[di padre Giorgio Beretta (Missione Oggi) • 09.07.02] Nei giorni scorsi l’Italia si è preparata a fare la sua bella parte per il "piano d'azione per l'Africa" varato dal G8 di Kananaskis, in Canada. Mentre il presidente del Consiglio Berlusconi porgeva sorrisi ai capi di Stato del G8, la maggioranza al governo dava un ulteriore colpo di spugna alla legge 185/90 sul controllo delle esportazioni di armi italiane. Con pieno appoggio della maggioranza è stato infatti approvato il disegno di legge 1927 che non solo ratifica gli accordi di Farnborough sulla "ristrutturazione dell’industria europea della difesa", ma col quale si intende far "decollare verso ambiti maggiormente competitivi" (parole testuali di Filippo Berselli, sottosegretario di Stato per la difesa) la nostra industria bellica...

LA LOBBY DELLE ARMI E L’IPOCRISIA DEL PIANO DI AZIONE PER L’AFRICA

Nei giorni scorsi l’Italia si è preparata a fare la sua bella parte per il “piano d’azione per l’Africa” varato dal G8 di Kananaskis, in Canada. Mentre il presidente del Consiglio Berlusconi porgeva sorrisi ai capi di Stato del G8, la maggioranza al governo dava un ulteriore colpo di spugna alla legge 185/90 sul controllo delle esportazioni di armi italiane. Con pieno appoggio della maggioranza è stato infatti approvato il disegno di legge 1927 che non solo ratifica gli accordi di Farnborough sulla “ristrutturazione dell’industria europea della difesa”, ma col quale si intende far “decollare verso ambiti maggiormente competitivi” (parole testuali di Filippo Berselli, sottosegretario di Stato per la difesa) la nostra industria bellica. Non ci sarà così più bisogno di arrossire di fronte ai dati che puntualmente la relazione della Presidenza del Consiglio sull’export italiano di armi presenta al Parlamento (anche se i parlamentari che arrossiscono pare siano pochi, considerato che raramente sono state sollevate questioni in merito). Nonostante da anni, infatti, si affermi a parole l’intenzione di non vendere armi a dittatori, a regimi che violano i diritti umani e a governi indebitati, la realtà è ben diversa. E c’è una buona dose di ipocrisia in affermazioni che tendono ad attribuire la responsabilità delle “spese per armi” ai soli destinatari senza nominare chi di fatto vende quelle armi. Giusto per essere precisi, riportiamo alcuni dei dati ufficiali della Relazione della Presidenza del Consiglio sull’export italiano di armi. Da questa apprendiamo negli anni 2000-2001, il 70 per cento delle armi italiane è stato venduto a Paesi del Sud del mondo. Vediamo in particolare ciò che riguarda l’Africa. Nel 2000 l’Africa subsahariana è stata il maggior acquirente di armi italiane, comperandone per 575 miliardi di lire, cioè quasi un terzo del totale. Sempre nel 2000, il Sudafrica è stato il primo acquirente di armi italiane spendendo 498 miliardi di lire per 30 elicotteri A109 Agusta con un accordo tra Italia e Sudafrica nel quale si prevede che l’investimento nel settore della difesa sia affiancato da uno a fini civili pari al 50 per cento del valore di quello militare, aprendo la strada a iniziative italiane nel settore tessile, dell’oro e della biomedicina (in altre parole, armi in cambio di risorse). Ancora nel 2000, la Nigeria con 76 miliardi di lire di vendite autorizzate, si è piazzata al sesto posto tra gli importatori di armi italiane. In Africa centrale sono giunte nel 2000 anche piccole forniture al Ghana (466 milioni di lire) e al Niger (pistole mitragliatrici Beretta per 4 milioni). Infine tra gli acquirenti del 2000 appaiono paesi poverissimi, come la Mauritania, con una spesa militare del 2,3 per cento e uno dei peggiori rapporti tra debito estero e Pil (243 per cento). E per venire ai dati del 2001, il 20 per cento del mercato italiano di armi è indirizzato all’Africa e al Medio Oriente e sono state effettuate consegne del valore di 32 milioni di euro agli Emirati Arabi Uniti, 21 milioni di euro alla Turchia, 13 milioni di euro alla Siria, 6,9 milioni di euro al Kuwait, 6,2 milioni di euro alla Nigeria, 2,4 milioni di euro al Kenya, 1,3 milioni di euro all’Algeria. Tra i compratori “minori” figurano Ghana, Sudafrica, Zambia, Arabia Saudita, Bahrein, Giordania, Libano, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Tunisia e… Israele al quale lo scorso anno abbiamo venduto armi per “solo” 230 mila euro, a fronte dei 119 milioni di lire del 2000 e dei 12 miliardi del 1999. Se poi passiamo ai dati per le “armi di piccolo calibro e munizioni” vendute ad uso non-bellico ma civile o sportivo, l’Istat informa che dalla provincia di Brescia sono partite armi destinate all’Africa per un valore complessivo di 3.820.684 euro nel 1999, 2.191.395 nel 2000 e 3.389.759 nel 2001. Un mercato abbastanza stabile come si può notare. Tra i Paesi africani e del Medio Oriente ne spiccano alcuni che hanno acquistato “armi di piccolo calibro e munizioni” per i seguenti valori (in euro): Algeria (1.406.140 nel 1999, 287.624 nel 2000 e 347.567 nel 2001); Arabia Saudita (7.145.699 nel 1999, 232.973, 258.084 nel 2001); Emirati Arabi Uniti (1.029.810 nel 1999, 6.542.090 nel 2000 e 17.538.057 nel 2001) – cito questi “paesi arabi” che non sono certamente “poveri” ma che, viste le compere, pare stiano sviluppando una “passione particolare” per l’arte venatoria; Giordania (279.789 nel 1999, 551.777 nel 2000 e 955.558 nel 2001); Marocco (1.133.041 nel 1999, 1.265.725 nel 2000 e 2.100.859 nel 2001). Senza dimenticare poi Israele, che da quanto tutti sappiamo è un paese dove è molto diffuso l’hobby… della caccia, il quale ha acquistato armi bresciane per 1.915.839 di euro nel 1999, 2.366.309 nel 2000 e 1.911.305 nel 2001. Un acquirente fedele, non c’è dubbio! E tutto questo è “legale e autorizzato” ed è possibile attraverso la connivenza di tre attori principali: i produttori di armi, le banche d’appoggio e i nostri governi. Non è un caso che i suddetti tre attori – che formano la lobby delle armi – nei giorni scorsi abbiano brindato per l’approvazione della maggioranza alla Camera al Disegno di legge 1927 che per “garantire maggior competitività internazionale” all’industria bellica italiana sottrae molti di questi dati al controllo del Parlamento e delle associazioni. Con buona pace delle popolazioni africane e del nuovo “piano d’azione per l’Africa”.