrebbe minare le protezioni già garantite ai palestinesi secondo i diritti umani internazionali e secondo il diritto umanitario. Come dichiarato nell’articolo 47 della Quarta Convenzione di Ginevra: “Le persone protette che stanno nei territori occupati non dovrebbero essere private, in nessun caso e in alcuna maniera, dei benefici della presente convenzione da qualunque cambiamento introdotto, come il risultato dell’occupazione di un territorio, né da alcun accordo concluso tra le autorità dei territori occupati e la forza occupante (…)”. Nel 2001, l’ICRC ha rilasciato la seguente dichiarazione alla Conferenza delle Parti Contraenti Superiori nella Quarta Convenzione di Ginevra: “L’ICR ha espresso un crescente interesse sulle conseguenze in termini umanitari degli insediamenti stabiliti da Israele nei territori occupati, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. La politica di insediamento ha significato spesso la distruzione delle abitazioni palestinesi, la confisca del territorio e delle risorse idriche, e la spartizione dei territori. Le misure prese per allargare gli insediamenti e per proteggere i coloni, comportano la demolizione di case, la requisizione dei territori, l’isolamento delle zone, i blocchi stradali e l’imposizione di lunghi coprifuoco, hanno anche seriamente ostacolato la vita quotidiana della popolazione palestinese”.[51] L’osservatore ha incontrato membri illustri del Concilio Legislativo Palestinese creato nel 1996, e tra loro tutti i presidenti delle commissioni parlamentari più importanti. I risultati del Concilio sono sorprendenti. Per esempio, la Legge sull’Acqua (3/2002) emessa il 17 luglio 2002 rappresenta un modo possibile di unificare le leggi vigenti a Gaza e nella Sponda Occidentale. Questa legge riconosce il diritto a ogni persona della quantità adeguata di acqua (articolo 3) e per adempiere a quel diritto, è stata creata un’istituzione pubblica chiamata “Autorità dell’acqua”, con compiti e responsabilità definiti. L’osservatore sottolinea anche che la capacità e la disponibilità delle risorse delle autorità palestinesi sono molto limitate. In ogni caso, le nuovi leggi palestinesi rappresentano un modo importante di aumentare il diritto al cibo nei territori palestinesi occupati.  

III. PRINCIPALI SCOPERTE E IMPEGNI NELLA REALIZZAZIONE DEL DIRITTO AL CIBO.

La crisi umanitaria
Jean Ziegler si è occupato molto del rapido peggioramento dei livelli di malnutrizione e povertà e del peggioramento della fruibilità di cibo e acqua per i palestinesi. La crescente dipendenza della popolazione dagli aiuti alimentari, sommata ai limiti in vigore sull’accesso umanitario, stanno elevando la vulnerabilità della popolazione palestinese. Nei colloqui dell’osservatore con le autorità israeliane, queste hanno riconosciuto che esiste una crisi umanitaria nei territori occupati, mentre non sono stati contestati i dati sull’aumento della malnutrizione e della povertà dei palestinesi. In ogni caso, il governo israeliano interpreta questi elementi come conseguenze spiacevoli ma inevitabili delle misure di sicurezza necessarie per evitare gli attacchi sugli israeliani. L’osservatore non ha messo in discussione il bisogno di sicurezza per Israele e comprende i rischi quotidiani corsi dai cittadini israeliani che vivono in Israele tuttavia, nell’ottica di Ziegler, le attuali misure sono del tutto sproporzionate perché provocano fame e malnutrizione tra i palestinesi civili in un modo che va ad aggiungersi alle punizioni collettive della società palestinese. Come ha dichiarato Amnesty International, non è ammissibile punire l’intera popolazione per le azioni compiute da pochi membri all’interno di essa.[52] Gli ufficiali israeliani al Ministero della Difesa e l’Amministrazione Civile hanno informato l’osservatore di avere assunto alcune misure specifiche in certe circostanze per tentare di migliorare la situazione umanitaria. Il sito internet delle Forze di Difesa Israeliane fornisce una lista di alcune azioni intraprese.[53] Eppure Ziegler ha osservato che queste misure isolate sembrano aver esercitato effetti limitati sulla situazione attuale; egli ritiene che, come ha dichiarato la Banca Mondiale, “la causa maggiormente imputabile per la crisi economica palestinese sia la chiusura”[54] e che, quindi, solo togliendo il regime di chiusura la catastrofe umanitaria potrà essere evitata. L’osservatore si è occupato molto anche della continua distruzione e confisca del territorio palestinese, dell’acqua e di altre risorse. La confisca continua dei territori palestinesi precluderà del tutto la possibilità di uno stato palestinese indipendente, in grado di sostenere un’economia viabile e un settore agricolo, e in grado di assicurare ai palestinesi il diritto al cibo.

Violazioni del diritto al cibo
L’osservatore si è occupato delle numerose violazioni del diritto al cibo. Nella sezione in basso, egli delinea le violazioni dei vari obblighi comportati dall’impegno del diritto al cibo. Come delineato nel Commento Generale 12 della Commissione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, questi obblighi comprendono il rispetto, la protezione e l’adempimento del diritto al cibo.

Obblighi da rispettare per il diritto al cibo
L’obbligo da rispettare per il diritto al cibo significa che la forza occupante non deve fare niente che possa disturbare o distruggere la fruibilità dei palestinesi al cibo. E’ un obbligo immediato, che ha richiesto alla forza occupante di evitare la limitazione, la negazione o la distruzione dell’accesso esistente fisico o economico al cibo adeguato, all’acqua o alla disponibilità.

Chiusure e coprifuoco
L’imposizione estesa delle chiusure, dei coprifuoco e dei permessi costituisce una violazione dell’obbligo di rispettare l’accesso al cibo dei palestinesi. Ai palestinesi è stato addirittura impedito fisicamente di accedere al cibo, costretti a rimanere rinchiusi nelle case a causa dei coprifuoco prolungati, mentre nei negozi si verificano carenze di prodotti alimentari, in seguito alle chiusure.[55] Le specifiche misure militari, messe in atto solo per proteggere i coloni nei territori, sono illegali partendo dal presupposto che, secondo la legge internazionale, gli insediamenti stessi sono illegali.
Nel 2003 l’OCHA ha riferito che “a causa delle restrizioni negli spostamenti, la distribuzione e la compravendita dei prodotti alimentari è stata gravemente danneggiata, disturbando quindi la stabilità delle forniture alimentari e intaccando seriamente l’economia della popolazione rurale”.[56] Lo studio USAID del settembre 2002, ha riportato che “i danni al mercato dovuti ai coprifuoco, alle chiusure, alle incursioni militari, alle chiusure ai confini e ai checkpoint ha intaccato (la disponibilità) di cibi altamente proteici fondamentali, specialmente carne e latticini, e soprattutto il latte in polvere per i neonati”.[57] Lo stesso studio ha dimostrato che, nella Sponda Occidentale, i coprifuoco sono stati una causa primaria del motivo per cui la gente mangia di meno, in particolare a Nablus che è stata soggetta a coprifuoco per 1.797 ore dal 21 giugno al 6 settembre 2002, e Tulkarem che è stata sotto coprifuoco per 1.486 ore nello stesso periodo, assieme a Ramallah e Betlemme, colpite gravemente allo stesso modo.[58] Dai colloqui con l’UNWRA l’osservatore ha appreso che, nonostante il buon raccolto di 250.000 tonnellate di olio d’oliva nel 2002, i palestinesi sono stati in grado di venderne solo 200.000, date le restrizioni sul commercio. Le chiusure esterne e il controllo esercitato da Israele sull’importazione e l’esportazione delle merci palestinesi ha seriamente danneggiato il loro accesso sul mercato internazionale e di conseguenza la capacità di importare le scorte alimentari quando necessario. La carenza di acqua è stata prodotta anche dalle chiusure. Comunità come quella di Burin, situata a sudovest di Nablus, non hanno riserve d’acqua autonome e quindi sono completamente dipendenti dalle spedizioni di acqua, fortemente ostacolate dalle chiusure.[59] Il villaggio di Beit Furik, situato a 10 chilometri a sudovest di Nablus, non ha ricevuto acqua per almeno nove giorni consecutivi dato che, nel villaggio, erano state proibite le cisterne d’acqua.[60] Un’inchiesta del Gruppo Idrico Palestinese ha dimostrato che, su 27 villaggi, 24 hanno registrato problemi legati all’acqua in conseguenza al coprifuoco e delle chiusure.[61]

(ii) Distruzione del territorio palestinese, dell’acqua e di altre risorse
La distruzione diretta dei mezzi di sussistenza palestinese corrisponde anche a una violazione dell’obbligo di rispettare il diritto al cibo, dove ciò include la distruzione degli oggetti necessari alla sopravvivenza della popolazione civile, come per esempio le cisterne d’acqua, così come la distruzione dei raccolti e delle infrastrutture agricole, e di infrastrutture sociali ed economiche ancora più vaste. Secondo il Centro Nazionale di Informazione Palestinese (PNIC), tra il 29 settembre e il 31 maggio 2003 le forze occupanti hanno sradicato e distrutto quasi 2,5 milioni di olivi e oltre 1 milione di piante di agrumi e altri alberi da frutto. Inoltre, sono stati distrutti 806 pozzi e 296 magazzini agricoli, 200 strade e strade minori sono state rovinate e migliaia di altre bloccate col cemento e con accumuli di terra.[62] Il Gruppo Palestinese per l’Acqua registra che tra il giugno 2002 e il febbraio 2003, 42 cisterne d’acqua sono state totalmente o parzialmente distrutte e che sono stati distrutti 9.128 coperchi delle cisterne d’acqua. Secondo la Banca Mondiale, il danno inflitto sull’agricoltura ha raggiunto i 217 milioni di dollari, e il danno fisico all’acqua e al settore dello spreco d’acqua attorno ai 140 milioni di dollari.[63] A Beit Hanoun a Gaza, l’osservatore ha visto migliaia di alberi da frutto e di ulivi distrutti, assieme alla distruzione dei territori agricoli e delle infrastrutture idriche che è difficile ritenere assolutamente necessaria perché imposta dalle operazioni militari: queste operazioni sono viste da molti palestinesi come un altro modello di punizione collettiva. Secondo il Governatorato del Nord di Gaza, sono stati spianati coi bulldozer 3.684 dunumus di terra con 95.000 olivi e alberi di agrumi, distrutti 5 pozzi d’acqua così come è rimasta uccisa molta gente e sono state distrutte numerose abitazioni durante le incursioni delle forze occupanti tra il maggio e il giugno 2003. I ministri e i costruttori dell’autorità palestinese hanno anche avuto un obiettivo particolare, rendendo la spedizione dei programmi sociali difficile. La Banca Mondiale ha registrato che il danno all’infrastruttura pubblica equivale a 251 milioni di dollari e ha rilevato il “saccheggio diffuso degli edifici dei ministeri palestinesi e degli uffici municipali”.[64]

(iii) Espropriazione del territorio e dell’acqua palestinesi e di altre risorse
L’espropriazione del territorio palestinese per lo stabilimento degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati costituisce una violazione dell’obbligo di rispettare il diritto al cibo, ed è una chiara violazione del diritto dei palestinesi che gli garantisce di non essere privati dei loro mezzi di sussistenza. La costruzione di insediamenti nei territori è illegale secondo la legge internazionale, ma molte ONG dimostrano che nel 1999 sono stati costruiti 44 nuovi insediamenti o avamposti nella Sponda Occidentale e che nel 2001 sono stati stabiliti 34 insediamenti e approvati 14 ulteriori dal governo israeliano. Secondo l’organizzazione non governativa ARIJ, lo spazio totale che nella Striscia di Gaza è stato confiscato o designato come zona militare equivale a 165.04 Km qd, nonché il 45% dei territori di Gaza. Nella Striscia di Gaza, ci sono solo – a quanto riferito – 6.429 coloni israeliani che usano questo 45% di te

[1] Come rilevato al 15 agosto 2003. Fonti: Commissione Indipendente Palestinese per i Diritti dei cittadini (www.piccr.org), Forze di Difesa Israeliane (cfr. le statistiche su www.idf.il)
[2]Gli ufficiali israeliani hanno informato la missione del tasso di malnutrizione del 6-7% per i bambini al di sotto dei 5 anni in Israele.
[3] John Hopkins University et al, “Nutritional Assesment of the West Bank and Gaza Strip”, settembre 2002. [4]Catherine Bestini (2002), Inviata Umanitaria Personale del Segretariato Generale Mission Report, p.14, prima statistica a opera di uno studio della John Hopkins, seconda statistica dell’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese.[5] Bestini 2002 .
[6] Cfr. Bocco Riccardo, Brunner Matthias, Daneels Frederic Laperye, Rabah Jamil, “Palestinian Public Perception on Their Living Condition”, Ginevra dicembre 2002, p. 51 [7] John Hopkins University
[8] Banca Mondiale 2003, “Twenty.Seven Months-Intifada, Closures and the Palestinian Economic Crisis. An Assessment”, Gerusalemme maggio 2003. [9] Banca Mondiale 2003
[10] John Hopkins University, p. 59
[11] John Hopkins University
[12] Banca Mondiale 2003, p. xii
[13] Cfr. Levy, Gideon, “There’s a wall in the way” in Ha’aretz , Gerusalemme 8/9/2003 [14]Burg, Avraham, “The end of Zionism? A failed Israeli society is collapsing” in International Herald Tribune, 6/9/2003 [15] Banca Mondiale 2003
[16]Amnesty International 2003 “Surviving under siege: the impact of movement restrictions on the right to work”, 7 settembre 2003 [17] Amnesty International 2003
[18] Cfr. anche Catherine Duperyon “Bethlem se refait une beauté mais se sente vivre dans un grand prison” in Le Monde. Parigi 31/7/03[19] Bertini 2002
[20] Banca Mondiale 2003, p. 47
[21] Bertini 2002
[22] BBC news, 17 marzo 2003 http://news.bbc.co.uk./2/middle_east/2856433.stm
[23] Il termine “recinto di sicurezza” è usato dalle forze occupanti; il termine “muro dell’apartheid” è usato dall’opposizione israeliana e dagli attivisti palestinesi[24] Levy, Gideon, “There’s a wall in the way” in HA’ARETZ, 8/9/2003 [25] Dumont, Serge, “Le Mure arrive à Jerusalem”in Le Temps, Ginevra 9/9/2003 [26] Honig-Parnass, Tikva , “All’s Clear for Full-Scale War against the Palestinians”, Between the Lines, June 2003, p. 6 [27] Tikva Honig Parnass 2003
[28] Michael Warschawski, “The Arab World and the Middle East”, News from Within , Alternative Information Centre, Febbraio 2003 [29] Eldar, Akiva, “Sharon’s Bantustans are far from Copenhagen’s Hope’ Ha’aretz, 13/5/2003 [30] Halper, Jeff, “The Middle East Roadmap: Time to Engage?” News from Within, Alternative Information Centre, June 2003, p. 18 [31] Bertini 2002
[32] S/RES/471 (1980)
[33] S/RES/1322 (2000)
[34] E/CN.4/2002/32
[35] Beit El case. High Court of Justice 606, 610/78, Suleiman Tawfiq Ayyub et al. V. Minister of Defence et al.
[36] ICI (1996) Advisory Opinion on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons
[37] Ibidem
[38] 1995 Accordo Provvisorio, art. XIX
[39] A/RES/56/204 (Dicembre 2001)
[40] 1996 Convenzione Internazionale, Articolo 1
[41] S/RES/1322 (2000)
[42] E/1990/6/ Add. 32
[43] E/1990/67Add. 90 (2003)
[44] E/CN.4/1992/26
[45] CCPR/CO/78/ISR
[46] Cfr., per esempio, Mohanned Abel Hamid “Why Fatah doesn’t participate in the Morass of Reform”, Between the Lines, Agosto 2002 [47] Rapporto della Banca Mondiale, p. 46
[48] Rapporto della Banca Mondiale, p. 42
[49] 1995, Accordo Provvisorio, Annesso I, articolo XI (1); 1998 Wye River Memorandum, articolo II (c) (4)
[50] S/RES/4656 (1980)
[51] Dichiarazione dell’ICRC (2001), para. 5 [52] Amnesty International, “Surviving under siege: The impact of movement restrictions on the right to work”, 7 settembre 2003 [53] http://www.idf.il/newsite/english/humanitariannarchive.stm
[54] Banca Mondiale 2003 p. xii
[55] John Hopkins (2002)
[56] UN OCHA Maggio 2003 “Humanitarian Plan of Action for the Occupied Palestinian Territori”, p. 7 [57] John Hopkins (2002) p.51
[58] John Hopkins (2002) p.60
[59] B’Tselem “Not even a Drop: The Water Crisis in Palestinian Villages without a Water Network”, Gerusalemme 2001 [60] Rapporto Bertini, par. 46
[61] Rapporto Bertini, par. 45
[62] http.//www.ipc.gov.ps/ipc_e/ipc-e-1/e_News%20reports/2003/reports-012.html
[63] Banca Mondiale 2003, p. 46
[64] Banca Mondiale 2003, p. 19
[65] B’Tselem (2000) “Thirsty for a Solution?” Position Paper, 2000[66] Il termine “recinto di sicurezza” è utilizzato dalle forze occupanti; il termine “muro dell’apartheid” è usato dall’opposiozione israeliana e dagli attivisti palestinesi[67] B’Tselem (2003) “Behind the Barrier: Human Rights Violations As a Result of Israel’s Separation Barrier” Summary Position Paper, Aprile 2003 [68] Rapporto del HPG
[69] “The Eastern Wall. The Last Remaining Steps for Completing Plan Bantustan”, in Between the Lines, giugno 03, p. 9 [70] Cfr. News from Within, giugno 2003, p. 8
[71] Amnesty International 2003
[72] OCHA Rapporto sul monitoraggio mondiale, giugno 2003
[73] Cfr. Le Monde, Parigi 6 dicembre 2002
[74] Aggiornamento Umanitario dell’OCHA 4-21 aprile 2003[75] Rapporto sull’Aggiornamento Umanitario dell’OCHA sugli impegni Bestini, giugno 2003[76] Haddad, Toufic “The Age of No Illusion” in Between the Lines, Agosto 2002 [77] Amensty International 2003
[78] Bronner, Ethan “Israel’s barrier stokes conflict” in International Herald Tribune, 9/8/03 [79] Burg, Avraham, “The End of Zionism?A failed Israeli society is collapsing”, International Herald Tribune, 6-7 settembre 2003 [80] Pappe, Ilan, “The Language of Hypocrisy” in News from Within, giugno 2003  

di Jean Ziegler – Traduzione di Cristiana Balducci per Nuovi Mondi Media – Fonte: http://www.reseauvoltaire.net/rapport-ziegler.html