[Emanuela Santucci • 17.03.03]  Intervista all’economista Riccardo Petrella, autore di un «Manifesto» sull’uso delle risorse idriche mondiali. «Quasi un miliardo e mezzo di persone ne sono prive e il mondo ricco non se ne preoccupa»

L’ACQUA, CIVILTA’ E SCANDALO. INTERVISTA A RICCARDO PETRELLA

«Perché mai un operaio o un impiegato italiano dovrebbe preoccuparsi delle difficoltà che un contadino del Senegal ha per racimolare un po’ d’acqua ?» domando a Riccardo Petrella.
 E lui mi risponde con un sorriso e senza esitazione: «Perché un contadino povero del Senegal ha lo stesso diritto di vivere di un operaio o di un impiegato italiano. L’acqua è essenziale per la vita. Ed è un’aberrazione considerare quasi naturale che un miliardo e 400.000 persone sulla Terra non abbiano acqua a sufficienza; prevedere come inevitabili, in un futuro non lontano, le guerre per il controllo dell’acqua e accettare supinamente l’idea che nel 2025 il 60 per cento della popolazione mondiale non avrà accesso all’acqua. Perché le assicuro che le soluzioni ci sono: bisogna opporsi alla privatizzazione delle risorse idriche, in quanto l’acqua è un diritto universale».
Riccardo Petrella ha 61 anni e vive a Bruxelles: economista politico, insegna Mondializzazione all’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) e alla “Libera Università” della capitale belga; per diciassette anni è stato a capo dei progetti del settore Scienza e Tecnologia della Commissione europea e oggi è segretario generale del Comitato internazionale per il Contratto Mondiale dell’Acqua, da lui fondato. Le sue tesi su questo argomento che gli sta particolarmente a cuore sono esposte nel volume Il manifesto dell’acqua (2001). 

L’acqua è qualche cosa di più di una formula chimica…
«Certo, l’acqua è la storia del diritto, della libertà, dell’odio, delle guerre. E’ la civiltà. Ma oggi è soprattutto uno scandalo, perché quasi un miliardo e mezzo di persone ne sono prive e sembra che nessuno, nel mondo ricco, se ne preoccupi». 

Non esagera un po’?
«No, è la verità. Al vertice di Johannesburg i dirigenti di 189 Paesi non hanno riconosciuto l’acqua un diritto umano fondamentale, ma semplicemente una necessità vitale». 

Che differenza c’è?
«Una differenza enorme. Un diritto implica che la collettività deve creare le condizioni affinché tutti possano goderne. Le necessità, invece, variano da popolo a popolo: c’è chi ha bisogno dell’acqua per vivere e chi per irrigare un campo da golf, che fra parentesi costituisce il più costoso e ingiusto consumo d’acqua che ci sia». 

Allora l’acqua oggi è un bene commerciale.
«Sì, averla o meno dipende dall’abilità con cui sai muoverti nel mercato». 

Beh, è scandaloso, concordo con lei.
«In un Paese ricco anche il deserto ha l’acqua; invece in Brasile, il Paese più ricco d’acqua, ottanta milioni di persone non dispongono di acqua potabile. Questa penuria è dovuta principalmente alla povertà, non certo al fatto che Dio non mandi nuvole sulla Terra. Secondo il Programma per lo Sviluppo dell’Onu, ogni anno ci sono 15 milioni di persone che muoiono per mancanza d’acqua. Se non faremo nulla per fermare questa tendenza, nel 2025 saranno più di 4 miliardi, ossia metà della popolazione mondiale, gli esseri umani che non avranno accesso all’acqua potabile». 

Ma lei quale soluzione proporrebbe?
«Secondo l’Unesco, con un investimento annuale di 11 miliardi di dollari per dieci anni, ossia con 110 miliardi complessivi, si riuscirebbe a dare l’acqua a tutti». 

Che cosa impedisce di seguire questa strada?
«Semplicemente la mancanza di volontà politica di cambiare le cose. Pensi che i Paesi industriali sovvenzionano l’agricoltura con 347 miliardi di dollari, il triplo di quanto sarebbe necessario per dare l’acqua a tutti gli abitanti della Terra». 

Ma questi investimenti sono necessari per sfamarci…
«Sono investimenti a favore di un’agricoltura intensiva che distrugge le risorse idriche con i suoi fertilizzanti, pesticidi e nitrati, e per di più elimina i piccoli contadini. Le sue leggi di mercato impediscono ai Paesi del Terzo Mondo di coltivare ciò che servirebbe alla loro alimentazione di base e li costringe invece a puntare ogni sforzo sui prodotti agricoli da esportare, come il cacao o il caffè». 

Eppure l’Europa ha deciso di non diminuire le sue sovvenzioni all’agricoltura.
«Sì, e Bush le ha addirittura aumentate del 10 per cento. Non le sembra uno scandalo? E badi bene che non è per sfamarci, perché l’agricoltura intensiva odierna produce sei volte più di quanto servirebbe all’intera popolazione mondiale in termini di proteine e vitamine. E così comportandoci, stiamo distruggendo le risorse idriche del pianeta: ormai quasi tutti i fiumi del mondo sono inquinati, e altrettanto può dirsi dei laghi e delle lagune dei Paesi industriali, per cui dobbiamo pompare l’acqua che scorre nel sottosuolo a un ritmo superiore alla sua capacità di ripristino; e così stiamo prosciugando le falde freatiche». 

Quali sono le attività umane maggiormente responsabili di questo consumo?
«L’agricoltura assorbe il 70 per cento delle risorse idriche mondiali, l’industria il 20 per cento, e il resto va per l’uso domestico». 

E che percentuale di spreco c’è?
«I sistemi di irrigazione ne perdono per strada in media il 40 per cento, mentre per le reti di distribuzione dell’acqua potabile si calcola che lo spreco sia addirittura del 50 per cento. Ma il vero, grande problema è un altro: è la privatizzazione, la commercializzazione dell’acqua, che è il nostro ultimo bene comune». 

L’acqua, cioè, oggi ha dei proprietari?
«Sì, le multinazionali che provvedono alla distribuzione e al trattamento delle acque residue, un business ogni giorno più redditizio. Il rifornimento idrico alle principali città dei Paesi del Terzo Mondo oggi è controllato da imprese private, per la maggior parte straniere». 

Le multinazionali, insomma, sono i signori dell’acqua?
«Già. L’accesso all’acqua è diventato una questione strategica importantissima, un aspetto fondamentale della sicurezza nazionale. Nel mondo ci sono 240 bacini idrici che appartengono a due o anche più Paesi, i quali se ne contendono il controllo. La guerra per l’acqua, tutti gli economisti e gli osservatori politici lo dicono da tempo, sarà la guerra del Ventunesimo secolo». 

L’acqua, detta anche “l’oro blu”, minaccia di esaurirsi come il petrolio?
«Sì, ma non è il petrolio. Potremmo vivere anche senza petrolio e senza Internet, mentre non possiamo vivere senza acqua. Perciò la rivoluzione dell’acqua è una questione vitale».

Che cosa dobbiamo fare?
«Innanzitutto riconoscere che l’acqua è un diritto, mentre oggi questo principio elementare non è riconosciuto da nessuna convenzione internazionale o dichiarazione dei diritti umani. Poi dovremmo istituire un servizio pubblico di gestione delle risorse idriche mondiali, un’autorità politica internazionale, una sorta di tribunale che risolva le controversie per questo bene comune, patrimonio dell’umanità. Infine bisogna creare un sistema di finanziamento e di investimenti affinché tutti gli abitanti della Terra possano disporne a sufficienza».